Il rinoceronte è sempre più vicino all’estinzione. Ed è la stessa storia che ha vissuto un suo antenato
Sono sempre meno, stanno sparendo inesorabilmente. I rinoceronti sono una delle specie con il più alto rischio di estinzione al mondo. E la colpa, tanto per cambiare, è nostra. Sarà eventualmente l’uomo alla base della sparizione di questi bellissimi e giganteschi pachidermi, con il corno sul naso, tanto affascinante per chiunque li ammiri in tutta la loro bellezza quanto attraente per i bracconieri, che bramano di prendere quell’iconica appendice per rivenderla al mercato nero a prezzo d’oro.
E la caccia nei loro confronti non è nemmeno l’unico dei problemi: il principale è rappresentato dallo sviluppo economico, dai cambiamenti ambientali che hanno ridotto le praterie, dal disboscamento e dall’agricoltura che ne degradano e distruggono gli habitat.
Così siamo arrivati al punto da avere solo cinque razze rimanenti (due in Africa, tre in Asia), per un totale di 26.155 esemplari complessivi in natura.
Il rinoceronte sempre più a rischio estinzione
Nello specifico, la più grande colonia, popolata da 16.000 unità (il 93% in Sudafrica), è quella del rinoceronte bianco del sud (quello del nord si è estinto nel 2018), seguita dal rinoceronte nero con 6000. Rimangono invece 4000 rinoceronti indiani, per lo più presenti tra Nepal e India Settentrionale, mentre è drammatica la situazione delle restanti due specie, quelle di Giava e di Sumatra. Nel primo caso vengono a malapena raggiunte le 75 unità in natura, mentre nel secondo si arriva a 80, tutte in Indonesia, visto che l’ultimo esemplare vivente in Malesia, Iman, è morto nel novembre del 2019, sancendo ufficialmente l’estinzione nel Paese.
A causa dell’espansione delle popolazioni umane e della conseguente riduzione del loro spazio vitale, i rinoceronti rimasti sono ogni giorno di meno, vivono in aree frammentate e isolate, motivo per il quale sono inclini alla consanguineità, dal momento che una sana miscelazione genetica è inevitabilmente più complicata da ottenere tra gruppi ridotti.
E quando invece si può contare su una popolazione più numerosa, ma confinata in un’area protetta, il rischio è di un effetto allelico, ossia quello in cui la riproduzione è depressa a causa della mancanza di risorse e le malattie possono diffondersi rapidamente per via di questa alta concentrazione. Non è finita, perché il confinamento forzato in determinate aree aumenta anche le possibilità di incontri con l’essere umano. E con essi, pure la crescita esponenziale del bracconaggio.
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