È stata un trionfo sotto tutti i punti di vista, l’ultima edizione di WrestleMania, la 38esima della storia, capace di superare ogni record a livello di incassi e affluenza. Si parla dell’evento più importante del mondo del wrestling professionistico, uno spettacolo annuale organizzato dalla WWE (la principale compagnia al mondo di questo settore) che negli Stati Uniti a livello di blasone e di denaro generato è secondo solo al Super Bowl e alle Olimpiadi. Un business che fa la fortuna delle città che se ne aggiudicano l’organizzazione e che questo aprile ha visto Dallas e Arlington (in Texas) beneficiare di tutti vantaggi portati da questo maxi-show.
Un’organizzazione maniacale
Per chi ha avuto la fortuna di viverla sul posto, è stato sufficiente guardare il suggestivo skyline di Dallas per capire come l’avvento dello “Showcase of the Immortals” (questo uno dei suoi soprannomi) riesca a trasformare momentaneamente e radicalmente l’identità cittadina, innestando al suo interno una sorta di mondo parallelo. La facciata gigantesca dell’Omni Dallas Hotel, il lussuosissimo albergo di 555 South Lamar Street che ha ospitato le superstar della WWE, la notte si è colorato disegnando l’insegna della compagnia di wrestling e lo stesso è accaduto anche per la caratteristica Reunion Tower, sulla cui cima a caratteri cubitali è stato luminosamente ricordato ai più distratti la presenza in città di questi gladiatori dei tempi moderni. Già, perché non saperlo per i residenti della quarta area metropolitana più popolosa degli Stati Uniti era praticamente impossibile.
Le strade sono state tappezzate di cartelloni pubblicitari promemoria per tutti gli appuntamenti della “WrestleMania Week”, visto che lo show non si è limitato alle due serate dedicate all’evento più importante, ma è stato corredato dalla cerimonia della Hall of Fame, oltre che dagli spettacoli televisivi di SmackDown, NXT e Raw. Un’occupazione capillare del palinsesto della città texana, tanto che anche le partite di Nba sono state spostate da tempo altrove, in modo tale da lasciare alla World Wrestling Entertainment il controllo totale in quei giorni della proposta di intrattenimento e pure dell’American Airlines Center, palazzetto da circa 20mila posti nel downtown dove vengono solitamente disputate le partite casalinghe dei Maveriks nel basket e degli Stars nell’hockey. È lì che si sono tenuti gli show correlati, mentre WrestleMania ha occupato addirittura l’AT&T Stadium di Arlington, a poco più di 40 chilometri di distanza, casa degli iconici Dallas Cowboys del football americano.
Edizione da record
Ecco, è in quella location che la WWE ha scritto una nuova pagina di storia, perché le due serate texane hanno reso WrestleMania 38 la più ricca di sempre a livello di incassi e di apporto economico alla città ospitante, che ha goduto dell’arrivo di appassionati giunti da tutti e 50 gli Stati americani e da ben 53 Paesi esteri. Così è stato superato il primato di incassi (fissato quattro anni prima sempre in Texas), di cui almeno 3,7 milioni di dollari ottenuti solo attraverso le vendite del merchandise. E il dato non sorprende visto l’intero piano del Kay Bailey Hutchison Convention Center attrezzato proprio per questo, con il consueto allestimento dell’WWE Axxess. Si tratta di una sorta di parco divertimenti itinerante del wrestling, dove i fan possono provare l’ebbrezza di emulare gli ingressi sul ring dei loro idoli, incontrarne alcuni per scattare una fotografia, sposarsi alla loro presenza (è successo anche questo per due coppie che hanno vinto un concorso), ammirare oggetti vintage in memoria di altri tempi e, soprattutto, acquistare qualsiasi genere di gadget.
Difficile incontrare qualcuno per Dallas che non abbia indosso una maglietta WWE, una cintura (del costo di almeno 350 dollari), un berretto o che, in alcuni casi, sia vestito esattamente come un wrestler (Undertaker e Ric Flair sono stati i più in voga). Numeri che ovviamente hanno fatto piacere al sindaco di Dallas, Eric Johnson: “La città desidera ringraziare la WWE per aver presentato un’incredibile settimana di eventi per WrestleMania, sia all’American Airlines Center che al Kay Bailey Hutchison Convention Center. Una serie di appuntamenti che ha fornito una manna economica per Dallas e ha dimostrato ancora una volta che la nostra città è una sede di prima classe per i grandi eventi sportivi”. Non solo, WM38 è stata pure la più seguita dal vivo nella storia dell’azienda, con 156.352 fan totali (con grande soddisfazione anche degli Uber locali, che hanno quadruplicato i prezzi per il ritorno a Dallas dopo gli show), rispettivamente 77.899 nella prima sera e 78.453 nella seconda: “La città di Arlington – ha detto il primo cittadino Jim Ross – è estremamente grata alla WWE per aver riportato la sua più grande celebrazione annuale. Non vediamo l’ora di avere l’opportunità di superare questo record con una futura WrestleMania all’AT&T Stadium“.
Tutto questo senza considerare il pubblico che l’ha guardata dalla televisione e ha preso parte alle 13,3 milioni di interazioni registrate sui social media (secondo miglior risultato di sempre): “Questo evento ha colpito tutte le mie emozioni. Ho riso, ho pianto, ho esultato, ho urlato finché la mia voce non si è esaurita. Ho amato ogni secondo di questo ed è per questo che amo la WWE da oltre 20 anni”, ha scritto una ragazza 33enne sui social, un messaggio preso con orgoglio ed esempio da Stephanie McMahon, vicepresidente esecutiva della compagnia, nel suo messaggio di fine show.
Gli highligts dell’evento
C’è stato veramente di tutto nel corso della settimana texana dedicata dal wrestling, con emozioni di ogni genere che hanno travolto e coinvolto gli appassionati. A partire dalla struggente induzione nella Hall of Fame di The Undertaker, cioè uno dei wrestler più leggendari e iconici di sempre. Il “becchino” più famoso della storia si è goduto la sua passerella conclusiva (celebrata pure nelle due sere di WrestleMania), mostrando per la prima volta quel suo aspetto pubblico e sociale che ha dovuto tenere nascosto per oltre trent’anni pur di mantenere quell’alone di mistero necessario alla buona riuscita del suo personaggio.
Grande commozione da parte di tutti c’è stata anche nell’apertura della seconda serata di WrestleMania, quando un’altra leggenda come Triple H, oggi vice-presidente esecutivo (nei settori talenti/eventi live/creativo), ha annunciato ufficialmente il suo addio all’attività agonistica (una scelta forzata in quanto qualche mese fa si è dovuto sottoporre a un delicato intervento al cuore). E poi chiaramente c’è stato lo spettacolo sul ring, con match sensazionali dal punto di vista prettamente tecnico e altri che invece hanno privilegiato l’aspetto dell’intrattenimento, come ad esempio quelli con gli “special guest” a cui hanno partecipato l’attore comico Johnny Knoxville, il pugile influencer Logan Paul e l’ex giocatore di football (oggi telecronista in WWE) Pat McAfee. La copertina di questa edizione dello Showcase of the Immortals se la sono però divisa altri due. Il primo è Roman Reigns, cioè il volto della compagnia degli ultimi anni, che ha battuto nel main event della seconda serata Brock Lesnar (ex campione dei pesi massimi in UFC), unificando i due titoli mondiali di Raw e SmackDown. Il secondo è l’idolo di casa in Texas “Stone Cold” Steve Austin (sua la maglietta più esibita in assoluto sulle tribune), tornato sul ring a distanza di 19 anni dal suo ritiro per affrontare Kevin Owens e addirittura il 76enne presidente della WWE Vince McMahon, magnate statunitense con un patrimonio di 2,2 miliardi di dollari (secondo Forbes), rientrato anche lui sul ring per un siparietto con il “vecchio nemico” di un wrestling d’altri tempi.
Altro momento memorabile della serata è stato poi il ritorno di Cody Rhodes, andatosene sei anni prima e divenuto nel 2018 uno dei fondatori della All Elite Wrestling, ossia la compagnia che è diventata la principale antagonista della World Wrestlng Entertainment: facile immaginare come questo passaggio sia stato estremamente significativo a livello di equilibri nel settore, oltre a rendere ancora più unico lo spettacolo di Arlington.
“È tutto finto”
Per molti può apparire un controsenso un simile successo. Questo perché quando un neofita si approccia al concetto di “wrestling”, la prima considerazione che viene in mente è quel classico luogo comune del “tanto è tutto finto” a fare da schermo a potenziali ragionamenti e approfondimenti che un fenomeno del genere meriterebbe a prescindere. Quel pensiero superficiale sarebbe infatti valido (e solamente in parte) qualora lo si considerasse un semplice sport. Il wrestling però è molto di più e lo si capisce dalla stessa definizione della compagnia principe a livello mondiale, la World Wrestling Entertainment.
Al suo interno c’è infatti la parola “intrattenimento”, componente fondamentale di questo business che in America riesce a spostare dollari in maniera fuori da ogni immaginazione. Il match sul ring, che è sì predeterminato, è solo una parte dello spettacolo, costruito nel corso delle settimane, dei mesi e in certi casi addirittura degli anni. Questo viene accompagnato da una narrazione, da storie che mirano a coinvolgere il pubblico, a farlo schierare con il buono “face” o il cattivo “heel” di turno. Sono in fondo dei romanzi popolari, creati nella maggior parte dei casi su stereotipi di ogni genere (volutamente estremizzati al massimo) da atleti veri e propri, che nelle proprie skills devono per forza di cose avere anche capacità di recitazione, carisma, presenza scenica e una buona parlantina al microfono. Il tutto con il fine di far immedesimare gli spettatori e farli sentire rappresentati dal loro eroe o dalla loro eroina di turno, per ottenere attraverso loro quelle rivincite che loro stessi vorrebbero avere nella propria vita quotidiana.
Il ring, insomma, è solo un pretesto, perché questo stesso modello potrebbe essere installato in qualsiasi altro contesto. È una sorta di infinita serie televisiva, con spettacoli settimanali tesi a convergere ogni mese nel grande evento a pagamento, il pay-per-view.
Atleti, ma anche attori
Si tratta ogni volta di una specie di spettacolo teatrale a cui vengono associate delle abilità atletiche degne di migliori stuntmen di Hollywood (a proposito, la prossima edizione di WrestleMania sarà proprio là). Rispetto al teatro, però, non ci sono mesi e mesi di prove prima di andare in scena: considerando la WWE, questa va in onda ogni settimana con almeno tre spettacoli trasmessi in diretta in tv, cui vanno aggiunti poi i tour dei live event (non televisivi) che la compagnia organizza costantemente, sia negli Stati Uniti che in giro per il mondo (prima della pandemia viaggiavano alla media di uno spettacolo al giorno e ora si sta tornando gradualmente a quel ritmo).
Va da sé che il tempo per organizzare gli incontri sia residuale e venga messo in secondo piano rispetto agli allenamenti fisici in palestra e a quelli per migliorare l’abilità al microfono, dal momento che l’interazione con il pubblico rappresenta un aspetto fondamentale. Spesso viene dato ai lottatori solo un canovaccio da seguire per le esibizioni sul quadrato, delle linee guida in cui è stabilito il vincitore e il modo in cui dovrà ottenere il successo, perché farlo in modo più o meno convincente non è un semplice dettaglio, fa tutta la differenza del mondo quando si crea una storia che si presuppone debba essere coerente con tutto il contesto. A volte può addirittura capitare che il finale prestabilito possa cambiare in corsa, perché magari dalla “gorilla position” (il dietro le quinte) ci si rende conto in base alla reazione del pubblico che un altro tipo di epilogo possa essere più funzionale: così vengono fornite in qualche modo le nuove indicazioni agli atleti sul ring (prevalentemente usando l’arbitro come tramite), che a quel punto dovranno improvvisare in base alle modifiche ricevute.
Altro elemento che differenzia uno show di wrestling rispetto a qualsiasi spettacolo di teatro è il fatto di doversi esibire con il pubblico a 360 gradi, senza quindi delle “vie di fuga” o punti morti: intorno a tutto il ring c’è il pubblico e non ci sono margini d’errore in quanto gli spettacoli sono live e non si può certo ripetere la stessa scena più volte come accade al cinema.
Pericolo infortuni
Ma il punto di distanza più ampio tra i wrestler e gli attori comuni è rappresentato dalla pericolosità delle loro esibizioni. I pugni sono accompagnati e le “mosse” che vengono eseguite sul ring hanno quasi sempre bisogno dell’aiuto di chi le subisce: ciò però non significa che siano finte. Lo sarebbero se venissero create artificialmente al computer oppure se fossero utilizzate delle controfigure. Certe cadute e determinati colpi invece sono reali e pericolosi.
Nonostante la grande preparazione atletica, per questi performer non sono rari gli infortuni (anche gravi) con i quali si trovano a confrontarsi con cadenza regolare. Uno di questi, tanto per fare un esempio freschissimo, è arrivato proprio nel corso dell’edizione di WrestleMania 38, nell’incontro con in palio i titoli di coppia di SmackDown: in questa occasione, infatti, Rick Boogs ha sollevato contemporaneamente due avversari (i gemelli Jimmy e Jey Uso) mostrando una potenza impressionante (d’altronde è anche un powerlifter), ma nel farlo il suo ginocchio destro ha ceduto.
In diretta si è capito subito che l’incidente non fosse parte del copione (anche perché il suo compagno di squadra, Shinsuke Nakamura, ha dovuto portare a termine la sfida da solo) e nei giorni successivi è stato confermato che l’atleta si è dovuto sottoporre a un intervento chirurgico a Birmingham, in Alabama, per via della rottura del quadricipite. Se la caverà con una lunga riabilitazione, ma in altri casi alcuni suoi colleghi hanno dovuto dare l’addio all’attività per evitare rischi peggiori. Ecco perché il wrestling non può essere considerato una finzione. Sarebbe troppo banale e superficiale. Sarebbe semplicemente sbagliato. Dietro a questo fenomeno di sport-entertainment c’è molto di più. E gli oltre centocinquanta mila spettatori delle due notti di WrestleMania 38 ad Arlington sono una conferma abbastanza evidente.