Switzerland Beauty, goodbye Roger

La bellezza è potere; un sorriso è la sua spada. Il drammaturgo Charles Reade (1814-1844) spiegava così l’armonia verso lo splendore. Dall’Inghilterra alla Svizzera, forse un gesto spontaneo, la consapevolezza di illuminare il buio quando la notte diventa puntuale. D’altronde è una questione di suoni e aspettative, come Franz Liszt e il suo violino, scoperto e mai lasciato. Un rovescio in back di Federer irradierà per sempre un rumore diverso e non rimbalzerà mai allo stesso modo, fragore di palline infinite lo raccontano da decenni. È stato così per 24 anni, 103 tornei vinti, 20 slam e 310 settimane da numero 1 del ranking mondiale, un’epoca di talento/i irripetibile. Qualche anno fa lo scrittore David Foster Wallace venne ingaggiato dal New York Times per un’inchiesta/documentario su Wimbledon e Federer, un’avventura che lui stesso definì paradossale e allo stesso tempo mistica: “Se non avete mai visto il ragazzo giocare dal vivo e poi lo fate, di persona, sulla sacra erba dell’All England Lawn Tennis, con una canicola che vi prosciuga seguita da vento e pioggia, com’è successo nelle due settimane del 2006, siete tagliati per vivere quella che un conducente delle navette riservate alla stampa definisce “una fottuta esperienza religiosa”. Anni di ribellioni e capelli ossigenati, ne è passato di tempo prima che Roger confessasse la sua passione per il Tignanello e i Bolgheri di Guado al Tasso e Sassicaia, alcuni tra i più prestigiosi vini rossi italiani. Da ragazzo invece impazziva per la Coca Cola, spaccava almeno un paio di racchette al giorno e perdeva match contro avversari improbabili e nettamente inferiori a lui. Un’inquietudine mai sopita, un senso di rivalsa e nausea costante. Trascorreva le giornate a studiare Boris Becker davanti alla tv: non voleva imitarlo, soltanto vincere a modo suo. Ma perdeva in continuazione, una sconfitta dopo l’altra. Più accadeva e più si sentiva umiliato, nervoso, fuori di sé, inadatto a questo sport.

Switzerland Beauty, goodbye Roger

Peter Carter, il suo primo maestro

Gli ha insegnato molto, non tutto. Credeva in lui e pensava che sprecare un talento così rappresentasse un insieme di bestemmie sconosciute ai più. Era terrorizzato, Peter Carter, non voleva che Roger buttasse via la sua vita. Eppure le condizioni c’erano proprio tutte: talento estremo, fragilità mentale e poca voglia di fare sul serio, il mix perfetto per cambiare mestiere e ricominciare da capo. Tutto questo fino al 2002, quando Carter morì in un incidente stradale in Sudafrica: da lì Federer cambiò completamente il suo approccio al tennis, allenandosi con costanza e impegno, come dichiarato in un’intervista rilasciata nel 2019 alla CNN: “Immagino che non volesse che sprecassi il mio talento. Credo che la sua morte sia stata una specie di sveglia per me, da quel momento iniziai a lavorare davvero duramente”. Incontri fortunati e al momento giusto, la sua carriera svolta con l’arrivo di Mirka Vavrinec, ex tennista slovacca ritiratasi prematuramente per un grave infortunio nel 2002, moglie e madre dei suoi figli. La stampa è arrivata a definirla la Monna Lisa del tennis mondiale, tutti la conoscono ma in pochi sanno quali emozioni esprime realmente il suo viso, proprio come la Gioconda esposta al Louvre.

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La signora Federer non rilascia interviste da quindici anni, parla solo con il marito e non amava condividere nulla già in epoca pre social. Conservare un alone di mistero nella Digital Era rappresenta un valore inestimabile, e non c’è da stupirsi che nel 2017 sia diventata la donna svizzera più cercata su YouTube. È una delle personalità più influenti nel mondo del tennis, lo stesso Roger ha più volte detto di doverle tutto. Di recente hanno chiesto a Nick Kyrgios quale fosse la cosa più difficile nell’affrontare Federer: “Quando Mirka fischia nella tua direzione tra la prima e la seconda di servizio”, ha risposto l’australiano. Senza dimenticare l’alterco con Stan Wawrinka durante le ATP Finals 2014, una settimana prima della finale di Davis. Wawrinka dovette chiedere al giudice di sedia di farla calmare, e per qualche giorno si temette che l’incidente diplomatico potesse avere qualche ripercussione prima della storica finale contro la Francia: “Sono felice che mi sostenga e si assuma una parte enorme nella crescita dei nostri figli. Senza Mirka, la mia vita tennistica non avrebbe avuto così tanto successo”, ha raccontato il re.

Rafael Nadal e Novak Djokovic

Pensi a uno, vedi l’altro. Ti immagini un colpo, senti il rumore. Come Borg-McEnroe e Sampras-Agassi. Anzi, di più. Milioni di appassionati, sfide leggendarie, pronostici ribaltati e la capacità di incollare tutti al televisore. Federer contro Nadal: il destro e il mancino, l’eleganza e il furore agonistico, il rovescio a una mano e quello a due. E poi lacrime e incontri infiniti, gioie e dolori, giocate senza logica, forse la più grande rivalità mai esistita nella storia del tennis. Ingiocabile lo spagnolo sulla terra, fantascientifico lo svizzero sull’erba, partivano (quasi) in parità soltanto sui campi in cemento di Flushing Meadows e Melbourne. Si è aperto così uno dei confronti più spettacolari dello sport moderno, in grado di polarizzare fortemente i tifosi di tutto il mondo e di qualsiasi generazione. Da una parte muscoli, corsa, grida, voglia di incitarsi a ogni punto, canotte, pantaloncini sotto al ginocchio e bicipiti in bella mostra; dall’altra eleganza, precisione, sobrietà anche dopo i colpi più applauditi, giacche e cardigan per entrare in campo. C’è la Svizzera mite e distaccata; la Spagna più accesa e passionale, culture e abitudini diverse. Di uguale resta soltanto il talento. Fenomeni allo stato più puro. Atleti di uno spessore umano e sportivo sopra ogni aspetto. La storia ha già ringraziato più volte.

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La verità, dietro a questa rivalità, è che senza Nadal a rompergli le uova nel paniere Federer poteva vincere 30 slam e ritirarsi nel 2015. La sua carriera poteva essere cento volte più vincente, ma sarebbe stata cento volte meno completa. Nadal ha preso Federer e lo ha riportato sulla terra. Lo ha obbligato a risorgere, a finire il lavoro. Tra di loro intercorre un rispetto che va oltre al livello dei giocatori. E lo si può capire dal messaggio che lo stesso Rafa ha deciso di dedicare all’addio di Roger. Tra la Svizzera e la Spagna, nel corso degli anni si è inserita anche la Serbia, capace di tirare fuori un altro fuoriclasse. Novak Djokovic è il terzo “mostro” di un periodo irripetibile, insieme hanno cancellato intere generazioni di tennisti. Senza considerare le finali perdute tra di loro (10 da Federer, 7 da Nadal e 6 da Djokovic), gli avversari che i “meravigliosi tre” hanno superato nelle finali slam sono addirittura 23: otto volte Murray, quattro volte Roddick, tre volte Medvedev e Thiem, due volte Anderson, Cilic e Soderling, una volta Agassi, Baghdatis, Berdych, Berrettini, Del Potro, Ferrer, Gonzalez, Hewitt, Kyrgios, Philippoussis, Puerta, Ruud, Safin, Tsitsipas, Tsonga e Wawrinka. E di questi 23, ben 13 non hanno mai vinto un torneo del Grande Slam.

Switzerland Beauty, goodbye Roger

Non è il più vincente, Roger (20 slam conquistati contro 21 e 22 di Djokovic e Nadal), ma sicuramente il più bello da ammirare, quello che quando colpisce la pallina il suono della racchetta è diverso da tutti gli altri. In questi anni ha avuto il merito e la capacità di avvicinare tanti bambini al tennis, di crescere talenti nuovi e di vederli sbocciare magari proprio contro di lui. Molti hanno ripreso a giocare il rovescio a una mano, a curare di più l’estetica e la pulizia del colpo, Roger è stato un esempio di sportività e meraviglia. Adesso però il giorno dell’addio è arrivato, la Lavers Cup sarà il suo ultimo torneo. Difficile paragonare campioni di periodi storici differenti, ma Federer, assieme a Bill Tilden, Don Budge, Lew Hoad, Rod Laver, Rafa Nadal e Novak Djokovic, si è conquistato un posto tra i più grandi di sempre. Lo sport dice addio, si alza in piedi e applaude.

La bellezza è Roger Federer; un rovescio in back è la sua spada.

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