Un governo a sovranità limitata

Il 17 marzo del 2011, al Teatro dell’Opera di Roma, ebbe luogo un vertice tra le più alte cariche dello Stato. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il ministro degli Esteri Franco Frattini, il ministro della Difesa Ignazio La Russa e Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri nonché braccio destro di Berlusconi, si riunirono per discutere di una delle questioni più importanti degli ultimi quarant’anni: la guerra in Libia. Quella notte, mentre festeggiavano i 150 anni dell’Unità d’Italia, quei politici decisero di trascinare il Paese nell’ennesima guerra indecente. Con un aggravante. Si trattava di fatto di una guerra mossa soprattutto dai francesi per colpire gli interessi italiani. Napolitano, Berlusconi, Frattini, La Russa e Gianni Letta tradirono il Paese avallando un intervento militare che rappresentò per l’interesse nazionale la più grande sconfitta dalla Seconda Guerra mondiale in poi.

Un governo a sovranità limitata

Il 7 febbraio del 2019 Giorgia Meloni disse: «La Francia ha compromesso il rapporto di amicizia con l’Italia nel 2011 quando ha mosso guerra alla Libia per cancellare gli accordi di approvvigionamento energetico siglati tra Italia e Libia». In effetti nel 2011 la Libia era il principale alleato italiano nel Mediterraneo. Tre anni prima, esattamente il 30 agosto del 2008, il governo italiano aveva firmato a Bengasi un trattato di amicizia e partenariato con la Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista (allora la Libia si chiamava così). Il Trattato di Bengasi venne poi ratificato dal Parlamento repubblicano a larghissima maggioranza. Ai voti di Forza Italia e della Lega si sommarono quelli del Partito Democratico, partito, teoricamente, all’opposizione. Tutte le principali forze politiche italiane consideravano quell’accordo un atto politico capace di rafforzare l’interesse nazionale. Gheddafi era un grande amico dell’Italia. Berlusconi gli baciava le mani e Napolitano lo riceveva con tutti gli onori al Quirinale. Poi i neocon americani e, soprattutto, Nicolas Sarkozy decisero che andava eliminato e l’Italia si macchiò di uno dei tanti tradimenti della sua storia. Gheddafi non era un santo. Non lo era mai stato del resto dal colpo di stato del ’69. Tuttavia la storiella dell’intervento militare realizzato per difendere i diritti umani del popolo libico è una balla colossale. «We came, we saw, he died» disse Hillary Clinton alla Cbs (tra l’altro ridacchiando) parlando della morte di Gheddafi. I neocon volevano la sua testa anche in chiave anti-russa e anti-cinese. Jean-Paul Pougala, economista nonché docente di geopolitica all’università di Ginevra sostiene che la Libia stesse progettando il Rascom1, il primo satellite africano. L’obiettivo del progetto era liberare le telecomunicazioni (internet incluso) africane dal “controllo” occidentale. Pare che Gheddafi chiese ed ottenne un supporto tecnologico russo e cinese al riguardo. Inoltre Gheddafi, nel 2009, aveva minacciato la possibile nazionalizzazione delle compagnie petrolifere. Per gli americani (ed i britannici) nulla è più odioso della parola nazionalizzazione. Salvador Allende venne deposto da un colpo di Stato quando decise di nazionalizzare la produzione del rame; Jacobo Arbenz, in Guatemala, venne costretto alla fuga quando osò consegnare gli ettari incolti appartenenti alla United Fruit Company (l’attuale Chiquita Brands International) ai contadini indigeni senza terra; Mohammad Mossadeq, in Iran, venne allontanato dal potere (operazione Ajax) grazie ad un golpe organizzato dalla Cia e dal MI6 (Military Intelligence Sezione 6, i servizi segreti britannici) perché aveva nazionalizzato l’Anglo-Iranian Oil Company (l’attuale British Petroleum), inclusa la raffineria di Abadan, all’epoca la più grande al mondo; le sanzioni al Venezuela vennero applicate per lo stesso motivo ed Enrico Mattei venne assassinato perché, al posto di liquidare l’Agip come chiedevano gli americani, rilanciò l’industria petrolifera pubblica italiana creando l’Eni e dando filo da torcere alle sette sorelle del petrolio, le principali compagnie multinazionali del pianeta.

Un governo a sovranità limitata

Tuttavia fu soprattutto Sarkozy a pretendere la cacciata di Gheddafi, lo stesso Gheddafi al quale il presidente della République concesse di montare le sue tende beduine a poche decine di metri dall’Eliseo. Ma allora Gheddafi non solo un ottimo amico dello stesso Sarkozy ne era soprattutto un finanziatore. È provato infatti che dalla Libia arrivarono svariati milioni di euro per finanziare la campagna elettorale di Nicolas per le presidenziali (poi vinte) del 2007. Ed un finanziatore è un possibile testimone. Meglio eliminarlo. Inoltre Gheddafi pare stesse realizzando un progetto monetario potenzialmente devastante per gli interessi geopolitici francesi in Africa. Il 2 aprile del 2010 Sidney Blumenthal, funzionario americano già collaboratore del presidente USA Bill Clinton scrisse una mail ad Hillary (all’epoca segretario di Stato) con questo oggetto: France’s client and Qaddafi’s gold. Scrive Blumenthal: «Secondo le informazioni disponibili, il governo di Gheddafi detiene 143 tonnellate di oro e una quantità simile in argento. Verso la fine del mese di marzo 2011 questi stock sono stati spostati a Sabha (sud-ovest in direzione del confine libico con il Niger e il Ciad); presi dai caveau della Banca centrale libica a Tripoli. L’oro è stato accumulato prima dell’attuale ribellione e doveva essere utilizzato per stabilire una moneta panafricana basata sul dinar libico. Questo piano è stato progettato per fornire ai Paesi africani francofoni un’alternativa al franco francese (cfa)». Inoltre nella mail Blumenthal allega un commento del suo informatore: «Secondo individui ben informati tale quantità di oro vale più di 7 miliardi di dollari. Gli ufficiali dei servizi segreti francesi hanno scoperto il piano dopo lo scoppio dell’attuale ribellione e questo è stato uno dei fattori che hanno convinto il presidente Nicolas». Il franco (Cfa), in passato Franco delle colonie francesi d’Africa è tutt’ora una valuta (sulla cui gestione ha ancora oggi una grande influenza la Banca Centrale Francese) utilizzata da molti paesi dell’Africa francofona. Ecco le ragioni della guerra, altro che tutela dei diritti umani! In più la Total mal digeriva gli accordi che l’Eni aveva stretto con il governo libico e premeva affinché tale affinità fosse indebolita.

Un governo a sovranità limitata

Gheddafi non fu il solo uomo politico libico a morire. Il 28 aprile del 2018 a Vienna, nel Danubio, venne ritrovato il cadavere di Choukri Ghanem, ministro del petrolio libico dal 2006 al 2011. Ghanem venne assassinato tra il primo ed il secondo turno delle presidenziali francesi del 2012 che videro trionfare Hollande proprio su Sarkozy. Nel 2020 per i finanziamenti illeciti dalla Libia, la Procura finanziaria nazionale francese ha incriminato Sarkozy per associazione a delinquere e finanziamento illecito. Alcuni potenziali testimoni non possono più parlare. Questa è la storia. Difficile che politici esperti come Napolitano, La Russa e lo stesso Berlusconi (che con Gheddafi, oltretutto aveva uno strettissimo rapporto di amicizia) non sapessero quel che si celava dietro l’intervento militare in Libia. Eppure lo avallarono. Berlusconi era il più riluttante ma alla fine fu costretto a cedere. La sua contrarietà, a mio avviso, dal punto di vista politico aggrava la sua posizione. La Russa (è lui ad averlo detto) fu il penultimo a lasciarsi convincere. I principali sponsor della partecipazione italiana a questa vergogna furono Letta (sempre succube del potere che conta), Frattini (le malelingue sostengono che ritenesse che l’appoggio all’operazione gli avrebbe spalancato le porte della Nato) e, soprattutto Giorgio Napolitano, colui che un tempo applaudì i carri-armati sovietici mentre sedavano nel sangue la sacrosanta rivoluzione ungherese per poi trasformarsi in uno dei principali sostenitori dell’Alleanza atlantica e del capitalismo finanziario. Berlusconi si sarebbe potuto opporre. Non lo fece. La Russa si sarebbe potuto opporre ma non lo fece. Due giorni dopo quell’incontro al Teatro dell’Opera iniziarono i bombardamenti sulla Libia. L’ok lo diede Obama il quale, 529 giorni prima, era stato insignito del Nobel per la Pace. L’Italia diede il massimo supporto all’operazione.

Un governo a sovranità limitata

Oggi la Libia è un paese in macerie. La Turchia (che venne cacciata dal Paese nel 1912 con la guerra tra il Regno d’Italia e l’Impero Ottomano) è tornata a controllare una parte del territorio libico. Erdogan, che già controlla la rotta balcanica, oggi controlla anche parte delle rotte migratorie del Mediterraneo. In più (come tra l’altro profetizzato dallo stesso Gheddafi) il terrorismo islamico è cresciuto a dismisura in Libia negli ultimi anni tanto che alcune cellule dell’Isis si sono formate e addestrate proprio in terra libica. Inoltre la Total si è rafforzata a discapito dell’Eni. Questi i risultati della guerra in Libia. Queste le conseguenze del suicidio italiano. Questi gli effetti di uno dei peggiori tradimenti politici che siano stati consumati negli ultimi anni. Uno dei principali responsabili (ripeto, era ministro della Difesa, non l’ultimo degli uscieri) è stato Ignazio La Russa, oggi Presidente del Senato, Seconda carica dello Stato. Se si intende fare opposizione ad un governo che di sovranista ha poco o nulla è meglio ricordare questo che i busti del Duce che ha in casa. Perché, come scrisse Malcolm X«La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore»

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La guerra e la solitudine di Papa Francesco, tra i pochi a chiedere con forza la pace: ce ne parla Alessandro Di Battista con un commento in apertura. All’interno anche il 2024 in Medio Oriente, la crisi climatica, il dramma dei femminicidi in Italia, la cultura e lo sport. Da non perdere, infine, le rubriche Line-up, Ultima fila e Nel mondo dei libri, realizzate da Alessandro De Dilectis, Marta Zelioli e Cesare Paris.

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