Le dimissioni di Mario Draghi e le imminenti elezioni agitano il panorama politico italiano in quella che sarebbe dovuta essere un’estate innocua e oggi promette invece tempesta, tra tradimenti, dei caduti dal cielo, banchieri cuccioloni e capi di stato incazzati. Su tutti, però, il crollo dell’ultimo esecutivo della diciottesima legislatura della Repubblica compie un miracolo imprevedibile: risuscitare il dibattito elettorale sul centro italiano. Quel polo unico in grado di governare l’Italia per decenni tramite la Democrazia Cristiana, ridimensionato poi a Unione di Centro nei primi anni duemila e piombato nell’anonimato nell’epoca dei Cinque Stelle e dei sovranismi. Insomma, un amico delle elementari particolarmente bravo, bocciato alle medie ed espatriato al liceo improvvisamente tornato alle cronache dopo anni di Erasmus per riassaporare i fasti perduti: “Che mi sono perso?”. Qualcosa nel frattempo è cambiato: saluti allo scudo crociato e e ai rapporti internazionali, ben vengano contenuti e pragmatismo in quella che sarà per forza di cose una lunga sfida. Chi sono i protagonisti, andranno d’accordo gli uni con gli altri? Che alleanze cercano e soprattutto: varrà la pena votarli? Difficile stilare una guida semplice al centro italiano, eppure alcune basi concrete ci concedono indizi fondamentali.
Renzi e Calenda, per chi si ama come noi
Matteo Renzi e Carlo Calenda sono due dei leader politici più spocchiosi, capaci, antipatici e preparati che l’Italia vanti al momento. Arguti e coraggiosi, fortemente aggrappati alle loro idee, inclini allo strafalcione ma sempre con una strada segnata davanti. Non li freghi e difatti si amano e combattono da diverso tempo. Il primo lo conosciamo meglio: già premier nella scorsa legislatura (Calenda ministro), tenta di stravolgere il Parlamento fallendo e ritirandosi, per pochi minuti, a vita privata. Poi come molti crea un suo partito e decide il destino del Conte bis, facendolo cadere a favore di Draghi. Una mandrakata: via l’avvocato del popolo e dentro il banchiere dal cuore di pietra. Il secondo si tiene distante dai giochi politici, vantando meno seggi alle camere, e preferisce puntare sul territorio. Parioli, ironizzerebbe qualcuno, ma siamo più o meno lì: Roma. Carlo corre da solo per diventare sindaco della Capitale e nonostante la vittoria dello stimato Gualtieri ottiene numeri di tutto rispetto, tanto da proiettarlo verso una propaganda di carattere nazionale. I sondaggi lo premiano e piace da entrambe le parti: ha la stima di Enrico Letta e quella degli ex berlusconiani, Renato Brunetta e Mariastella Gelmini (“Ho letto il manifesto di Azione, è quello che serve all’Italia. Calenda io ci sono, vediamoci”) su tutti. Se parliamo di centro sono Azione e Italia Viva a dettare la linea, chi vuole si accomodi.
La linea Carfagna
Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, è tra i principali traditori dell’ultimo governo eppure continua a dire che “ha iniziato Draghi a fare dei passi indietro, gne-gne-gne”. La verità è una: il partito dei moderati e dei liberali europei, che tanto ha fatto negli ultimi anni per distaccarsi dalla destra sovranista, ha preso il treno di Salvini e Meloni per arrivare finalmente uniti alle urne di fine settembre. Legittimo, ma qualche fedelissimo non l’ha presa benissimo. Su tutti il Ministro del Sud Mara Carfagna, storicamente vicina al leader Silvio Berlusconi (a proposito: 1000 euro per tutti i pensionati e un milione di alberi da piantare subito!) e oggi acquisto di lusso in casa Calenda. “Sindaci e imprenditori traditi – sostiene il Ministro del Sud a Repubblica – ho difeso la collocazione europeista, occidentale e liberale del partito tenendolo lontano dal sovranismo. Altri la pensavano come me ma siamo stati sconfitti, più volte, l’ultima in modo bruciante: neppure consultati sulla crisi del governo di salvezza nazionale che noi stessi avevamo voluto”. Tanti ex Forza Italia vorrebbero fondare i propri programmi sull’agenda Draghi: il nuovo centro la rispetterebbe. Nuovi arrivi in vista? L’ex Cav, dal canto suo, ha parlato: “I miei ex ministri? Riposino in pace”.
L’incognita Di Maio e la costante Bonino
Pochi mesi fa nessuno avrebbe previsto la scissione del Movimento Cinque Stelle per mano di Luigi Di Maio, neo europeista e filo BCE, schifato dal populismo e attratto dal giro dei moderati. La politica è fatta di colpi di scena ed ecco che l’ex pupillo di Beppe Grillo potrebbe trovarsi a due centimetri dalla sfera politica di Renzi e Calenda, due che preferirebbero espatriare invece che fare una coalizione con l’attuale ministro degli Esteri. La verità è che Giggino deve ancora capire il suo futuro e l’ala del Partito Democratico sembra quella più appetibile. Per il centro c’è un problema: Calenda, che tutto vorrebbe vedere tranne che scorie grilline (“Di Maio? Non so chi sia”). Un’alleanza Letta-Di Maio comprometterebbe quindi una larga coalizione PD-patto repubblicano spianando la strada al centrodestra. Un rischio enorme e difficilmente superabile. Protagonista primordiale del Patto repubblicano sbandierato da Calenda c’è Emma Bonino, senatrice di +Europa, che alcuni giorni fa scriveva: “Da 24 ore è iniziata la prima interlocuzione col Pd che in questi anni ha preferito altri interlocutori, il M5s e l’estrema sinistra, ad esempio. Starà a loro risponderci e ce lo auspichiamo”. Oggi, con Azione, è faticosamente alleata del PD.
L’inarrestabile Mastella
Qualche nostalgico del vecchio gigante democristiano c’è e risponde al nome noto di Clemente Mastella, sindaco di Benevento ed ex ministro della Giustizia. Il simbolo della sua nuova compagine politica, ‘Noi Di Centro‘, è stato presentato questa mattina in conferenza stampa al Circolo Rari Nantes di Napoli. Lettere ‘Dc‘ evidenziate in maiuscolo, fascia tricolore e immancabile campanile di stampo Udeur: tenacia pura, immortalità del simbolo, nostalgia di un tempo che non c’è più e che, nonostante tutto, ogni tanto spunta a ricordarci quanto le poltrone contino più di ogni altra cosa. Ernesto Galli della Loggia, sulle colonne del Corriere della Sera, accusa questa nuova coalizione di scarsa identità prevedendo grosse delusioni: “Il centro acquista un significato politico autentico solo a una condizione. E cioè che nel sistema vi siano a destra e a sinistra dello schieramento politico due formazioni che per le loro caratteristiche ideologiche abbiano un carattere radicale, estremista, potenzialmente eversivo, che rende assai dubbia la loro legittimità al governo di un Paese retto da ordinamenti democratici”.
Il principio funziona ma forse in un’Italia diversa da quella attuale, dove il centrosinistra necessita dei Cinque Stelle per intimorire il centrodestra e quest’ultimo deve aggrapparsi a dubbie crociate (green pass; immigrazione; cannabis e lgbtq) per stuzzicare i consensi. In una cornice simile il centro può farsi unico promotore di competenza, preparazione e prospettiva su temi fondamentali come istruzione, sanità, indipendenza energetica, sostenibilità concreta ed europeismo. Un centro che per crescere deve superare ostacoli ideologici per ritrovarsi sotto la grande ala di un programma condiviso, lineare e comprensibile a un popolo più che mai propenso all’astensione, complice anche il guaio – l’ennesimo – dei fuori sede impossibilitati a votare di fine settembre. Nei giorni passati, infatti, la Camera dei Deputati avrebbe dovuto discutere la legge ma tutto rinviato per via delle elezioni anticipate: 4,9 milioni di elettori potrebbero mancare all’appuntamento. Unendo le forze, tuttavia, un nuovo polo centrista potrebbe davvero imporsi sullo scenario parlamentare nostrano. Questo centro che soffre, questo centro che si immola, questo centro che forse ce la fa. Con una fiducia tutta da conquistare in pochissime settimane.