Precariato presente: così riparte la scuola italiana

Riparte l’anno scolastico, come al solito, tra mille difficoltà. E le differenze con gli studenti europei non mancano

Il rientro a scuola è il mal di pancia dei docenti. Il precariato risponde sempre all’appello: quest’anno sono 250.000 in tutto. Nel frattempo, diventa di ruolo chi aveva vinto il concorso nel 2016, chi ha superato i concorsi del 2020 (svolto 2 anni dopo causa Covid) e del 2023 è ancora in lista d’attesa. Per quest’ultimo nessuna graduatoria di merito permanente -in soldoni, nessuna certezza su se si otterrà l’assegnazione (o l’abilitazione) e quando. La lista d’attesa scorre in differita. Gli insegnanti ci sono eppure gli insegnanti mancano. Non c’è sincronia tra massaggio e crampo – tra i docenti di ruolo che vanno in pensione e le nuove assunzioni-, per questo il mal di pancia rimane acuto.

Anno dopo anno le supplenze provano ad alleviarlo, ma è così che l’Italia continua ad assicurarsi gli ultimi posti nella classifica dei Paesi europei più istruiti: la formazione scolastica singhiozza e migliaia di supplenti sono già stremati come a fine carriera. Esserlo può anche voler dire percorrere centinaia di kilometri in giornata per insegnare a una classe stanca: per gli studenti è faticoso abituarsi a una storia che ogni volta ricomincia. Gli insegnanti sono disorientati davanti alla scuola che cambia e, spesso, la responsabilità di gestire le relazioni tra studenti di diverse etnie diventa tensione: l’incomunicabilità ha reso frequenti i disagi e gli atti vandalici dei ragazzi contro il corpo docenti, con questi ultimi ormai sempre più convinti del fatto che si tratti di una loro incapacità e non dell’assenza di provvedimenti che regolino la loro condizione. La situazione degli insegnanti, in Italia, è frustrante.

Precariato e i soliti problemi che durano da anni
La scuola italiana riparte tra mille difficoltà – ilMillimetro.it

I concorsi sono tanti e accavallati – quest’anno si è aggiunto il concorso PNRR per l’assunzione di 70.000 docenti. Eppure, il numero delle assegnazioni di ruolo è sempre inferiore rispetto al numero dei posti vuoti e nelle regioni del Sud va peggio che nelle altre. In aggiunta, si continua a pagare per ottenere le certificazioni necessarie per avanzare di grado, sperando di essere chiamati da un momento all’altro. In diversi Paesi europei le assunzioni sono gestite in modo diretto dalle scuole, senza concorsi. Accade per esempio in Finlandia, dove i docenti di ruolo hanno 25 anni. Nel nostro Paese gli insegnanti sono mediamente più anziani rispetto al resto d’Europa, soprattutto nelle regioni meridionali. Quest’anno in Italia ci saranno 110.000 studenti in meno.

I banchi di scuola resteranno vuoti come da tempo le culle in ospedale: sezioni che non si formano e riduzione dell’organico sono effetti della denatalità e sono evidenti innanzitutto sulle scuole primarie; la loro risacca proseguirà lungo più cicli scolastici. Una previsione inquietante è quella secondo cui, nel 2042, ci saranno 2 milioni di studenti in meno: – 726.000 quelli di età compresa tra i 14 e i 18 anni. Per le famiglie i cui figli, tra qualche giorno, torneranno a scuola (si parte il 5 settembre nella Provincia di Bolzano e poi fino al 16 settembre in base alle regioni), il costo complessivo del materiale scolastico potrebbe arrivare fino a 1300 euro a studente. Secondo il Codacons, rispetto al 2023, i rincari ammontano al 15% per zaini, diari e astucci brandizzati: uno zaino firmato può costare fino a 200 euro e un diario 35 euro; l’aumento è più contenuto (+3%) sugli acquisti unbranded. Il prezzo dei testi scolastici è invece aumentato del 4,9%: ogni famiglia potrebbe arrivare a spendere fino a 700 euro a studente.

Lo ius scholae, se ne riparla e perché

La scuola non può essere un passe-partout per l’identità degli studenti stranieri che vivono in Italia. E però studiare nel nostro Paese resta un loro sacrosanto diritto. Il 10,3% dei nostri studenti non ha la cittadinanza italiana: si tratta di oltre 890.000 ragazzi. La maggior parte di loro è nata in Italia, ma lo ius soli è concesso solo in casi eccezionali.

I ragazzi cercano il loro futuro in una scuola sempre più abbandonata
Vacanze finite, alunni di nuovo in classe – ilMillimetro.it

Sempre in regolare disaccordo, le pagelle politiche delle ultime settimane bocciano e promuovono lo ius scholae: la possibilità che un giovane studente, figlio di genitori immigrati, possa ottenere la cittadinanza dopo aver completato regolarmente un ciclo scolastico nel nostro Paese. Un recente sondaggio di BeMedia segnala che la maggior parte degli italiani è favorevole: 1 italiano su 3 conferirebbe la cittadinanza italiana agli studenti stranieri addirittura in anticipo. Secondo le previsioni di Tuttoscuola, se lo ius scholae fosse applicato, gioverebbe a circa 310.000 studenti stranieri.

Una proposta non dissimile era stata approvata dalla Camera nel 2015: lo ius culturae stabiliva che i minori nati in Italia potessero ottenere la cittadinanza dopo aver frequentato in modo regolare per 5 anni uno o più cicli scolastici o percorsi di formazione e istruzione professionale dalla durata di 3 o 4 anni. Lo ius culturae arrivò al capolinea 2 anni dopo, quando non ottenne l’approvazione in Senato. L’ottenimento della cittadinanza italiana per i minori è regolato dalla Legge 91 del 1992: secondo lo ius sanguinis, entrambi i genitori o almeno uno dei due dev’essere italiano.

Il leader di Forza Italia Antonio Tajani rivendica la giustezza dello ius scholae bocciato in via definitiva dall’estrema destra, la Lega di Matteo Salvini che a marzo voleva imporre un limite massimo alla presenza di studenti stranieri in ogni classe. La scuola elementare Goethe di Bolzano ha formato per la prima volta una classe di soli studenti migranti che non conoscono il tedesco, lingua dell’istituto. La maggior parte di loro sono cittadini italiani, solo 47 hanno cittadinanza straniera. Seppure a distanza, il  centrodestra di Tajani è allineato alla sinistra democratica, la prima ad avanzare la proposta.

Oppure provando a soffiargliela. “Dobbiamo anche guardare a un’Italia che cambia e, come centrodestra, non dobbiamo lasciare certi argomenti alla sinistra” ha detto in una scorsa intervista a L’Arena. Fratelli d’Italia rimane in silenzio. Per chetare la situazione, Tajani ha comunque precisato che lo ius scholae non è al momento una priorità del governo, impegnato nella prossima Manovra finanziaria. Come scrive bene Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, la politica deve conquistare i favori dell’opinione pubblica. Se l’opinione pubblica è preoccupata di più per il suo presente che non per il futuro, va da sé che l’istruzione passi in secondo piano, in quanto condizionata dagli effetti (a lungo termine) della denatalità. 

Il confronto con gli studenti cittadini europei

A partire dall’anno scolastico 2025/2026, gli studenti stranieri che non parlano italiano potranno essere affiancati da nuovi insegnanti per apprendere la lingua più velocemente. È l’articolo 11 del decreto sancito dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara che riguarderà i ragazzi arrivati da poco nel nostro Paese, e che dovranno costituire almeno il 20% del totale degli studenti di una classe. Nei Paesi nord europei sono attive diverse misure a sostegno dell’apprendimento degli studenti stranieri.

La scuola in Europa è un passo avanti
Differenze e priorità con gli altri Paesi – ilMillimetro.it

A restare un passo indietro in termini di rendimento scolastico non sono solo gli studenti stranieri: anche quelli italiani, sebbene in misura minore. Un aspetto ancora preoccupante, ma migliorato, è il fenomeno della dispersione scolastica -la scelta di abbandonare gli studi prima del tempo: nel 2024 è sceso al 6,6%: nel 2021 era pari a 9,8%. Siamo ancora il secondo Paese europeo con l’incidenza più alta di Neet, i ragazzi che né studiano né lavorano. Al primo posto c’è la Romania. Perché i giovani italiani abbandonano la scuola? La prima di tutte le cause è la povertà, in un Paese le cui fratture socio-economiche sono anche geografiche: il divario tra Nord e Sud è tanto arroccato quanto attuale.

Un bonus sulle gite scolastiche, come quello erogato quest’anno, non può essere abbastanza. Tra i Paesi dell’Unione Europea esemplare è il funzionamento della Danimarca, dove la differenza tra i ricchi e i poveri è quasi nulla, se li intendiamo come destinatari di provvedimenti e misure erogati dallo Stato. Sul piano dell’istruzione, gli studenti universitari ricevono un sussidio statale di 825 euro: è in realtà un incentivo a crearsi la propria autonomia e a non dipendere più economicamente dalla propria famiglia.

A ricevere il sussidio anche gli studenti stranieri che però, una volta terminati gli studi, non sempre restano in Danimarca a lavorare. Talvolta non si tratta di disporre delle stesse possibilità economiche, quanto di ricevere la stessa tipologia di aiuto o servizio. Parità è ciò che rende dignitosa la politica danese. E darebbe più coraggio alla speranza di migliaia di studenti stranieri che vivono in Italia.

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