Quanti oligarchi muoiono a Mosca

Nel 1939 Winston Churchill definì la Russia come un rebus avvolto in un mistero all’interno di un enigma. Qualcosa di difficile da decifrare e per niente facile da capire senza andarci vicino. È quello che sembra essere successo a 12 tra manager e oligarchi russi morti negli ultimi mesi in circostanze misteriose. Uno dopo l’altro. Non tutti in Russia, qualcuno per una “grave malattia” improvvisa, altri a causa di incidenti, molti per suicidi. I più, nonostante le posizioni manageriali in aziende legate al Cremlino, avevano in un modo velato e non, criticato il presidente russo Vladimir Putin dopo l’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina. Sulla carta però, rimangono tanti rebus avvolti in misteri ed enigmi.

I suicidi in casa Gazprom

Lavorare nelle società del gruppo Gazprom, il colosso del gas di Mosca, non è una cosa da poco, soprattutto quando si ricoprono figure come manager di punta e amministratore delegato. A fine gennaio 2022, nei corridoi del Lachta-centr di San Pietroburgo, il grattacielo di proprietà di Gazprom che ospita il quartier generale della multinazionale, si parla poco di un suicidio di un top manager, il primo di una lunga serie. È Leonid Shulman, 60 anni, sotto processo per frode che viene trovato morto nella vasca da bagno della casa di campagna nella Regione di Leningrad. Era a capo dei servizi di trasporto di Gazprom Invest; accanto a lui, un biglietto di addio. Altra nota di suicidio, altra morte sospetta: questa volta a togliersi la vita è Alexander Tyulyakov, manager di Gazprom. Aveva 61 anni e secondo quanto riferito dai media russi, il 25 febbraio è stato trovato impiccato nel suo garage di San Pietroburgo. E poi Vladislav Avayev, 51 anni, ex funzionario del Cremlino ed ex vice presidente di Gazprombank, rinvenuto nel suo appartamento lussuoso al quattordicesimo piano di un grattacielo di Mosca, ucciso da colpi di arma da fuoco. Sul luogo, morte anche la moglie incinta e la figlia di 13 anni. Il 18 aprile, giorno del decesso, sarebbe stata l’altra figlia ventiseienne Anastasia a trovare i corpi del padre, con una pistola in mano, della madre e della sorella minore. “Lo ha ucciso Putin”, aveva accusato Igor Volobuev, già vicepresidente di Gazprom poi scappato nella natia Ucraina per combattere. Infine, le misteriose morti arrivano fino a Sochi, nella Russia meridionale, dove il 3 maggio Andrei Krukowski, 37 anni, muore precipitando da una scogliera. Gestiva il resort sciistico a Krasnaya Polyana di proprietà di Gazprom nella città turistica sulle rive del Mar Nero.

Quanti oligarchi muoiono a Mosca

Da Gazprom a Lukoil

Dal grattacielo della capitale zarista all’edificio squadrato nel cuore pulsante della Russia, a Mosca, dove Ravil Maganov, presidente del consiglio di amministrazione della compagnia petrolifera russa Lukoil, muore il 1 settembre dopo essere caduto da una finestra della Clinica centrale ospedaliera di Mosca. Sessantasette anni, Maganov lavorava in Lukoil dal 1993 – presidente dal 2020 -, ed era stretto collaboratore del fondatore Vagit Alekperov, dimissionario ad aprile scorso, una settimana dopo che la Gran Bretagna gli aveva imposto il congelamento dei beni e il divieto di viaggio come parte delle sanzioni contro le azioni militari russe in Ucraina. Stando alla stampa russa, Maganov era stato ricoverato dopo un infarto, e tra i motivi della sua morte, sempre il suicidio – l’agenzia Tass ha sottolineato che il manager assumesse antidepressivi. Oltre alla carriera nella compagnia petrolifera, Maganov si è distinto per aver criticato l’invasione russa dell’Ucraina: “chiedo che la guerra finisca il più presto possibile”, aveva detto a marzo esprimendo compassione per le vittime di quella che lui stesso aveva definito una “tragedia”. I lutti aziendali di Lukoil erano però iniziati a maggio quando Alexander Subbotin, 43 anni, ex-ad della più grande compagnia petrolifera ma membro del Consiglio di amministrazione, muore per insufficienza cardiaca, dopo essersi sottoposto a un trattamento sciamanico a Mytišči, a 19 km da Mosca. La pratica, che spesso faceva per curare gli eccessi alcolici, prevedeva delle ferite, provocate da tagli, in cui iniettare veleno di rospo per rafforzare il sistema immunitario. Nonostante non fosse la prima volta, Subbotin non reagisce bene e si sente male: lo sciamano e la moglie non chiamano i soccorsi e decidendo di ricorrere ad un sedativo a base di erbe naturali. Con scarsi risultati.

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Gli indizi della guerra in Ucraina

La pura coincidenza di questi mesi non si ferma neanche oltre confine: il 28 febbraio il cadavere dell’oligarca di origini ucraine Mikhail Watford, 66 anni emigrato nel 2000 nel Regno Unito, è nel garage nella sua casa del Surrey senza vita. Nato con il cognome Tolstosheya, una volta aver fatto fortuna con petrolio e gas, aveva iniziato a lavorare nell’immobiliare con cittadinanza e nomi nuovi. Escluso l’omicidio, la polizia inglese definisce la morte “inspiegabile”. Spiegazioni che sembrano invece essere chiare per la morte di Vasily Melnikov, della moglie e dei due figli: questa volta di nuovo in Russia, a Nizhny Novgorod, e di nuovo un omicidio-suicidio. Melnikov era proprietario della Medstom, società che importa attrezzature mediche e che, a causa delle sanzioni, era al collasso. In Europa invece in primavera si consuma un’altra tragedia: il 21 aprile a Lloret de Mar, in Catalogna, Sergey Protosenya, 55 anni e oltre 400 millioni di dollari di patrimonio, ex manager del secondo produttore russo di gas Novatek, è impiccato nel giardino di una villa presa in affitto dopo avere ucciso nel sonno la moglie e la figlia, rispettivamente di 53 e 18 anni. L’altro figlio, che non era in vacanza con il resto della famiglia, esclude subito il suicidio.

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L’estate dei misteri

A fine giugno, il nono oligarca deceduto è Yevgeny Palant: 47 anni di origine ucraina, era proprietario della compagnia di cellulari A-mobile attiva in Abkhazia. Il suo cadavere nudo viene ritrovato vicino a quello della moglie Olga e della figlia Polina. Questa volta, a ucciderlo sarebbe stata la donna dopo aver scoperto la volontà dell’uomo di interrompere il matrimonio: decine di pugnalate prima di disegnare due cuori col sangue sul muro, per poi togliersi la vita. Durante l’estate a Leningrado, i primi di luglio, Yuriy Voronov galleggia privo di vita nella piscina della sua lussuosa villa, con una pallottola in testa e una pistola vicino. 61 anni, titolare di Astra-shipping, un’impresa di logistica con contratti con Gazprom nell’Artico, sarebbe stato ucciso per una disputa con soci di affari. Dall’altra parte del mondo, a Washington DC, nella notte del 14 agosto Dan Rapoport precipita da un palazzo della capitale statunitense. Il 52enne finanziere e broker era da tempo un critico di Vladimir Putin – di origine lettone, nel 1980 la famiglia emigra negli Stati Uniti per asilo politico. Come in ogni enigma, le circostanze rimangono “estremamente sospette”, recita Bill Browder, ex finanziere americano per anni a Mosca, famoso per essersi battuto a favore delle sanzioni contro la Russia dopo l’uccisione del suo avvocato Sergei Magnitsky.

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