Il 13 gennaio scorso Lai Ching-te è stato eletto e ora intende mettere in atto uno dei principali punti cardini del suo impegno politico
Il 13 gennaio scorso Lai Ching-te è stato eletto presidente di Taiwan. Con oltre il 40% dei voti ha conquistato il suo mandato portando, nuovamente, il Partito Progressista Democratico (DPP) alla guida del Paese. Lai, infatti, prende il posto di Tsai Ing-wen – anch’essa appartenente al DPP – che ha ricoperto il ruolo di presidente dal 2016, ottenendo due volte il mandato.
Entrambi condividono, non solo la provenienza di partito, ma anche e soprattutto uno dei principali punti cardine del loro impegno politico: resistere ai piani della Cina di annettere Taiwan. Gli altri candidati erano Hou Yu-ih, in corsa per i nazionalisti del Kmt (il Kuomintang), che ha ottenuto il 33,38% dei consensi, mentre il terzo candidato Ko Wen-je, del Partito popolare (Tpp), ha raggiunto quota 26,34%.
La vittoria di Lai e le reazioni dell’Occidente
Molti sono stati i leader mondiali che si sono congratulati con Lai, a partire dagli Stati Uniti. Un portavoce del Dipartimento di Stato americano si è rivolto con gratitudine direttamente al popolo taiwanese “per aver dimostrato ancora una volta la forza del suo solido sistema democratico e del suo processo elettorale“. Eppure, lo stesso presidente USA Joe Biden – parlando con i giornalisti poco dopo il risultato ottenuto da Lai – nell’annunciare la sua intenzione di inviare una delegazione non ufficiale a Taiwan nei prossimi giorni, ha voluto ribadire che no, gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza di Taiwan.
Alle lodi americane si sono aggiunte anche quelle di Regno Unito, Unione Europea e Canada. In particolare è stato il segretario agli Esteri del Regno Unito, David Cameron, a definire il voto taiwanese come “una testimonianza della vibrante democrazia di Taiwan”. La reazione cinese a questo fronte a sostegno di Taipei non può che essere stata fortemente critica, soprattutto nei confronti degli Usa. Il ministero degli Esteri cinese ha dichiarato domenica che la dichiarazione del Dipartimento di Stato americano “ha violato gravemente le promesse degli Stati Uniti di mantenere solo legami culturali, economici e altri legami non ufficiali con Taiwan“.
La questione Taiwan e il complesso rapporto con la Cina
Non è semplice analizzare il contesto socio-politico e storico di Taiwan e il perché se ne è sempre parlato molto come una delle più complesse e annose questioni internazionali. Queste elezioni confermano la fragilità di un equilibrio geopolitico che va oltre le due capitali asiatiche, Taipei e Pechino, e che coinvolgono potenze terze interessate a tenere a bada le influenze cinesi nell’area geografica interessata. Il programma elettorale prima e poi i discorsi da neo-presidente di Lai Ching-te, riassumono il clima di tensione predominante nel Paese. “Come presidente, ho l’importante responsabilità di mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan“, ha dichiarato Lai in una conferenza stampa, aggiungendo poi di essere anche “determinato a salvaguardare Taiwan dalle minacce e dalle intimidazioni della Cina“.
“Agirò in conformità con il nostro ordine costituzionale democratico e libero”, ha aggiunto, “in modo equilibrato e mantenendo lo status quo tra le due sponde dello Stretto”. Lai, però, ha anche parlato di dignità e parità come principi da rispettare e tutelare: “useremo gli scambi per sostituire l’ostruzionismo, il dialogo per sostituire il confronto e presenteremo con fiducia la cooperazione con la Cina“. Dall’altra parte dello stretto che separa i due Paesi, la Cina mostra il suo lato più diffidente, etichettando ripetutamente Lai come un “ostinato lavoratore per l’indipendenza di Taiwan” e un pericoloso separatista, affermando che il suo Partito Democratico Progressista al governo non rappresenta l’opinione pubblica tradizionale. “Taiwan è la Taiwan della Cina“, ha dichiarato Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese, poco dopo che Lai è risultato vincitore al voto.
La “questione Taiwan” ha radici storiche lontane. Il Paese è uno stato sovrano insulare, il cui territorio è composto da un gruppo di isole al largo delle coste cinesi, tra cui la principale è quella di Taiwan. Dista circa 180 km dalla Cina continentale, tra il Mar Cinese Meridionale e quello Orientale. Dopo anni di occupazione e dominazione giapponese, durate fino alla Seconda Guerra Mondiale, l’isola di Taiwan tornò sotto il governo della Repubblica di Cina, guidata del Guomindang (Gmd), il partito nazionalista retto da Chiang Kai-shek. Nel 1949 il Gmd fu sconfitto nel corso della guerra civile cinese che lo vedeva opposto al partito comunista di Mao. A quel punto Chiang Kai-shek si ritirò sull’isola, dando vita all’odierno stato di Taiwan. La rivendicazione di indipendenza di Taipei da un lato e quella di controllo politico e riunificazione dell’isola al territorio cinese avanzata da Pechino, proseguono, dunque, da decenni.
La forza economica di Taiwan
Il potenziale economico di Taiwan è innegabile. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il suo reddito pro-capite è di 32.340 dollari. Il successo dell’isola è cresciuto negli ultimi anni anche grazie al conquistato primato di primo produttore mondiale di semiconduttori (materiali speciali utilizzati per realizzare le componenti di base dei chip e tutte le altre componenti fondamentali dell’elettronica). Proprio per le sue risorse, Taiwan ha portato avanti stretti rapporti commerciali con la Cina, primo acquirente assoluto dei semiconduttori.
Il neo eletto Lai e il suo partito DPP ora al governo, puntano a una politica economica dinamica che difficilmente potrà distaccarsi dalla consolidata relazione commerciale con Pechino. Tuttavia, Lai deve affrontare l’arduo compito di facilitare un dialogo significativo attraverso lo Stretto di Taiwan senza cedere troppo alle pressioni cinesi. L’economia di Taiwan, orientata all’esportazione, si basa sulla partecipazione a blocchi commerciali regionali e questo lascia intendere che ci si aspetta che l’amministrazione di Lai intensifichi la partecipazione a diversi accordi commerciali come l’Accordo globale e progressivo per il Partenariato trans-pacifico e il Quadro economico indo-pacifico. Taipei intende emanciparsi dalla crescente coercizione economica cinese e, soprattutto, evitare di essere emarginata nell’economia globale.