Venezia 81, nasce la terza BarbEra

Scattata nella giornata di ieri l’edizione numero 81ª della Mostra internazionale d’arte cinematografica, che si svolge al Lido di Venezia dal 28 agosto al 7 settembre 2024

Alberto Barbera, il re. Puoi chiamarlo solo così uno che per una manciata d’anni a cavallo tra due millenni ha fatto benissimo, rivoluzionario e innovativo, quel tanto da farsi rimpiangere per un decennio e spicci e poi, quando tutti lo aspettavamo come il Messia, è tornato (non prima di aver reso Torino la capitale del cinema con un sistema perfetto incentrato su festival, film Commission, il mitico Steve Della Casa e il Museo ora diretto magistralmente da Domenico De Gaetano) per rendere la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia l’indiscusso primo festival al mondo.

Una progressione inarrestabile, anche economica – la Biennale e il sistema Mostra non sono mai stati così solidi e in salute – che con il Covid è diventata una supremazia totale. Nulla è stato lasciato al caso, in ogni bivio che la storia gli ha proposto ha fatto la scelta giusta. L’arrivo delle piattaforme, accolte e non snobbate (anche se ci si chiede che fine abbia fatto Netflix quest’anno); la stagione dei premi, con i film ormai in Laguna vengono a surfare direzione Oscar, assecondata e non ignorata; lo star system che trova un red carpet avido di stelle e centrale nelle strategie comunicative e distributive del “resto del mondo”. 

La nuova Mostra di Venezia sotto un'altra direzione
Alberto Barbera, direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (foto LaPresse) – ilMillimetro.it

Sono solo alcune delle partite giocate e vinte dal Festival di Venezia nell’ultima dozzina d’anni, senza perdere la propria identità, anzi le sue identità. Inseguire autori, esordienti, sperimentatori, seminandoli insieme al mainstream nelle varie sezioni e concorsi, far valere il proprio peso per convincere, ad esempio, a inaugurare la mitica Orizzonti a Valerio Mastandrea con Nonostante. Anzi, probabilmente a proteggerlo meglio, così. 

Quello che Cannes, per esempio, con il regno più lungo, di fatto doppio, di Thierry Freamux non ha saputo fare, puntando su un gruppo di affezionatissimi da coccolare costantemente, anche nelle loro opere minori, non riuscendo a uscire dai propri stereotipi e anzi blandendoli, fino alla scelta suicida di combattere le piattaforme ed escluderle, cercando una mainstream nostalgico e affatto moderno. In due parole, invecchiando male. Ma Venezia 81 è un bivio importante. Perché potremmo definirlo come l’inizio della terza era Barbera.

L’inizio di un nuovo ciclo

Venezia 80 è stata la conferma e la celebrazione di una storia che ha attraversato un secolo, un millennio e pure una guerra. Ma anche la vetrina di chi non ha trascurato nulla. Come direttore Alberto Barbera ha guardato al futuro (mezzi e autori, da Venice Immersive a Biennale College), al presente (i concorsi), al passato, con retrospettive e premi alla carriera azzeccati.

Volti nuovi e una madrina d'eccezione per la nuova edizione di Venezia
Alberto Barbera e Sveva Alviti, madrina della nuova edizione del Festival di Venezia (foto LaPresse) – ilMillimetro.it

Ha di fatto quasi storicizzato il suo talento e il suo peso, come direttore e come festival, in un anno che poteva essere l’ultimo. Prima dell’edizione d’addio, da sempre un festival a parte per ogni numero 1 che sa di affrontarlo con il mancato rinnovo. Poteva essere, questa 81esima edizione quella di un addio clamoroso, che l’avrebbe consegnato per certi versi alla leggenda come i pugili che si ritirano imbattuti. Poi, come spesso accade quando sei il migliore (e in fondo sei riuscito ad oscurare abbastanza i tuoi avversari dal creare il sospetto che nessuno possa essere alla tua altezza), la congiuntura che sembrava negativa è diventata positiva.

Il nuovo governo si è accontentato di mettere Pietrangelo Buttafuoco a capo della Biennale, probabilmente la mossa più intelligente a livello culturale di Meloni e soci (anche perché le altre, diciamocelo, Dafoe al Teatro escluso, sono da mani nei capelli, partendo dal Ministro del Mic contestatissimo, in ultimo per la riforma del tax credit, e gaffeur di livello), trovando in lui un elemento di continuità inevitabile. D’altronde chi avrebbe il coraggio, per quanto sconsiderato possa essere, di fermare e sfasciare una macchina oliata alla perfezione e vincente per progettarne un’altra con tutte le sue incognite, possibili insuccessi e inevitabili confronti?

C’era la “scusa” di un contratto ancora in essere e rinnovarlo per un altro biennio, portandolo fino al 2026 lascia ogni spazio possibile per convivere insieme (e il direttore ha dimostrato a Torino e Venezia di non essere lo scapestrato ribelle del 1998 ma anche un abile navigatore di ogni mare) e raccogliere, entrambi, onori e gloria.

La prossima partita

A Variety Barbera non ha parlato (solo) di autori, star, film. Ha fatto altro, ha ragionato di sistema. Ha analizzato i motivi per cui le sale si sono svuotate dopo la pandemia senza tornare ai livelli precedenti a emergenza finita – sebbene l’ultimo anno dica che si sta tornando dove eravamo rimasti – e poi ha parlato di un dato controintuitivo, ovvero di come opere di durata extralarge ora siano più apprezzate dal pubblico. “Credo che una delle trasformazioni più significative che l’industria sta vivendo riguardi la durata dei film.

I tre attori italiani in concorso con i loro nuovi film
Valerio Mastandrea, Toni Servillo e Pierfrancesco Favino (foto LaPresse) – ilMillimetro.it

Una volta i film avevano una durata standard tra i 90 e i 120 minuti, ma ora questi sono le eccezioni a una norma. O, piuttosto, a due norme, perché il cinema sembra prendere due strade opposte. Da un lato, film sempre più brevi, della durata di pochi minuti, riversati direttamente su piattaforme come TikTok e YouTube, consumati da milioni di spettatori, magari mentre si recano al lavoro, in metropolitana, in autobus, in treno. Un fenomeno molto più evidente in Cina, che da questo punto di vista è molto più avanti di noi.

Dall’altro, i tempi più lunghi sono dovuti a diversi fattori. Uno è l’impatto delle serie televisive. L’altro è il tentativo del settore cinematografico di contrastare la concorrenza degli streamer offrendo agli spettatori esperienze più complesse, più ricche e più lunghe al cinema.”

Ed è questa la ricetta vincente dell’era Barberiana, una capacità non solo di esercitare, insieme alla commissione di selezione, una ottima capacità critica e di scelta, ma uno sguardo analitico e strutturale sul mondo che rappresenta e vive, il considerarsi l’avanguardia e la vetrina di un’industria e di un’arte e di non rinunciare a un ruolo attivo nel tentare di modificarlo, indirizzarlo, esaminarlo (e questo intento lo si sente, e vede, soprattutto nelle lunghe, diciamo anche logorroiche, conferenze stampa di presentazione). 

La Venezia degli attori

Senza nulla togliere ad Amelio o Almodovar, Guadagnino e Larrain, Todd Phillips e Tim Burton, solo per fare il nome di alcuni dei grandi e più vari autori presenti a Venezia, va detto che le sfide più interessanti in questo 2024 le affrontano gli interpreti (già l’anno scorso, da Mads Mikkelsen a Caleb Landry Jones passando per il nostro doppio Favino, ce n’erano state di grandi performance).

Tanti i film in concorso che usciranno nelle sale i prossimi mesi
Laura Morante e Valerio Mastandrea (foto LaPresse) – ilMillimetro.it

Angelina Jolie Maria Callas per il cineasta cileno, Nicole Kidman coraggiosa amante di un toy boy per una delle nuove punte di diamante di un’indie generation sempre più audace e determinata come Halina Rejin, Tilda Swinton e Julianne Moore per Pedro Almodovar (e andando per un attimo sull’ottima selezione anche delle Giornate degli Autori di cui parleremo in futuro, anche la sorprendente e talentuosissima Rosa Palasciano, “scippata” del David per Giulia, qui con Taxi Monamour di Ciro De Caro).

E ancora Diva Futura che vede l’autrice di Settembre e sceneggiatrice tra le migliori Giulia Steigerwalt di nuovo in pista con una storia coraggiosa, quella di Riccardo Schicchi – nuova grande sfida per Pietro Castellitto, lo scorso anno a Venezia come regista per il bellissimo Enea, non premiato ma celebrato dalla presidente di giuria Jane Campion – vista con gli occhi della giovane segretaria (la solita titanica Barbara Ronchi). E Barbera anche qui sottolinea come il sesso non sia più la pruriginosa eccezione da trattare con perbenismo ma sia tornato al centro del dibattito, anche per immagini.

E tra gli uomini Daniel Craig in Queer, Elio Germano che fa un Matteo Messina Denaro grottesco per Piazza e Grassadonia in IDDU (sognamo un spin-off team up con The Bad Guy di un’altra eccellente coppia, quella formata Stasi e Fontana), Joaquin Phonenix nel sequel di Joker e il redivivo Adrien Brody per l’opera terza di Brady Corbet – ben 215 minuti -, The Brutalist, un Alessandro Borghi occhialuto e come al solito capace di diventare chiunque in Campo di battaglia di Gianni Amelio, la coppia Pitt-Clooney in Wolfs di Jon Watts, Valerio Mastandrea (ma pure Musella, ancora Ronchi e il mitico e scorrettissimo Montanini) in Nonostante di Valerio Mastandrea sono solo alcune delle possibili prove che potrebbero rubarci cuore e cervello negli 11 giorni cinelagunari. 

Anche qui, c’è uno sguardo strutturale, fotografare un tempo in cui attrici e attori sono sempre più autori, produttori (pensate a Margot Robbie e Barbie), fautori delle storie che raccontano. Non più solo esecutori, ma spesso, quasi sempre anche coinvolti nella costruzione del film, non con invadenza o forzature ma con un riconoscimento maggiore del loro ruolo nella costruzione di una grammatica cinematografica e un immaginario collettivo. Al di là di tutto, però, la vera sfida sarà un’altra. Nell’opera seconda di Valerio Mastandrea c’è lo zampino da produttore di Zerocalcare.

E il gusto che proveremo a vederlo sul redcarpet con t-shirt e pantaloni o pantaloncini della tuta sarà sublime. E di sicuro oggetto, prima o poi, di una sua striscia. Bentornata Venezia, a 81 anni non sei mai sembrata più giovane e sexy. 

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