Partiamo dalle basi e analizziamo la definizione che la World Tourism Organization, agenzia specializzata all’interno del panorama delle Nazioni Unite, dà di turismo sostenibile: è un turismo che “tiene pienamente conto del suo impatto attuale e futuro nell’ambito economico, sociale e ambientale rispondendo alle esigenze dei visitatori, dell’industria, dell’ambiente e della comunità ospitante”. La vacanza deve quindi fare un uso accorto delle risorse ambientali offerte dal territorio aiutando a preservare il patrimonio naturale e la biodiversità. Cionondimeno è necessario che l’offerta turistica rispetti l’identità socioculturale della comunità ospitante conservandone saperi e tradizioni valorizzando la conoscenza di valori diversi e la tolleranza tra popoli. Nel fare questo non va trascurato l’aspetto economico, che deve rivelarsi sostenibile a lungo termine, fornendo benefici equamente distribuiti alla comunità ospitante che attraverso la creazione di posti di lavoro stabili che aiutino a ridurre il tasso di povertà. Si tratta di concetti che ben si inseriscono nel solco tracciato dal Rapporto Brundtland redatto da parte della World Commission on Environment and Development nel 1987 (“Lo sviluppo sostenibile è lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”), poi estesi l’anno successivo al mondo della vacanza dall’Organizzazione mondiale del turismo – e poi ribaditi nel 1995 anche nella Carta di Lanzarote in occasione della Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile – secondo la quale, per iscriversi nell’ambito della sostenibilità, le attività turistiche devono mantenersi vitali per un tempo illimitato senza alterare l’ambiente naturale, sociale e artistico e senza ostacolare o inibire lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche.
Alcuni utili strumenti
In questo contesto l’Unione Europea fornisce strumenti di valutazione e certificazioni che aiutano e incentivano gli attori coinvolti nel settore della vacanza a ridurre il loro impatto. Tra questi troviamo l’ETIS (European Tourism Indicators System) un sistema di indicatori volti a incoraggiare le destinazioni turistiche ad adottare un approccio sostenibile che le aiuti a monitorare le loro prestazioni da un anno all’altro raccogliendo i modo facile ed efficace dati e informazioni dettagliate. È inoltre un utile strumento informativo per i decisori politici, le imprese turistiche e altri soggetti interessati a dettare linee guida su questo argomento. L’Ecolabel – che quest’anno spegne trenta candeline – è invece un marchio di eccellenza ambientale assegnato a prodotti e servizi (compresi quelli turistici) che soddisfano elevati standard ambientali, promuove l’economia circolare e la riduzione di rifiuti ed emissioni di anidride carbonica. Un’altra utile traccia da seguire è quella delineata dal GSTC (Global Sustainable Tourism Council) che mette a disposizione un prontuario con interessanti spunti per le località che vogliono diminuire il proprio impatto sul pianeta e informazioni utili ai turisti che desiderano scegliere località turistiche attente alle problematiche legate alla sostenibilità e, così facendo, viaggiare in modo più consapevole.
Non solo CO2…
Azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050, in gergo tecnico il Net Zero, e limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi centigradi rispetto all’epoca preindustriale entro il 2100: questi sono i traguardi principali ribaditi dalle Nazioni Unite in occasione della COP26 tenutasi a Glasgow tra il 31 ottobre e il 12 novembre 2021. Naturalmente, anche il settore turistico deve fare la sua parte. Infatti, come evidenziato dal report pubblicato congiuntamente nel dicembre 2019 dall’Organizzazione mondiale del turismo e dall’International Transport Forum, Transport-related CO2 emissions from the tourism sector, le emissioni di diossido di carbonio legate al comparto della vacanza sono aumentate del sessanta percento tra il 2005 e il 2016, arrivando a rappresentare il 5% delle emissioni globali. Senza adottare provvedimenti in modo tempestivo, le emissioni relative al mondo del turismo aumenteranno ancora del 25%, se non di più, entro il 2030.
Proprio alla luce di questo, gli operatori del turismo hanno redatto, in occasione della COP26, il documento The Glasgow Declaration: a Commitment to a Decade of Tourism Climate Action: una dichiarazione che vede protagonista il mondo della vacanza nel contribuire a raggiungere gli obiettivi primari individuati dalle nazioni unite. «Il turismo ha un ruolo importante da giocare», ha affermato Zurab Pololikashvili, segretario generale dell’Organizzazione mondiale del turismo. «Benché contribuisca alle emissioni di CO2, è anche fortemente soggetto alla crisi climatica. Ha però il vantaggio di avere un margine di adattamento più ampio di altri settori nell’adattarsi a nuove linee guida di sostenibilità». È chiaro però che ci sia uno sforzo da parte di tutti gli attori del comparto ed è cruciale lavorare insieme per trasformare in positivo l’impatto del turismo, come ribadito anche da Jeremy Smith cofondatore di Tourism Declares a Climate Emergency, tra i promotori della Glasgow Declaration.
Ma noi, in qualità di turisti, come possiamo scegliere una vacanza a basso impatto?
Uno spunto interessante viene da uno studio pubblicato nel 2019 dal Norsus, l’Istituto norvegese per la ricerca sulla sostenibilità e commissionato dall’associazione dei produttori di camper e caravan norvegesi, Hvor klimavennlig er det å ta med seg hytta på ferie? Et klimagassregnskap for bobiler (Quanto è ecologico portarsi la casa in vacanza? Un resoconto sui gas serra dei veicoli ricreazionali), ad opera di Andreas Brekke, Simon Saxegård, Mona Nilsen e Lars Tellnes: non solo mette in conto le emissioni relative al viaggio ma considera anche quelle derivanti dai processi di produzione del mezzo usato per spostarsi o della struttura nella quale si soggiorna.
Il grafico proposto evidenzia come, tra le numerose opportunità di vacanza prese in considerazione dello studio scandinavo, la modalità di gran lunga più inquinante sia rappresentata dalla crociera; tanto che i ricercatori norvegesi propongono una seconda tabella di confronto che esclude la crociera per permettere di rendere più evidenti le differenze tra le altre forme di turismo. Se non teniamo conto della possibilità di trascorrere le ferie a casa, possiamo notare come le modalità di vacanza itinerante – insieme al cottage – siano quelle che hanno ottenuto i risultati migliori: oltre alla vacanza in tenda, caravan e camper, aggiungerei un’altra possibilità che viaggia sempre nella stessa ottica, ovvero i cammini e le ciclovie.
Questo modo di viaggiare, al di là di minori emissioni, presenta un ulteriore vantaggio rispetto all’inquinamento ambientale legato alle attività turistiche. Chi viaggia con la casa al seguito – o si accontenta dell’accoglienza di un ostello per pellegrini – non necessita di strutture ricettive dall’alto impatto paesaggistico. Raggiunge un territorio, lo visita per qualche ora o una notte, e poi riparte senza lasciare tracce di cemento dietro di sé. È una modalità di viaggiare libera, che non si lega mai al suolo e che lascia i futuri avventori liberi di godere appieno del territorio senza che questo debba subire deturpazioni permanenti.
Tra territorio e comunità
Per quanto riguarda economia, cultura e società, nella sezione dedicata al turismo sostenibile sul portale dell’Unione Europea si trovano alcune parole chiave che invitano a una riflessione più profonda. Tra queste vi è sicuramente la destagionalizzazione: un flusso turistico moderato e ben distribuito durante tutto l’arco dell’anno giova all’economia e alla società del territorio ospitante ben più di una nutrita massa di persone concentrate tutte nello stesso periodo. Strutture ricettive, spesso mal integrate nel territorio, in grado di accogliere un ingente numero di turisti per qualche mese restano vuote per il resto dell’anno, deturpando in maniera irreversibile il panorama; allo stesso tempo la stagionalità nell’offerta di lavoro non garantisce un reddito stabile agli abitanti del luogo. È meglio quindi investire in un modello di accoglienza che favorisca un flusso turistico destagionalizzato e adeguato alle capacità ricettive del territorio, favorendo forme di turismo slow, che certamente non portano a un rapido incremento dei redditi turistici, ma che garantiscono invece la vitalità del territorio nel medio e lungo periodo, incentivando la filiera corta e coinvolgendo la comunità del luogo.
Una forma di turismo che ben si sposa con questa filosofia è sicuramente quella del turismo esperienziale volto a valorizzare il patrimonio umano e culturale che il territorio ha da offrire, permettendo ai visitatori di entrare in contatto con gli abitanti del luogo e sperimentando in prima persona le tradizioni e gli usi del territorio. Quel che si porta a casa è ben più di un souvenir: si ha la possibilità di arricchire il proprio bagaglio culturale di nuove conoscenze e abilità che non si sarebbero potute acquisire altrove. E allo stesso tempo si apporta benefici all’economia del luogo, gratificando – ad esempio – piccoli produttori e artigiani. Tra i numerosi esempi di questa forma di turismo possiamo citare senza meno le Smart Ways, innovative proposte ideate dalla Rotta dei Fenici Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa, che si stanno sviluppando in varie aree del Mediterraneo. Sono percorsi di eccellenza che mirano a creare integrazione tra il territorio e le attrazioni attraverso la riscoperta di cultura, saperi e tradizioni che vengono proposti coinvolgendo operatori turistici e culturali, enti locali, scuole professionali, associazioni, giovani, comunità locali, gestori di siti culturali e musei.