Bruce Springsteen, il rocker dal successo planetario e i 40 anni del mitico album Born in the U.S.A.: le curiosità che hanno creato un mito
Bruce Springsteen, noto come il Boss, il rocker degli emarginati e del ceto dimenticato, il rappresentante degli ultimi nel mondo del rock. Il menestrello dell’America che parla della sofferenza di chi vive senza lavoro, senza una sicurezza economica, che urla tutta la tempesta di chi non ha voce.
Springsteen è per molti una forma di fede, le sue cattedrali sono gli stadi, che riempie sempre e che come un’onda dirompente fa implodere ogni volta che sale sul palco e dà il via ai suoi concerti. Il suo “one, two, three, four” che spacca timpani e cuori, che mette le ali ai suoi appassionati, gli springsteeniani, un popolo che spesso lo segue in più tappe dei suoi tour mondiali. Sì, perché ogni concerto del Boss è diverso e unico e quindi vedere più di un’esibizione dello stesso tour non è mai ridondante.
L’artista è una certezza, di qualità, di emozioni e di scosse di vita senza eguali. Chiunque abbia partecipato a un suo concerto, springsteeniano o meno, è uscito illuminato da quella presenza, dalla performance dell’incredibile durata di oltre tre ore (tempistica assai rara), dalla potenza e dall’intensità di ogni singola canzone.
Devozione, e anche molto altro per chi ama la musica del ragazzo del New Jersey, ormai da tempo riconosciuto come uno dei più grandi rocker della storia. Nato nel 1949 in una città operaia, Springsteen è un giovane arrabbiato per via delle difficoltà lavorative del padre. Una condizione che aveva reso l’uomo – secondo le parole del Boss – insicuro, infuriato e violento.
In ogni sua canzone è evidente il riferimento con quanto vissuto a causa di questa condizione. Nei suoi testi parla del desiderio di una vita migliore, (Born to run) della terra promessa (A promised land). Invita a lottare, a non arrendersi, a sognare ancora.
Springsteen compirà quest’anno 75 anni, il 23 settembre, non è più tanto un ragazzo, anche se per chi lo ama sarà sempre il giovane in canottiera bianca e jeans aderenti. Come ben noto, alcune tappe del tour Europeo del 2024 sono dovute slittare a causa di un problema alle corde vocali. Tra queste vi erano anche le due date di Milano, sua roccaforte da quel lontano 21 giugno 1985 quando arrivò la sua zampata nel Bel Paese con il primo concerto italiano a San Siro.
Bruce Springsteen, i 40 anni di Born in the U.S.A.
In quel suo primo concerto italiano il Boss iniziò proprio con Born In The U.S.A.: lo stadio era carico come non mai, la novità della presenza di Springsteen su suolo italiano aveva mandato i suoi già numerosissimi fan in visibilio. Nello stadio, al secondo anello, troneggiava il cartello “Bruce Zerilli”, omaggio alla mamma Adele, figlia di Antonio, da Vico Equense.
Quel giorno, Springsteen prese il feudo di Milano per sé e da allora, da quel lontano giugno, è sempre rimasto un suo favorito, non ha mai nascosto quanto per lui fosse importante suonare lì, quanto fosse grande il suo amore per l’Italia, in onore proprio alle sue origini. Come quando nel concerto del 3 giugno 2013 a Milano parlò in italiano per dire che avrebbe fatto, come quell’anno fatidico, tutte le canzoni dell’album.
Born in The U.S.A.: curiosità su un mito del rock
Born in the U.S.A. è il settimo album in studio di Springsteen ed è stato pubblicato il 4 giugno 1984: quarant’anni suonati proprio oggi per un’opera che non smette di emozionare. È l’album che riapre le porte al rock dopo Nebraska, un lavoro con un sound più folk.
Il brano che dà il nome all’album è stato per anni scambiato per un inno agli Stati Uniti, Springsteen stesso ha spesso dovuto spiegare come in realtà sia tutto l’opposto e ha dovuto aggiustare sovente il tiro ogni qualvolta un politico americano – vedi Reagan – tentava di utilizzarlo come ‘sponsor’.
Il brano è in realtà una critica molto pesante sul coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, in particolare parla dei veterani e di quello che hanno dovuto affrontare. Il Boss durante un’intervista a Rolling Stone del 1984 ha precisato:
Penso che ciò che sta succedendo ora è che la gente ha voglia di dimenticare. C’è stato il Vietnam, c’è stato il Watergate, c’è stato l’Iran – siamo stati sconfitti, ci hanno fatto pressione e per finire siamo stati umiliati. Penso che la gente abbia bisogno di provare sentimenti positivi nei confronti del proprio Paese. Ciò che sta accadendo ora, a mio parere, è che questo bisogno – che è una cosa bella – viene manipolato e sfruttato. “E vedi gli annunci per la rielezione di Reagan in TV – sai: ‘È mattina in America’. E dici, beh, non è mattina a Pittsburgh. Non è mattina sopra la 125esima Strada a New York. È mezzanotte.” Ed è come se ci fosse una luna nefasta in alto nel cielo. Ecco perché quando Reagan ha fatto il mio nome in New Jersey l’ho percepita come un’altra manipolazione, e ho sentito il dovere di dissociarmi dalle parole gentili del Presidente.
Born in the U.S.A., la copertina iconica
L’album presenta una copertina che è diventata un’immagine cult del rock. Si tratta infatti del posteriore di Springsteen. Si dice che mentre il rocker si trovava con la famosa fotografa Annie Leibovitz per preparare la cover, questa, dopo aver visionato diversi scatti fatti al volto di Springsteen, non era ancora soddisfatta e vide quella fatta di spalle. Chiese quindi se per caso non preferisse quell’immagine per il disco. La leggenda dice che Bruce non esitò a replicare: “Certo, meglio vedere il mio sedere che la mia faccia”.
Altri invece dicono che sia stato tutto studiato e che la copertina sia già di suo una presa di posizione politica, proprio legata al fatto che nel 1984 venne rieletto il Presidente repubblicano Ronald Reagan. Il cappellino rosso nella tasca dei jeans era secondo alcuni un riferimento al codice Hanky legato alla sfera omosessuale. Altri invece dicono che la posizione ambigua, dove sembra che Springsteen stia urinando, sia un atto di protesta contro la bandiera americana.
Born in the U.S.A. inizialmente era stata registrata in versione acustica per Nebraska, solo il Boss che suona la chitarra e la sua voce. E lui l’avrebbe voluta così. Il pianista, tuttavia, decise di dire la sua in merito, ovvero che in questo modo la canzone non era abbastanza potente. Springsteen gli chiese un riff al pianoforte, che il musicista immediatamente creò, un suono inconfondibile diventato la chiave di volta di un inno. La demo della versione acustica la si può trovare in Tracks.
Mentre il secondo brano dell’album, Cover me, era stato scritto come omaggio per Donna Summer, la regina della disco music. Il suo produttore John Landau, però, si oppose, dicendo che non poteva assolutamente dare a nessuno una canzone che sarebbe certamente diventata una hit. E in effetti il brano arrivò ai primi posti della classifica.
Un album che richiese da parte del rocker un lavoro immenso – come da sua abitudine –, per farlo arrivò a scrivere più di 70 brani. L’album ne contiene 12. Alcune delle canzoni escluse vennero pubblicate in Tracks del 1998, altre invece vennero rese celebri da altri, come Pink Cadillac da Natalie Cole oppure utilizzate dallo stesso Bruce durante i concerti come My Love Will Not Let You Down.
Un’altra chicca molto interessante riguarda il brano My Hometown. La copertina del singolo vede Springsteen in piedi vicino a una staccionata e alle spalle una casa di periferia. Si tratta proprio della dimora in cui è cresciuto il giovane Bruce al 39 e mezzo di Institute St. Freehold NJ. Invece, per il brano Glory Days il video venne girato nel Maxwell’s di Hoboken, un locale iconico, e i baristi che si vedono sono proprio quelli veri. Il locale purtroppo ha chiuso i battenti nel febbraio del 2018.
Springsteen tra Brian De Palma e Courtney Cox
Un parto vero e proprio quello di Born in The U.S.A., che ha sfinito il Boss. Quando aveva quasi terminato il suo lavoro e si sentiva arrivato, il produttore discografico, sempre il sopra citato John Landau, gli fece presente che mancava assolutamente qualcosa. Quel qualcosa era un brano ballabile, qualcosa di commerciale, diciamo. L’artista era furioso e sfinito dopo due anni impiegati per lavorare all’album. Si mise comunque nuovamente seduto e in una sera scrisse Dancing in the Dark, che chiaramente fu l’ultima canzone a entrare tra le dodici.
Tra i tanti nomi importanti coinvolti nella vita artistica del Boss vi è anche il regista Brian De Palma, che girò il video del brano Dancing in the Dark. Questo contiene la famosa scena dove Bruce chiama a ballare qualcuno dal pubblico. Si vede salire una ragazza che inizia a muoversi scatenata, lo stesso rocker era ignaro di aver chiamato sul palco un’attrice, che sarebbe poi diventata la splendida Monica Geller di Friends, ovvero la famosissima Courtney Cox.
Da quel momento nei suoi concerti, alla fine della canzone, il Boss avrebbe sempre fatto salire una fan sul palco insieme a lui. Tra le immagini relativamente recenti vi è un dietro le quinte dello spettacolo di Broadway in cui si vede Springsteen con Courtney Cox, Jennifer Aniston e la moglie di Bruce, Patti Scialfa. Un rapporto dunque che è proseguito negli anni.
Dall’album vennero estratti sette singoli, tutti ebbero un successo clamoroso e dominarono per moltissimo tempo le hit mondiali. Un altro fatto singolare legato a Born in the U.S.A. è l’avvento del CD. I primi infatti sono stati stampati in Giappone e diffusi poi in tutto il mondo. Born in the U.S.A. è stato invece il primo CD a essere stampato negli Stati Uniti e poi diffuso in tutto il mondo.
Un dettaglio non da poco è legato al mitico chitarrista Steve Van Zandt (Little Steven), poi diventato anche attore per la serie TV I Soprano, e di come Born in the U.S.A. segnò la fine del sodalizio artistico tra lui e Springsteen dopo 20 anni. Fu proprio dopo aver terminato le session per l’album che Little Steven lasciò la E Street Band per una carriera solista e venne sostituito da Nils Lofgren. Nel 1995 fece il suo ritorno per rimanere in pianta stabile.
Tanti piccoli frammenti di un puzzle perfetto che lo hanno reso uno degli album più belli della storia della musica. Non resta altro da fare che attendere il ritorno sul palco italiano di Springsteen, che al momento si vocifera potrebbe essere nel 2025, anche se non vi è ancora nulla di ufficiale. Claudio Trotta di Barley Arts, che da sempre organizza i tour di Springsteen in Italia, lo ha scritto domenica sera su Facebook nel replicare al quesito di un fan. “Cla, ti prego le dateee“, ha chiesto un utente che in un messaggio precedente aveva fatto esplicito riferimento al Boss. “Non saranno nel ’24”, la risposta di Trotta.
Il rammarico è tanto per i fan del Boss, che, in trepidante attesa di rivederlo da tempo, si sono visti sfumare questa occasione e dovranno attendere ancora molti mesi.