Democratici pro, repubblicani contro. In 12 Stati i cittadini potranno intervenire attraverso misure di voto che potrebbero modificare la Costituzione
In tutte le foto su Google, Norma McCorvey ha i capelli corti e le mani impegnate. Regge due messaggi diversi, ma con la stessa convinzione: prima “Keep abortion legal”, poi “Abortion hurts women”. Norma McCorvey è la donna che ha permesso che il diritto all’aborto diventasse legale in USA a partire dal 1973. È anche la donna che a metà degli anni ’90 si è dichiarata contro l’aborto, convertendosi alla religione cattolica e a quella politica dei repubblicani che si definiscono pro-vita. Poco prima di morire, ha girato un documentario: a venti minuti dalla fine, con un sondino al naso e le sopracciglia disegnate, fa una confessione. Dice di non aver mai sostenuto per davvero il movimento antiabortista. Che era stata pagata per farlo.
Il suo vero nome era già sepolto sotto quello di Jane Roe, che ancora resta in superficie nella sentenza del 22 gennaio 1973, la Roe vs Wade, che per oltre 50 anni è riuscita a garantire alle donne il diritto ad abortire in tutti i 50 Stati. Prima della sentenza, ogni stato decideva da sé e per sé (in 30 vietavano l’aborto considerandolo reato). Jane Roe era il il nome che tutelava la privacy di Norma McCorvey, Henry Menasco Wade era l’avvocato che rappresentava lo Stato repubblicano durante il processo. Il verdetto della Corte Suprema votò a favore di Norma detta Jane con 2 giudici contrari e 7 a favore. La donna era già madre di due figlie, era sposata con un uomo violento e lei stessa aveva problemi di alcolismo.
Il 18 febbraio è stato il settimo anniversario della sua morte a Katy, che si trova a circa 30 minuti in macchina da Houston. Il Texas è uno dei 50 Stati americani che vieta l’aborto già dalla sesta settimana di gestazione, quando la maggior parte delle donne nemmeno sospetta di essere incinta. Lì, una donna è costretta a portare avanti una gravidanza anche se ha subìto una violenza, anche in caso di incesto.
Della posizione conservatrice del Texas si era già parlato a dicembre scorso con la trentunenne Kate Cox, che per non rischiare la vita si è sentita costretta a lasciare il suo Stato che non le ha dato l’ok per abortire: non lo avrebbe fatto se il suo bambino fosse nato sano. I medici avevano diagnosticato al feto una patologia genetica con malformazioni fisiche e cognitive. Molto probabilmente, suo figlio non avrebbe superato il primo anno di vita.
Il 24 giugno 2022 Kate Cox non poteva ancora sapere che, dopo qualche mese, questa data le sarebbe stata ingiusta. Non solo per lei, ma per tutte: il 24 giugno la Corte Suprema ha cancellato a livello nazionale il diritto all’aborto, tornando alla situazione che precedeva la sentenza Roe vs Wade: ogni Stato è tornato a prendere le sue decisioni a livello federale, difendendo o vietando l’interruzione volontaria di gravidanza. Quel giorno d’estate cristiani e repubblicani pro-vita hanno esultato, i democratici gridato e difeso le donne private di un loro diritto. Davanti alla Corte Suprema, tra una folla di gente, di nuovo quelle tre parole: “Keep abortion legal”.
Un report di quell’anno, pubblicato da Per Research Center il 6 luglio, dimostra che secondo il 62% degli americani l’aborto dev’essere legale e garantito nella maggior parte dei casi.
Salute mentale: cosa significa abortire e non poter abortire
Un recente articolo della rivista Time segnala che le restrizioni all’aborto dei 13 Stati più inflessibili stanno peggiorando la salute mentale delle donne in età fertile (18-45): sono più depresse rispetto a quelle che vivono negli altri 37 Stati. L’ansia in queste donne perfora e sconfina in altri timori, primo fra tutti il sospetto di poter avere difficoltà ad accedere ai metodi contraccettivi. Non è che chi voglia abortire sia sollevata all’idea di farlo: nella concezione comune, l’interruzione volontaria di gravidanza tende a significare disfarsi di una responsabilità, di un costo, di un impegno. Proprio perché volontaria. Anche abortire causa depressione, disturbi alimentari, vergogna, sensi di colpa che possono durare nel tempo. Non è una scelta esente dal dolore, è una scelta che si fa carico del dolore.
Oggi, in piena campagna elettorale, la questione dell’aborto è più che mai determinante, soprattutto per i democratici, che potrebbero godere di un vantaggio in alcuni Stati. Secondo Julie Chávez Rodriguez, manager della campagna elettorale di Joe Biden, Trump e i repubblicani avrebbero già redatto un piano di 887 pagine per vietare l’aborto in tutti gli Stati americani. La notizia è del 12 gennaio.
Tra gli Stati americani che sono più ostinatamente contro l’aborto c’è il Nebraska: dopo 12 settimane una donna non può abortire, neanche se la sua vita o quella del feto sono a rischio. Categorico anche il South Dakota, che non fa sconti per stupri e incesti, includendo sanzioni anche per chi aiuta una donna ad abortire, a meno che non rischi la vita.
Il divieto quasi totale vige anche in Arkansas – salvo che la donna non sia in pericolo di vita – e in Missouri –, dove però una donna può abortire se rischia la vita o in caso di emergenza medica. In Florida, il repubblicano Ron DeSantis (che si è ritirato dalla campagna elettorale dopo aver ottenuto un risultato deludente ai caucus dell’Iowa) ha firmato un divieto di sei settimane. Attualmente, la Florida vieta l’aborto a 15 settimane dall’inizio della gravidanza.
In quest’anno elettorale i cittadini potranno intervenire sul diritto all’aborto, sperando di modificare la Costituzione attraverso alcune misure di voto in almeno 12 Stati. Sono infatti al ballottaggio alcuni emendamenti costituzionali (non solo legati all’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche su altri temi rilevanti): se le modifiche costituzionali saranno approvate, verrebbero meno le leggi sancite da ogni Stato e questa sarebbe una buona notizia per i sostenitori del diritto all’aborto.
Le iniziative degli elettori che potrebbero modificare la Costituzione sul tema dell’aborto
Tra gli Stati che difendono il diritto all’aborto c’è il Maryland: lo stato democratico lo fa dal 1992 e l’iniziativa elettorale proposta mira a inserire tale diritto nella sezione Dichiarazione dei diritti nella Costituzione dello Stato. Anche nello Stato di New York è possibile abortire fino alla 24esima settimana di gestazione: l’iniziativa elettorale a tutela dell’aborto s’inserisce nel filone più ampio della parità di diritti, perché intende proteggere le donne in gravidanza contro qualsiasi tipo di discriminazione capace di impedire l’accesso alle cure. Anche in Arizona si punta a un’iniziativa che mira a inserire il diritto all’aborto nella Costituzione statale. Il caso dell’Arizona è peculiare: una legge territoriale entrata in vigore già nel 1864 che vede nell’aborto un crimine coesiste con la legge più recente del 2022, secondo cui l’aborto è vietato dopo 15 settimane, a meno che la donna non sia in pericolo di vita o in caso di emergenza medica. In Nevada, l’iniziativa promossa dai sostenitori del diritto all’aborto mira a inserire in Costituzione tale diritto prima che ci sia vitalità fetale, ossia quando il feto può sopravvivere fuori dall’utero. Se l’emendamento otterrà la maggioranza alle elezioni di quest’anno, esso sarà ridiscusso nel 2026. In caso di ulteriore vittoria, la Costituzione sarà modificata.
In Colorado, dove pure si tutela il diritto all’aborto, si punta a garantire la copertura sanitaria: una legge del 1984 limita l’uso dell’assicurazione sanitaria e di Medicaid.
In Montana l’anno scorso fu respinto il cosiddetto referendum “nato vivo”, pronto a condannare i medici non disposti a prestare alcun tipo di assistenza. L’iniziativa proposta dai sostenitori del diritto all’aborto intende far sì che ogni donna possa decidere liberamente se portare avanti o meno la gravidanza.
In Iowa, lo Stato che ha inaugurato la campagna elettorale con la vittoria di Trump ai caucus di metà gennaio, gli antiabortisti si stanno battendo perché la Costituzione neghi categoricamente l’aborto, al momento vietato dopo sei settimane.
E negli Stati già citati che hanno posizioni più ostili sul diritto all’aborto?
In Nebraska, un’iniziativa sostenuta da chi è favorevole all’aborto chiede che la Costituzione garantisca questo diritto fino alla vitalità fetale.
L’iniziativa di chi è pro aborto in South Dakota limita l’influenza decisionale dello Stato qualora questo sia necessario perché comprometterebbe la salute delle donne durante il secondo trimestre, e potrebbe regolamentare o vietare l’aborto nel terzo trimestre a meno che la salute o la vita della donna non sia a rischio.
In Arkansas, l’iniziativa propone di impedire allo Stato che possa vietare l’aborto fino a 18 settimane o in caso di incesto, stupro, anomalia del feto o, ancora, qualora dovesse rappresentare l’unica soluzione necessaria a tutelare la salute o la vita delle donne. Diverse le iniziative in Missouri: tutte, però, atte a rivendicare il diritto di prendere e di garantire le decisioni relative all’assistenza sanitaria riproduttiva.
In Florida, un’iniziativa avanzata da chi sostiene l’aborto chiede sia garantito in Costituzione fino alla vitalità fetale. Considerando però che la Corte Suprema di questo Stato si è sempre detta contraria all’aborto.
Se già si è tornati indietro rispetto al 1973, il dubbio e la speranza domandano se non si possa tornare indietro anche rispetto al 24 giugno 2022.