Prima i popoli naturali, i nativi del pianeta Terra, indios, nativi, aborigeni e popolazioni celtiche, dunque quelle culture che mantengono intatto il loro rapporto con la natura senza intermediari dogmatico-religiosi, poi San Francesco e la pace derivante da una convivenza con tutti gli esseri viventi con particolare attenzione agli animali. Un rispetto innato, insomma, frutto della coscienza di un uomo “diverso”, lontano anni luce dalla civilizzazione moderna nella quale invece gli animalisti sono sempre costretti a portare avanti mastodontiche battaglie legali, con il solo scopo di migliorare leggermente le condizioni di vita degli animali che verranno comunque immolati.
Millimetri di libertà
Nel 1998 a livello europeo venne approvata una direttiva (98/58/CE) che decretava che, entro il 2012, lo spazio vitale minimo in cui dovevano essere contenute le galline dovesse essere una gabbia “arricchita” di 3×1,5 metri; un leggerissimo miglioramento rispetto alle gabbie batterie dove gli animali disponevano uno spazio leggermente inferiore ad un foglio A4; ma comunque non abbastanza, tanto che entro il 2025 un buon 80% delle grandi aziende si è già impegnato a vendere solo uova deposte a terra. Un anno e mezzo fa inoltre è stata presentata all’Unione Europea una petizione firmata da un milione e mezzo di cittadini per proibire l’impiego di gabbie per tutte le specie di animali, dai volatili ai maiali fino ai conigli e ai vitelli. La data della votazione storica è il primo giugno 2021 dove il Parlamento Europeo votò a favore di questa iniziativa, tanto che nel 2023 saranno gli stessi parlamentari a redigere un documento che pianifichi dettagliatamente il percorso che porterà a zero gabbie al più tardi entro il 2040. Ogni anno che passa, insomma, è potenzialmente un millimetro in più verso la libertà animale.
Uova al rialzo
Già nel maggio 1999, a seguito delle direttive 1997/74/CE, il consigliere Adolfo Sansolini della Lav (Lega Antivivisezione) iniziò uno sciopero della fame e della sete abbracciando una forma di protesta estrema quando si rese conto che lettere, appelli e inviti a chi decide non bastavano più. All’epoca in Italia 40 milioni di galline ovaiole vivevano rinchiuse in uno spazio di poche decine di centimetri, senza mai avere la possibilità di vedere la luce del sole e con la luce artificiale accesa tutto il tempo per fare più uova. Oggi, Polonia e Spagna detengono il primato per la quantità di galline in gabbia (rispettivamente 39 e 34 milioni), mentre l’Italia ha ridotto al 40% gli animali rinchiusi. Nel maggio ’99, Cinzia Tralicci su Il Tempo scriveva: “con quelle misure non ci sarebbe posto per tutti i pennuti. Gli allevatori fanno asse con l’Unione nazionale dei consumatori i quali sostengono che assicurare migliori condizioni di vita a questi animali porterebbe al rialzo del costo delle uova. Abolitori e consumatori sono anche contro l’abolizione dei pollai in batteria che l’Unione bandirà nel 2017 (una speranza evidentemente mal riposta, nda) riportando i pennuti a ruspare liberi, in terra: troppi soldi per adeguare gli impianti e poi non è igienico, teorizzano convinti. Non la pensano così gli animalisti che da anni battagliano per dare dignità e condizioni di vita accettabili agli animali da allevamento”.
Chicken scandal
Nel 2018 entra in gioco Equalia, un’organizzazione senza scopo di lucro che si dedica al miglioramento delle condizioni di vita degli animali da reddito con standard di benessere animale più scadenti, che si è prefissata la missione di raggiungere accordi con aziende, istituzioni e stakeholder che abbiano un impatto positivo sul maggior numero possibile di animali. A febbraio ha lanciato un’inchiesta in un allevamento italiano nella Bassa Veronese, ottenendo l’impegno di Eataly e Carrefour Italia, e il 26 ottobre ne ha lanciata un’altra a livello internazionale per chiedere a Lidl di rendere noto il proprio impegno a favore del benessere animale. Equalia, insieme al resto di organizzazioni coinvolte in Italia con cui opera, attraverso la campagna #LidlChickenScandal, ha chiesto alla catena di supermercati (con base in Germania ma con 700 punti vendita e 11 centri logisitici in Italia) di aderire all’ECC, lo European Chicken Commitment, in cui le aziende si impegnano a diminuire i cicli dei polli da sei a 4,5/5 in un anno, migliorando la loro qualità di vita senza l’iniezione di antibiotici e con un’esistenza prevalentemente svolta all’aria aperta.
Le richieste di Equalia
Al momento, il ciclo di vita di un pollo da carne è di 42 giorni. L’ECC invece chiede di allungarlo almeno a 56 con tutte le accortezze necessarie. In questi anni, la selezione genetica dei polli da carne si è concentrata quasi esclusivamente sulla velocità di crescita con l’obiettivo di aumentare la massa muscolare nel minor tempo possibile (in proporzione, è come se un essere umano ingrassasse di 250 chili in tre mesi). A causa dei ritmi di crescita rapidi e di sistemi immunitari più deboli, queste razze di pollo hanno molte difficoltà di movimento e sono predisposte all’insorgenza di gravi problemi muscolari, scheletrici e cardiaci che non solo compromettono il loro benessere, ma anche la qualità della carne, portando, per esempio, al cosiddetto “white striping”, una miopatia caratterizzata da striature bianche di grasso che corrono parallelamente alle fibre muscolari. Le deformazioni, inoltre, impediscono loro di muoversi e di poter accedere a cibo e acqua. Nati, cresciuti e ingrassati solo per essere mangiati. Di più: le condizioni igieniche sono a dir poco precarie visto che gli escrementi non vengono mai ripuliti per tutto il ciclo di vita. Infine, allo stato attuale delle cose, i polli vengono uccisi con una scarica elettrica a contatto con l’acqua, il che li rende pienamente coscienti al momento del decesso. Equalia e le principali organizzazioni europee per la protezione degli animali chiedono invece che gli animali vengano almeno prima anestetizzati con un gas.
Il reportage in Bassa Sassonia
Nello specifico, l’ONG spagnola il 26 ottobre ha presentato un reportage investigativo filmato negli ultimi mesi in un allevamento di polli della Bassa Sassonia. La struttura, composta da 10 capannoni che possono ospitare fino a 200.000 animali contemporaneamente, fa parte del circuito di una grande azienda, i cui prodotti sono presenti sugli scaffali della catena di supermercati Lidl. Il video mostra gli atti di violenza di alcuni lavoratori, tra cui un operaio che, in presunta violazione della legge tedesca sul benessere animale, sacrifica i polli malati torcendogli il collo e sbattendoli contro la mangiatoia. Le immagini rivelano inoltre le pessime condizioni in cui vivono gli animali: non solo un operatore che urina all’interno del capannone, mettendo a rischio anche la sicurezza alimentare, ma i polli vivi sono spesso costretti a convivere con i cadaveri di altri animali, arrivando a mostrare in alcuni casi comportamenti di cannibalismo.
In pressing su Lidl
Di fronte a questi problemi, ecco la richiesta diretta fatta a Lidl di aderire all’ECC, che nasce dalla necessità di ridurre i gravi problemi di salute e benessere dei polli da carne attraverso l’implementazione di standard migliorativi, tra cui l’abbandono delle razze a crescita rapida, come quelle viste nel video, e la transizione a razze che presentino migliori standard di benessere. Lidl è uno dei pochi grandi supermercati europei che non ha ancora aderito a questa iniziativa. «Molti grandi supermercati hanno già aderito allo European Chicken Commitment, ma non è questo il caso di Lidl – afferma Julia Elizalde, Campaigns Manager di Equalia – che al momento si è impegnata a eliminare le pratiche più crudeli dalle sue filiere solo in Francia. Per questo, insieme ad altre organizzazioni abbiamo deciso di avviare una campagna nei confronti di Lidl per chiedere di porre fine a questa inutile crudeltà a livello europeo. Queste immagini dimostrano la necessità di passare a un allevamento di polli più centrato sul benessere degli animali, sano e sostenibile».