*il 12/03 sul N. 6 della rivista il Millimetro
Tornare a Mosca per il 24 febbraio 2023 può sembrare estremamente facile e complicato allo stesso modo. Tornare a Mosca per il 24 febbraio 2023, in occasione del primo anniversario della cosiddetta “operazione militare speciale”, è accorgersi della costante crescita della capitale del Paese più grande al mondo ma anche di una chiusura verso l’esterno sempre più visibile. Che sa di un punto di non ritorno e di un grande punto interrogativo per un futuro meno chiaro di quello disegnato da Vladimir Putin. Colui che cerca imperterrito di convincere il suo popolo come la vittoria sia l’unico risultato da ottenere senza mai citare la sconfitta, parola quasi più impronunciabile di guerra. Tornare a Mosca per il 24 febbraio 2023 dà l’idea che sia cambiato tutto e niente, il traffico impazzito è sempre lo stesso ma tra le macchine nuove si riconoscono i brand cinesi; le vetrine dei grandi marchi si affacciano ancora sulla scintillante Piazza Rossa anche se molte non hanno neanche più in esposizione una borsa o un orologio da centinaia di migliaia di rubli; le insegne dei bar e dei ristoranti recitano ancora 24/7 ma le cucine adesso chiudono quasi tutte prima; i bistrot e i fast food internazionali sono stati sostituiti da aziende russe ma sono pieni come tre anni fa. Così come le metropolitane e gli aeroporti: mentre le destinazioni delle prime aumentano con l’estensione della metropoli, le seconde non sono più le stesse di una volta. Se la pandemia da Covid-19 aveva chiuso la Russia tra i suoi confini come quasi tutto il mondo, l’invasione russa in Ucraina ha riscritto una storia dalle caratteristiche inquietanti, tappezzando la capitale con le lettere “Z” e “V”, entrambe in caratteri latini, per comunicare una vittoria che dopo 12 mesi, però, stenta ad arrivare. Tornare a Mosca per il 24 febbraio 2023 non è impossibile ma neanche comodo come lo era anni fa: è il motivo per cui il nostro reportage da Mosca è partito da Erevan, in Armenia, per un viaggio lungo circa il triplo rispetto a prima di, da quando dalle 13 del giovedì 24 febbraio sull’Ucraina non volano più voli civili, e da quando l’Unione Europea ha disposto la chiusura dello spazio aereo ai voli provenienti dalla Federazione Russa dal 27 febbraio 2022, i cittadini stranieri possono anche passare le frontiere da Lettonia, Estonia e Lituania via terra.
Reportage Russia – Il banchetto in tempo di peste a 20 gradi sotto zero
“Forse non sono la persona più patriottica con cui parlare qui”, dice Oleg (nome di fantasia), 19 anni, studente di medicina nato e cresciuto a Mosca. Sono le 12 del 22 febbraio 2023 e fuori dallo stadio Luzhniki, a sud della capitale russa, Oleg è in fila, sta aspettando di ricevere un biglietto di ingresso per il concerto patriottico organizzato dal presidente Vladimir Putin per il Giorno dei Difensori della Patria, festeggiato in tutto il Paese il 23 febbraio dal 1919. Anche se tutti sanno che l’evento di propaganda è a due giorni dal primo anniversario dell’operazione militare speciale. Soprattutto Oleg. Nonostante il sole e il cielo limpido la temperatura percepita è di circa 20 gradi sotto lo zero: ad aspettare di entrare nel complesso sportivo che ha ospitato la finale dei Mondiali di calcio del 2018 non c’è solo il giovane moscovita, insieme a lui, in fila per due, ci sono altre decine di studenti meritevoli, diplomatisi la scorsa estate, ai quali è stato “offerto” di partecipare al concerto-propaganda in cambio di soldi, 3.300 rubli per la precisione (poco più di 40 euro). Trovare il gruppo di studenti modello e fingere di essere uno di loro per ricevere un biglietto gratuito non è così difficile: è bastato fare una ricerca sul social network russo Vkontakte per avere informazioni e sapere orario e luogo di incontro; all’ingresso ogni spettatore può prendere bandiere, coperte e spillette con i colori della Nazione (vietato indossare abiti gialli e blu), ma anche tè caldo, hot dog e brioche, tutti rigorosamente gratuiti.
Una volta arrivati al punto di incontro basta aspettare, sapere un po’ di russo, parlare poco e non fare troppe domande per non dare nell’occhio, il necessario per seguire l’entusiasmo dei coordinatori del gruppo di studenti che nell’attesa chiedono in modo retorico se i ragazzi sono davvero pronti per il concerto. Rassicurandoli che riceveranno i biglietti di lì a poco, nonostante sembrino iniziare a patire il freddo anche loro. Oleg si limita a prendere il suo pass, si siede sugli spalti e rimane lì in silenzio, niente tè per riscaldarsi né una coperta, continua a leggere un romanzo che ha tirato fuori dalla tasca del giubbotto, è quasi impassibile mentre i primi cantanti si esibiscono sul grande palco del Luzhniki: “conosci l’opera di Pushkin “Il banchetto in tempo di peste?” – chiede -, ecco, è come se in questo momento ci fosse una festa con una peste fuori”. Si riferisce all’Ucraina e non ne fa un mistero mentre racconta che lui non è a favore di questa guerra, che vorrebbe andarsene dalla Russia e che farà di tutto per lasciare il Paese dopo la laurea. Dice che la nonna, medico, è originaria di Mykolaiv, in Ucraina, e che i genitori, entrambi pediatri, oggi non sono allo stadio, “mia mamma è in ospedale e mio papà è emigrato in Kazakistan lo scorso settembre: con la mobilitazione sarebbe dovuto andare in Ucraina anche lui. Ma mi ha detto che cura i bambini, non i soldati – continua -, ha preferito lasciare Mosca che andare al fronte”. Ogni tanto si gira a guardare i suoi coetanei, “anche loro in fin dei conti non vogliono la guerra – conclude mentre continuano a sventolare la bandiera russa – sentono meno freddo, fidati”.
Reportage Russia – Angeli e demoni, la cattedrale dell’Esercito russo
I 95 metri di altezza la rendono una delle più grandi cattedrali ortodosse al mondo con una capacità di circa 6.000 persone, con 6 cupole dorate che spiccano già dalla strada. Al di là dei numeri la caratteristica più importante non è l’imponenza della Cattedrale a poco più di 1 ora di macchina da Mosca, ma il motivo della sua costruzione: santificare l’esercito russo. Inaugurata il 9 maggio del 2020, il tempio delle forze armate è dedicato al 75° anniversario della vittoria sovietica nella Seconda Guerra Mondiale. E alla fede nella guerra: lo dimostra il programma dettagliato del 23 febbraio, dalla benedizione della mattina al parco giochi per bambini dove i più piccoli possono salire sui carri armati e mettersi in posa per uno scatto da incorniciare. Verso l’ora di pranzo una voce all’altoparlante invita tutti i “fedeli” ad avvicinarsi all’area della “guerra”, ovvero una vasta piana ricoperta di neve dove vengono “riprodotti” alcuni momenti del Secondo conflitto armato: ci sono centinaia di persone pronte ad immortalare tutto con lo smartphone e a rivivere la vittoria della battaglia di Stalingrado, quasi fosse una ossessione. A pochi metri di distanza un enorme museo ripercorre in modo maniacale ogni singolo giorno dei combattimenti tra il ’42 e il ’43 con il trionfo dell’Armata Rossa. Ancora più avanti una pista di pattinaggio e un santino a terra che recita, “Dio è il nostro generale”.
Reportage Russia – La protesta silenziosa
Dopo gli arresti, la repressione e la fuga di massa, la protesta silenziosa di quest’anno ha i colori del giallo e del blu (la bandiera ucraina) ma anche del bianco e del nero, quello candido della neve di fine febbraio e quello delle divise dei poliziotti dispiegati in tutta Mosca. In un Paese libero non dovrebbe essere scontato siano già dalla mattina a Ukrainskiy Bulvar davanti al monumento della poetessa ucraina Lesya Ucrainka, diventato anche un simbolo di solidarietà al popolo ucraino dopo la strage del condominio di Dnipro dello scorso gennaio. Nonostante il lampeggiante della volante acceso e gli sguardi attenti dei poliziotti, sono tante le persone che il 24 febbraio sono venute per lasciare un mazzo di fiori in occasione del primo anniversario dell’invasione russa. Alcuni sono gialli e blu, altri hanno solo un fiocchetto con i colori della bandiera ucraina: “lascio andare mia mamma – dice una donna mentre l’anziana signora si dirige verso la statua della poetessa con in mano un mazzo di tulipani -, tanto li toglieranno via subito ma lei ci teneva”.
Nella Piazza Pushkin, invece, un tempo centro delle manifestazioni, al posto dei fiori ci sono solo le forze dell’ordine. E un giovane ragazzo in piedi davanti alla statua del poeta russo. È lì per protestare contro la guerra ma in un modo che per qualcuno potrebbe sembrare insolito, per altri eroico. Non ha cartelloni o fiori, è in silenzio e indossa solo un giubbotto giallo, unico segno di riconoscimento che non sta aspettando qualcuno e che quel colore non lo ha scelto a caso. Dopo ore in piedi due agenti gli chiedono di seguirlo e il pensiero arriva diretto: in Russia, oggi, si può essere fermati dalla polizia anche per rimanere immobili davanti ad un monumento con un semplice giubbotto giallo. Il sollievo supera per un momento la tristezza quando il ragazzo riappare e si rimette lì, in silenzio, davanti a Pushkin e con il suo giubbotto rivoluzionario.
Reportage Russia – Il bunker-museo in caso di un attacco nucleare
Si può addirittura organizzare una festa di compleanno o una cena romantica a lume di candela, l’importante è prenotare in anticipo e non soffrire di claustrofobia. Perché a 65 metri sotto terra l’aria sembra mancare quasi come sulla cima di una montagna di 4mila metri sul livello del mare ma senza vista. Quando si realizza che le mura circostanti sono state costruite in caso di attacco nucleare l’ansia può anche aumentare, nonostante in superficie non ci siano minacce o coprifuoco. Mentre si scendono le innumerevoli scale del “Bunker – 42” nel centro di Mosca, inizia comunque a girare la testa e a mancare l’aria, ma la fretta di raggiungere l’antico locale adibito alla comunicazione militare ai tempi di Stalin, non è come trovare rifugio da una bomba atomica o dai colpi di artiglieria. L’atmosfera è proprio quella della Guerra Fredda ma per entrare si paga un biglietto e si viene accompagnati da una guida vestita con una divisa militare russa di quegli anni. Dal 2006 il bunker di Stalin nel quartiere centrale Tagansky di Mosca, chiamato Bunker – 42, è un museo visitabile 7 giorni su 7 dalle 10 alle 21. Un rifugio blindato, progettato per ospitare circa un migliaio di persone per 90 giorni di autonomia, senza sussidi dal mondo esterno: data la vicinanza al Cremlino, se necessario, le cariche di partito avrebbero potuto accedere al rifugio attraverso una serie di tunnel sotterranei – il bunker aveva anche collegamenti all’omonima stazione della metro Taganskaya di cui ogni tanto, in lontananza, si sente arrivare un treno. Il dettaglio inquietante con una vera guerra ai confini russi è la simil esercitazione alla quale i visitatori sono sottoposti senza troppo preavviso: quando la luce va via e si accende quella di emergenza, una voce registrata avverte del motivo del blackout, un attacco nucleare. Qui però si risalgono le scale e si torna a respirare anche nei giorni che segnano un anno di guerra dove la guerra non c’è. E dove si può prenotare un ristorante a 65 metri sotto terra.