*pubblicato il 3/12 sul N. 3 della rivista il Millimetro
Chiesa, Stato italiano, Banca vaticana, Banco Ambrosiano, servizi segreti, Banda della Magliana, terrorismo internazionale. Sono solo alcuni degli attori coinvolti nella scomparsa della quindicenne Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983 a Roma. Un giallo senza tempo e senza soluzione, avvolto nel mistero: Emanuela esce di casa per andare a lezione di musica e sparisce nel nulla. Da lì, un caso che diventa presto un intrigo internazionale. A ripercorrere, a distanza di quarant’anni, le tappe di quell’oscura e tormentata vicenda è Vatican Girl, la docu-serie in quattro puntate prodotta da Netflix, scritta e diretta da Mark Lewis, che scandaglia il caso Orlandi dalle fondamenta, anche grazie a testimonianze inedite e filmati originali dell’epoca, ricostruendo le ipotesi più sconvenienti avanzate nel corso degli anni: dal possibile collegamento tra la scomparsa della ragazza e l’attentato a Giovanni Paolo II fino a quella più recente, che vede Bergoglio protagonista. Voce narrante della serie è Andrea Purgatori, tra i primi cronisti, negli anni Ottanta, a seguire da vicino la vicenda. Il giornalista di La7 ne ha parlato ai microfoni de il Millimetro.
Oggi, a fronte dei tanti dubbi, quali sono le certezze sul caso Orlandi?
«Sono due: Emanuela è stata usata per ricattare il Vaticano, per qualcosa che aveva a che fare con la finanza sporca dell’Istituto per le Opere di Religione (IOR); in Vaticano sanno tantissime cose che non hanno mai raccontato perché, comunque la si voglia mettere e scrivere, questa storia conduce lì. Il fatto che loro non parlino e continuino a non dire nulla è una dimostrazione di scarsa pietà cristiana nei confronti di una famiglia che sta aspettando da quarant’anni di sapere che fine ha fatto questa ragazza».
Qual è stata la responsabilità dei Pontefici?
«Questa storia attraversa tre pontificati: quello di Giovanni Paolo II, quello di Benedetto XVI e quello di Francesco. Non posso sapere cosa sia stato loro raccontato, non so fino a che punto siano stati informati di ciò che è accaduto. Di conseguenza, qualunque cosa abbiano detto o dicano è viziata da questo dubbio: può darsi che all’interno del Vaticano chi ha gestito la vicenda non abbia informato il Papa (o i Papi) di quanto stava avvenendo».
Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, è piuttosto risentito con Papa Francesco, il quale è stato molto caustico nel dire «Emanuela sta in cielo»…
«È giusto che sia arrabbiato perché se anche questi tre pontefici non hanno avuto tutte le informazioni a disposizione, certo è che avrebbero avuto l’autorità per imporre a chi sa le cose di raccontarle, quindi di dare una spiegazione a questa famiglia».
Perché adesso Francesco non dice nulla?
«Giovanni Paolo II, sotto il cui pontificato è avvenuta questa vicenda, è stato santificato. Va da sé che se venisse fuori una responsabilità anche indiretta di conoscenza di ciò che è successo – e quindi di una copertura, di un insabbiamento – l’immagine di un santo verrebbe macchiata, che non è esattamente la cosa migliore e più auspicabile per la Chiesa».
Da un punto di vista giudiziario, il caso come procede?
«L’inchiesta era stata archiviata, poi è stata riaperta dopo che in una puntata di Atlantide che ho condotto quest’anno, Giancarlo Capaldo, il magistrato che si occupava del caso, ha dichiarato che due emissari del Vaticano erano andati da lui e che erano pronti a fornire informazioni su che fine avesse fatto Emanuela (evidentemente si parlava dei suoi resti). E non erano certo due persone qualunque, visto che si trattava degli allora capo e vice-capo della sicurezza vaticana. Poi, l’inchiesta è stata archiviata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, oggi presidente del Tribunale vaticano».
Ci sono possibilità che venga riaperto?
«Che io sappia, questo filone di inchiesta non è stato chiuso. E le posso dire con assoluta certezza che al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) è aperto tuttora un procedimento per conoscere tutto quello che è stato fatto e non fatto dai magistrati che all’epoca si occupavano dell’inchiesta».
In Vatican Girl compare una compagna di scuola di Emanuela (già citata da Tommaso Nelli nel libro “Atto di dolore” pubblicato nel 2016), che racconta di un prelato che si era avvicinato all’amica pochi giorni prima della sua sparizione. Come mai non è mai stata ascoltata dagli inquirenti?
«Bisognerebbe chiederlo ai magistrati, però bisogna fare attenzione. Non voglio dire che ciò che ha raccontato la ragazza sia falso, ma potrebbero essere due versioni che si sovrappongono. Cioè, può darsi che Emanuela abbia subito delle avances da parte di questo altissimo prelato, ma che questa non sia la spiegazione della sua scomparsa. Può trattarsi di due eventi che coincidono nel tempo, ma privi di un rapporto causa-effetto».
Dal punto di vista delle indagini, ci sono state mancanze?
«Nel momento in cui il Segretario di Stato dell’epoca, il cardinale Agostino Casaroli, apre un canale di comunicazione con chi ha in mano Emanuela (o i suoi resti, i suoi effetti personali, che poi sono quelli che sono stati utilizzati per ricattare il Vaticano) e chiede allo Stato italiano di fare un passo indietro, le ipotesi sono due: o lo Stato italiano (intendo la polizia e i servizi segreti) fa davvero un passo indietro o dice di farlo per poi in realtà continuare a indagare. In questa seconda ipotesi, potrebbero anche aver intercettato il Segretario di Stato Vaticano, quindi può darsi che anche da questa parte del Tevere ci sia qualcuno che sa come sono andate le cose. In fin dei conti, Emanuela è scomparsa non dentro al Vaticano, ma sul territorio italiano. Non dimentichiamo, poi, che una delle tante registrazioni (a un certo punto tagliata) che ci sono state con Casaroli e resa pubblica da Chi l’ha visto? è stata diffusa da chi voleva mandare un segnale al Vaticano per dire “attenzione che noi abbiamo le registrazioni della Chiesa, quindi attenti a quello che dite”.
Nella docu-serie compare anche una nota spese (483 milioni di lire) effettuata dal Vaticano per mantenere Emanuela tra il 1983 e il 1997, cioè 14 anni dopo la sua scomparsa. La Chiesa l’ha subito bollata come un falso…
«Quella nota spese contiene una serie di messaggi che servono a minacciare qualcuno all’interno del Vaticano. È impensabile che una ragazza di 15 anni venga sequestrata e che poi la Chiesa la tenga in vita per tutto quel tempo, con rischi enormi e senza motivo. Pensi a quanta gente si deve coinvolgere per tenere una persona nascosta a Londra, con il rischio che scappi. Credo, invece, che questi documenti siano uno dei tanti strumenti utilizzati all’interno della Curia per ricattarsi tra di loro. Basti pensare all’intercettazione fatta al cardinale Angelo Becciu, il braccio destro del Papa, in cui parla di Francesco come di uno che vuole la sua morte. Il clima là dentro non è certo dei più sereni, è qualcosa che va avanti da sempre, da ben prima della scomparsa di Emanuela Orlandi. Non è un mistero, per esempio, che la Curia adesso sia contro Bergoglio: ci sono interessi di vario genere, finanziari, di carriera, volti a coprire, per esempio, storie di pedofilia. Sono duemila anni che la Chiesa ha questo problema interno che ha molto poco a che fare con la religione e molto più con lotte di potere».
Quella di Emanuela Orlandi resta una pagina tremenda della storia italiana e non solo…
«Quella nota spese è solo uno dei tanti documenti emersi e che poi scatenarono il famoso caso Vatican Leaks. Parliamo di un caso collegato a tante altre vicende, che ha portato alla destituzione di persone vicine al Papa, all’arresto di prelati. Basti ricordare lo scandalo dell’immobile di Londra che aveva coinvolto il cardinale Becciu, per non parlare di quello che ha fatto l’arcivescovo Marcinkus quando era responsabile dello IOR e in affari con Roberto Calvi… Il crack del Banco Ambrosiano, 1200 miliardi spariti, Calvi ritrovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra… Cioè, stiamo parlando di eventi che hanno avuto conseguenze tragiche, che hanno visto coinvolta anche la Banda della Magliana, che in quel periodo era stata trasformata da Enrico De Pedis in una specie di organo al servizio dei poteri occulti quando dovevano regolare conti o aggiustare cose che non funzionavano».
Pietro Orlandi ha raccontato di aver incontrato Papa Woytila sei mesi dopo la scomparsa della sorella, il quale gli avrebbe proposto di entrare nello IOR. A che scopo?
«Il problema per la Chiesa non era semplicissimo all’epoca: stiamo parlando non solo di una cittadina vaticana, ma di una famiglia che ha sempre vissuto all’interno del Vaticano, che ha lavorato per il Vaticano. Il tentativo di silenziarli, o comunque di placarli un minimo, non è che mi stupisca più di tanto».
Non è da escludere, quindi…
«Il punto fondamentale è proprio il silenzio su questa storia, il fatto che abbiano sempre detto di non sapere nulla, che non ci sia neanche un foglio di carta che riguardi il caso Orlandi, quando in realtà esistono registrazioni telefoniche in cui il Segretario di Stato risponde a uno sconosciuto che entra in contatto con lui attraverso un codice che lui stesso gli ha fornito. La domanda è: di cosa dovevano parlare? Possono anche continuare a dire di non sapere nulla, però dopo un po’ diventa anche imbarazzante, se non irritante».
E non parleranno mai?
«È molto difficile. Quanto può essere facile per un’entità come la Chiesa ammettere, dopo quarant’anni, di aver sempre saputo la verità? Ogni volta che questa vicenda esce fuori fa molto male a tutta la Curia sul piano dell’immagine, ma soffrono comunque meno di quanto non farebbero se ammettessero di sapere, per esempio, dove sono i resti di Emanuela. Se io, Vaticano, vengo ricattato, accetto il ricatto per chiudere una transazione, magari economica, di soldi sporchi, riciclati dallo IOR e spariti nel crack del Banco Ambrosiano. Poi, a un certo punto, se porto avanti questa trattativa come minimo mi devo far restituire il corpo di questa ragazza, perché altrimenti il ricatto va avanti a vita. Il punto secondo me è proprio questo. Di conseguenza, per loro è preferibile continuare ad assorbire una o due volte l’anno questi attacchi piuttosto che parlare una volta per tutte».