Di sicuro un vincitore c’è stato al primo turno delle elezioni generali dello scorso 14 maggio 2023 in Turchia: l’affluenza, mai così alta per il rinnovo della presidenza della Repubblica e della Grande Assemblea Nazionale Turca, il Parlamento. Record di partecipazione popolare nella storia recente del Paese con una affluenza di quasi il 90%: l’88,44% degli aventi diritto ha infatti espresso la propria preferenza per la presidenza della Repubblica mentre per le elezioni parlamentari è arrivata all’85,14%. Un “trionfo della democrazia”, lo ha definito il presidente Recep Tayyip Erdogan nell’incontro notturno di domenica scorsa con i suoi sostenitori di fronte alla sede dell’AKP, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo di cui è fondatore e leader, ad Ankara, durante il quale ha sottolineato ancora una volta la grande partecipazione elettorale dei cittadini, ormai già nella storia della Turchia. Seppur senza essere stato proclamato ancora una volta il vincitore, almeno per ora: nel pomeriggio del 15 maggio, dopo lo spoglio elettorale, il Consiglio elettorale di Ankara Ysk ha infatti annunciato ufficialmente che il 28 maggio si terrà il ballottaggio delle elezioni per il rinnovo della presidenza della Repubblica, confermando con i suoi dati che nessun candidato ha superato la soglia del 50% per vincere al primo turno. Tutto da rifare, quindi, tra Erdogan e Kiliçdaroglu, 49,51% dei voti il primo contro il 44,89% del secondo, il dodicesimo e attuale presidente contro il leader del Partito Popolare Repubblicano, il sultano contro il Ghandi turco. Un risultato tutt’altro che scontato e che vedrà i due sfidanti fare di tutto pur di vincere.
In Turchia vince l’affluenza – Erdogan, l’Imam Beckenbauer e il sultano presidente
Ha sempre vinto al primo turno delle precedenti consultazioni, nessun errore né inciampo dal 2014 a oggi, e quest’anno non è stato da meno. Stiamo parlando di Recep Tayyip Erdogan, classe 1954, l’uomo al potere della Turchia da 20 anni che adesso si gioca il tutto per tutto per non cedere la presidenza. Religioso, nato a Istanbul nel quartiere popolare di Kasimpasa da una famiglia islamica della classe operaia originaria di Rize, una città sulla costa del Mar Nero, dove il padre era capitano della Guardia Costiera turca. Comincia a lavorare fin da piccolo e durante gli studi si appassiona al calcio tanto da giocare per 16 anni e conquistarsi il soprannome di “Imam Beckenbauer”, come il famoso giocatore tedesco. Il pallone non è però l’unica passione di Erdogan, che a soli 15 anni comincia a partecipare ai primi incontri e alle prime manifestazioni del Mttb, l’unione nazionale degli studenti turchi. Dopo l’università, il colpo di Stato militare del 1980 e il servizio militare, ritorna all’attività politica nel 1983, con la creazione del terzo partito islamista da parte di Erbakan, il Partito del welfare, Rp, e nel 1994 diventa sindaco di Istanbul. Durante il mandato riesce a gestire il traffico, i problemi della raccolta dei rifiuti e quelli relativi alle risorse idriche: il governo cittadino costruisce centinaia di chilometri di nuovi condotti, crea impianti di riciclaggio all’avanguardia, mentre il traffico cittadino e gli ingorghi vengono ridotti con la costruzione di più di cinquanta ponti, viadotti e autostrade e con un rinnovo del trasporto pubblico. Lontani i tempi delle opere pubbliche di successo con la conta dei morti e dei danni che ha lasciato il terremoto dello scorso febbraio quando Erdogan è stato accusato di non aver reagito in fretta al disastro naturale, inviando in ritardo gli aiuti necessari nei territori colpiti, e in generale di non essere stato sufficientemente preparato a un evento di questo genere, benché il suo paese sia notoriamente esposto ai terremoti. Nonostante le critiche e il malore in diretta tv di fine aprile, a due giorni dalle elezioni Erdogan ha ricordato la notte del tentato colpo di Stato in Turchia del 15 luglio 2016 che fu fermato dopo che lui stesso chiese alla popolazione di scendere in strada per confrontarsi con i militari golpisti. “Quando è necessario, come durante la notte del 15 luglio, rivendichiamo la nostra indipendenza e il nostro futuro a costo della nostra vita”, ha scritto il presidente turco sui suoi account social in un messaggio rivolto agli elettori per convincerli a votarlo alle elezioni del 14 maggio. “Non importa quali siano le trappole davanti a noi, non smetteremo di servire il nostro Paese”, ha aggiunto Erdogan affermando che “se Dio vuole, inizieremo la costruzione del secolo della Turchia il 14 maggio”.
In Turchia vince l’affluenza – Kemal Kiliçdaroglu, il “Gandhi turco”
A fermare momentaneamente il progetto di Erdogan, un settantaquattrenne da milioni di visualizzazioni sui social e un cognome tutt’altro che facile da pronunciare, Kemal Kiliçdaroglu. Nessun influencer, anche se i numeri che ruotano attorno al suo profilo farebbero invidia a chiunque, soprattutto dopo pochi giorni dalla pubblicazione su Twitter del video “Alevi.” lo scorso 19 aprile, il più visto sul social dal 2022 superando addirittura quello di una giocata di Lionel Messi. Il contenuto di 3 minuti con cui Kemal Kiliçdaroglu ha parlato della sua identità di appartenente alla minoranza religiosa alevita, è solo uno dei tanti postati dal candidato di opposizione determinato a mettere fine ai 20 anni di potere del presidente in carica. Cresciuto proprio in una famiglia alevita, la seconda corrente dell’Islam più diffusa in Turchia dopo i sunniti – gli aleviti in Turchia si sono sempre distinti per una visione progressista dell’Islam, creando divisioni e relegandoli a volte a un ruolo secondario -, è nel 2002 che Kiliçdaroglu viene eletto per la prima volta nel parlamento di Ankara, e da vicepresidente nel 2007 denuncia i casi di corruzione costringendo alle dimissioni un parlamentare dell’Akp. Evento che gli dà visibilità fino ad essere scelto come candidato sindaco di Istanbul nel 2009, città che lo renderà famoso non da primo cittadino, a differenza del rivale Erdogan, divenuto figura politica di rilevanza nazionale proprio come sindaco della ex Costantinopoli dal 1994 al 1998. La svolta della carriera politica di Kiliçdaroglu arriva qualche anno più tardi, nel 2017, quando indice e guida la “marcia per la Giustizia”, 450 km a piedi da Ankara a Istanbul per denunciare la condanna per spionaggio di un parlamentare Chp, Enis Berberoglu, accusato di aver passato al quotidiano Cumhuriyet informazioni coperte da segreto di stato.
In occasione della marcia pacifica in cui prendono parte centinaia di migliaia di persone in circa 3 settimane, Kiliçdaroglu continua imperterrito a marciare, invitando i suoi sostenitori a non rispondere alle provocazioni da parte di militanti del partito del presidente e dei suoi alleati. Gesto che gli valse anche all’estero il soprannome di “Gandhi turco”. La coalizione di sei partiti che ha sfidato Erdogan nasce solo nel 2020, e in poco tempo il partito di Kiliçdaroglu arriva a contare su una percentuale di consenso compresa tra il 24% e il 28%. Oltre al video virale in cui ha rivendicato la propria appartenenza alla minoranza musulmana alevita, rompendo quello che da sempre era stato un tabù della politica turca, ci sono anche i filmati più “casalinghi” girati proprio nella cucina di casa: tra i più famosi quello dove con una cipolla in mano, alimento fondamentale nella tradizione culinaria turca, Kiliçdaroglu spiega gli effetti dell’inflazione e la conseguente deriva dell’economia turca. “Se il presidente resta al potere – chiosa Kiliçdaroglu -, “un chilo di cipolle arriverebbe a 100 lire (4,67 euro) dalle 30 di oggi”. Nonostante siano in molti a vedere Erdogan il favorito al secondo turno, Kiliçdaroglu a sua volta si è detto sicuro di vincere, promettendo di lottare “fino alla fine” per battere Erdogan: “Io sono qui e voi siete qui”, ha detto mettendosi una mano sul cuore in un altro video diffuso sui social. In attesa che sia di nuovo la democrazia a parlare, questa volta con tanto di vincitore.
(foto copertina LaPresse)