Il 5 gennaio la polizia federale messicana ha arrestato Ovidio Guzman Lopez, figlio trentaduenne di uno dei più noti narcotrafficanti messicani. Un arresto non semplice, avvenuto al termine di una lunga operazione di sorveglianza durata almeno sei mesi, con il sostegno dei funzionari degli Stati Uniti. Proprio gli Usa avevano annunciato da tempo di mettere a disposizione una ricompensa fino a 5 milioni di dollari per chiunque avesse informazioni che potessero semplificare la cattura. Arresto che – come prevedibile – ha scatenato una vera e propria battaglia da parte del cartello di appartenenza di El Raton, Sinaloa: una delle più potenti organizzazioni criminali del paese. In città è scoppiato il caos, con panico e sangue. Tragico il bilancio delle 24 ore di follia: 29 le vittime, 11 tra militari e forze dell’ordine e 19 arresti di sospetti uomini armati del cartello. Le strade di Culican, per ore, sono state invase da tank e posti di blocco, le stazioni di benzina in fiamme e i negozi saccheggiati. Una guerriglia di strada simile a tante scene delle più celebri rappresentazioni cinematografiche della malavita messicana. I passeggeri a bordo di un aereo civile che stava per decollare dall’aeroporto locale sono stati perfino bersagliati da banditi che si aggiravano nei pressi delle piste con fucili automatici. Un caos tale che, nel corso degli scontri, il giudice federale di Città del Messico ha bloccato l’estradizione negli Usa di El Raton, probabilmente con il timore delle conseguenze del trasferimento. Il bandito è stato quindi trasferito a Città del Messico nel carcere di massima sicurezza di El Altiplano, lo stesso da cui nel 2015 era evaso suo padre scavando una galleria sotterranea. Nel frattempo, a Culican decine di civili sono rimasti feriti a causa degli scontri tra gli uomini armati di Sinaloa e le forze militari dello Stato, oltre 35 gli agenti feriti.
I narcos più potenti al mondo – Il ruolo degli Stati Uniti
Ore di follia, mentre il Paese era in attesa – tra le altre cose – dell’arrivo del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che sarebbe arrivato nella capitale pochi giorni dopo per una serie di impegni diplomatici. La prima visita di un leader statunitense in Messico in quasi un decennio. Tante le voci circolate circa un legame tra l’arresto del narcotrafficante e l’imminente arrivo del presidente degli Stati Uniti. Eppure, il ministro degli Esteri messicano Marcelo Ebrard ci ha tenuto a specificare che la cattura non era in alcun modo legata ai famosi 5 milioni di dollari promessi dagli Stati Uniti come ricompensa. Tuttavia, il ministro della difesa Luis Cresencio Sandovan ha specificato che nella cattura riuscita c’era anche lo zampino di Washington: “L’operazione di sorveglianza per la cattura di Guzmán López è durata sei mesi – ha detto Sandovan – e ha avuto il sostegno di funzionari degli Stati uniti”. Stati Uniti che, secondo le analisi fornite ai media locali da Alejandro Hope, uno dei maggiori esperti di sicurezza messicano, hanno avuto un ruolo fondamentale tramite pressioni sul Governo messicano e con il passaggio di informazioni cruciali. Hope si è anche detto convinto che questo arresto non avrà grosse conseguenze sul narcotraffico messicano, dal momento che le indagini condotte finora dalle autorità non sono state abbastanza approfondite e capillari. E forse non riusciranno mai ad esserlo.
I narcos più potenti al mondo – Il potere indiscusso del cartello di Sinaloa
Dopo la rappresaglia dei militanti di Sinaloa, i residenti si sono svegliati in una città semi- spettrale. In poche ore le autorità e i residenti stessi si sono dati da fare per ripristinare la normalità e riportare la città all’ordine. Come se tutto fosse nella norma. Come se già fossero preparati alle conseguenze che avrebbe potuto scatenare l’arresto di uno dei leader del cartello che controlla il territorio. Probabilmente ricordavano anche quel che accadde tre anni fa, quando il Governo di Lopez Obrador già tentò di fare arrestare El Raton. Un ordine che fu poi ritirato proprio perché alcuni uomini armati aprirono il fuoco in città. Ma cos’è il cartello di Sinaloa e perché ha tale potere? L’organizzazione criminale è nata alle fine degli anni Ottanta in Messico e negli ultimi quarant’anni è diventata un’organizzazione criminale internazionale specializzata nel traffico illegale di droga e nel riciclaggio di denaro. In particolare, negli ultimi anni ha aumentato notevolmente la produzione di fentanil (un oppioide sintetico fino a cento volte più potente della morfina), incrementando anche il controllo su numerosi laboratori del Paese dove vengono elaborate metanfetamine commerciate in tutto il mondo, a partire dai vicini Stati Uniti. L’impero di Sinaloa, insomma, è cresciuto a dismisura grazie alle droghe sintetiche, facili da produrre e contrabbandare e molto più redditizie delle altre. Un impero che non si limita al Messico ma che ha ramificazioni in tutto il sud America, tanto che secondo il National Drug Intelligence Center e altri organi di controllo statunitensi, Sinaloa è attualmente il cartello di narcos più grande e potente al mondo. In California, inoltre, ha anche avviato importanti operazioni di coltivazione di marijuana nelle remote foreste e nei deserti. Un potere radicatosi negli anni che, tuttavia, non è stato arginato con l’arresto del numero uno e probabilmente neanche del figlio. Dopo la fuga dal carcere nel 2015, El Chapo (padre di El Raton), è stato nuovamente catturato ed estradato negli Stati Uniti, dove si trova attualmente. Un giudice federale di Chicago lo ha definito “pericolo pubblico numero 1”, un appellativo che prima era stato dato solo ad Al Capone. Durante gli anni d’oro di “El Chapo”, il cartello controllava almeno il 90% del traffico mondiale di eroina, metanfetamina, cocaina e marijuana, esportando tonnellate di droga negli Usa, in Canada, Europa, Asia, Africa e Australia, grazie anche all’uso di sottomarini, barche, navi, treni, elicotteri e aerei da carico. Negli anni non sono mancati anche i conflitti interni al cartello per la leadership, tra le fazioni Guzman e Zambada dell’organizzazione.
Attriti che nell’ultimo anno si sarebbero distesi con lo scopo di rafforzare il potere del cartello e affrontare il grande rivale: i narcos di Jalisco. Tra i due gruppi vanno avanti da anni battaglie per la conquista e il controllo di diversi territori come la Baja California, Zacatecas, Sonora, Chiapas e Colima e diverse aree della Colombia, costringendo decine di migliaia di persone ad abbandonare il proprio territorio di origine. Non mancano poi, le prove del fatto che il cartello abbia goduto, e probabilmente goda ancora, di diversi legami e dunque di un certo appoggio negli Stati Uniti. Nel 2015 il programma televisivo della BBC This World trasmise un episodio (Secrets of Mexico’s Drug War) nel quale raccontava dell’operazione Fast and Furious del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives del governo statunitense, che aveva concesso ai rivenditori di armi da fuoco con licenza di vendere armi ad acquirenti illegali che agivano per conto dei leader dei cartelli della droga messicani, soprattutto del cartello di Sinaloa. Altro segnale evidente di intese segrete tra i due Paesi è il super tunnel della droga lungo 730 metri, scoperto nel 2013, che passava sotto il confine tra Stati Uniti e Messico fino a un magazzino a Otay Mesa, a San Diego. Negli ultimi anni i governi dei due Paesi hanno cercato di arginare l’azione di questo e tanti altri cartelli di narcotrafficanti del Paese, come dimostra l’accordo sulla sicurezza tra Stati Uniti e Messico del 2021, simbolo dell’inizio di una nuova fase nei rapporti bilaterali tra le due potenze. Fondi, accordi e investimenti, che ancora non hanno portato risultati concreti sulla battaglia al narcotraffico messicano. Gli esperti sono convinti che l’arresto di El Raton, così come avvenne precedentemente per quello del padre, non avrà alcun impatto sul flusso di droga verso gli Stati Uniti e il resto del mondo. Un cartello tanto potente e radicato da essere entrato nella cultura popolare come simbolo principale dei narcos messicani, protagonista tra le altre cose di documentari, serie tv, film e canzoni celebri in tutto il mondo. Neanche 48 ore fa la notizia della richiesta da parte del leggendario boss El Chapo Guzman di poter essere trasferito in una prigione in Messico. Guzman chiede all’attuale presidente di “riparare agli abusi commessi dal precedente governo di Enrique Peña Nieto (2006-2012) e che cerchi un canale per farlo tornare in una prigione in Messico“. Chissà se il boss non inizi a temere che la sua famiglia possa perdere l’enorme potere che ha detenuto per anni.