Agli inizi del febbraio del 2022, ero a Parigi con un mio caro amico e collega: parlavamo della questione del Donbass. Le notizie sul fronte ucraino erano preoccupanti, ed io con lui ci domandavamo cosa sarebbe potuto accadere: “Vedrai che ci sarà una escalation nel Donbass e gli ucraini torneranno a bombardare il fronte separatista, sarà la classica news di un mese con titoli che fanno temere il peggio”. Così diceva lui, e così pensavamo in tanti che per anni avevamo coperto quelle aree e seguito la questione ucraina. Nessuno si aspettava quello che è successo il 24 febbraio 2022, ma erano in molti che avevano capito che la minaccia russa era reale e concreta. La città di Kyiv poteva cadere immediatamente, colonne di carri armati russi procedevano in fretta verso la capitale, l’ordine dato da tutte le ambasciate ai giornalisti era quello di andare via il prima possibile perché si temeva che poi nessuno potesse più uscire dalla città. Il governo Zelensky aveva la possibilità di fuggire o rifugiarsi a Lviv, ed invece è rimasto stabile in città, per dare un segnale forte al paese. Milioni di ucraini invece sono fuggiti verso ovest, e ancora mi rimangono impresse le immagini che ho in testa della stazione di Lviv: la piazza affollata, tendoni di organizzazioni non governative, bidoni con il fuoco acceso, sacerdoti che cantavano e pregavano, e migliaia di migliaia di uomini e donne, famiglie e bambini ammassati che cercavano di prendere il primo treno per la Polonia, o magari per l’Ungheria. Giù nel sud del paese, i cittadini di Odessa sulle spiagge affrontavano il vento gelido dal mare per riempire i sacchi con la sabbia e fortificare la città, tutto il paese venne bombardato e città come Kherson e Melitopol furono fagocitate dall’esercito russo. Ovunque si percepiva paura e panico, e le sirene degli allarmi antiaereo si azionavano: una nuova vita per tantissimi sarà nel sottosuolo per ripararsi dai missili che piovono dal cielo. Le stazioni delle metropolitane diventavano la casa di tantissimi ucraini, costretti a dormire nei vagoni dei treni. Per molti questa vita è durata mesi, per altri ancora non c’è stata la possibilità di scegliere di tornare a casa perché ritenuto troppo pericoloso.
Un anno di guerra – Una tragedia senza fine
L’esercito ucraino erano anni che si stava riformando, ma probabilmente, alla fine, saranno cinquemila i soldati morti negli immediati primi cinque giorni di guerra. Adesso i morti tra i militari ucraini sono sicuramente sopra le centomila unità, immaginate solo per ognuno di loro quante siano le persone che piangono per queste perdite. Il paese pare quindi sull’orlo del collasso e mi fa sempre sorridere amaramente quante persone abbiano fatto previsioni su che cosa sarebbe successo dopo. Ogni mese sconvolge le previsioni del mese precedente. L’Ucraina viene ferita nel profondo ma riscopre un’identità nuova, non cercata nelle rivoluzioni in piazza ma affrontata alla ricerca di un nemico comune: il governo di Putin. La “Z” usata dai russi è il simbolo dell’invasore e i notiziari ucraini incominciarono a definire il nemico: orchi. Le due popolazioni, quella ucraina e quella russa, dopo quasi un secolo sotto la stessa bandiera, negli anni ’20 del duemila decidono di separarsi. E anche con la conclusione della guerra ripristinare un dialogo sarà un miracolo. Nelle zone industriali di tutte le città si impara a creare bombe molotov, uomini da tutto il paese si arruolano nei “teroborona”, le milizie di volontari cittadini, e vengono distribuiti kalashnikov in tutte le stazioni di polizia. La tragedia della guerra avrà immagini precise: il ponte di Irpin, la devastazione di Mariupol, i bombardamenti su Kharkiv, l’eccidio di Bucha, la strage della stazione di Kramatorsk. Zelensky non è più solo il presidente di questo paese, ma nel tempo è diventato il volto di un popolo, che nei mesi che passano sarà sempre più stanco, provato. E l’aspetto istituzionale diventa quello di un comandante. Il governo di Putin e i suoi generali erano probabilmente molto convinti di una vittoria veloce, ma il 26 marzo senza risultati evidenti viene lanciata la “fase 2”, un aumento considerevole di uomini e mezzi per arrivare ad una vittoria certa entro la data del 9 maggio. Anniversario celebrato da tutto il paese dell’ex blocco sovietico che in Ucraina non verrà invece più festeggiato. In Ucraina si desidera rimuovere il passato, le piazze e le vie celebrano nuovi ideali: libertà e indipendenza.
Un anno di guerra – La visita di Meloni a Zelensky
Nell’est del paese quindi ’artiglieria russa avanza e città come Lyman e Severodonetsk vengono prese. Il Donbass diventa il fronte più caldo del conflitto, lì non c’è una città sicura, solo città che subiscono magari meno bombardamenti. Il mondo occidentale scopre quanto sia importante l’Ucraina, non solo politicamente ma anche nell’economia generale, nel periodo della raccolta del grano, principale esportazione di questo paese. Ci si domanda come fare, ed è stato fondamentale trovare un accordo per permettere alle navi cargo di partire. In Italia nei supermercati si vede l’eco di questa situazione con vari prodotti che vengono limitati negli acquisti e prezzi di beni di prima necessità che rincarano. A sud di Zaporizzjia, la centrale nucleare di Enerhodar preoccupa tutti i capi di governo del mondo, lo spettro della tragedia di Chernobyl riappare su quotidiani e siti. Nel conflitto partono offensive e controffensive, nei mesi di guerra l’esercito ucraino riprenderà più del cinquanta percento dei territori occupati, come la regione di Kharkiv, dove gli abitanti di Izium non sapevano più niente durante l’occupazione e domandavano ai giornalisti: ”Kyiv è in mano ai russi?”. Ogni territorio liberato però ha brevi festeggiamenti, perché a Bucha, per esempio, vengono scoperte le stragi e il dolore. La strada che collega Izium con Sloviansk è un lungo panorama di edifici distrutti e bruciati. I campi sono costellati da grad piantati nel terreno. Stessa cosa per Kherson, che ha vissuto nel terrore con i servizi di sicurezza russi che cercavano collaboratori e partigiani in ogni casa. Ripresa dagli ucraini, la città tenta di riprendersi ma aldilà del fiume Dnieper arrivano i colpi degli obici costantemente. Intanto l’inverno arriva e la guerra si evolve diventando ibrida: oltre all’artiglieria, anche ripetuti attacchi informatici, ma soprattutto vengono sistematicamente colpite le centrali elettriche. Gli ucraini iniziano a vivere nel buio e nelle case vengono utilizzati i fornelli da campo per poter cucinare. Con i blackout tutti si sentono isolati. Intanto in Europa i governi litigano all’interno dei loro parlamenti perché devono prendere scelte fondamentali: continuare a mandare armamenti o cercare un compromesso che però non sarà mai una vittoria. Siamo ad un anno di guerra, ci si deve domandare se sia il primo o come speriamo tutti l’unico. E proprio per il valore che ha la data del 24 febbraio, gli alleati occidentali dell’Ucraina vogliono in tutti i modi mostrare la propria vicinanza. Il 20 febbraio, a sorpresa, il presidente degli Stati Uniti Biden ha fatto visita al paese, e il giorno seguente la presidente del consiglio Meloni prima dell’incontro con Zelensky ha fatto visita a Bucha ed Irpin. Una visita importante la sua, perché l’Italia ha una maggioranza che ha due terzi dei partiti che hanno da sempre mostrato simpatie filorusse, e leader come Berlusconi continuano nelle loro dichiarazioni a mostrare fortissimi legami con Putin. La primavera si prospetta cupa e molti si domandano quando si potrà parlare di pace. Il governo Zelensky è convinto della vittoria che viene intesa in un solo modo: il totale recupero dei confini precedenti al referendum della Crimea. Non sembra verosimile arrivare a tanto, ma come tutti quanti hanno capito: in questa guerra le previsioni vengono puntualmente smentite.