Perché è l’anno di Stefano Nazzi

Stefano Nazzi, giornalista del Post e autore del podcast Indagini, ha raccontato le storie di dieci assassini – di cui quattro seriali – nel suo nuovo libro appena uscito in libreria. Si intitola Il volto del male. Storie di efferati assassini. L’opera, uscita il 9 maggio scorso, è il coronamento di un anno imprevedibile e gratificante, grazie soprattutto al successo delle puntate pubblicate sull’applicazione del sito e su tutte le piattaforme streaming. Una tendenza che conferma quanto l’ascolto oggi sia più vivo e trasversale che mai, nel caso di una materia – la cronaca nera – che scandisce da decenni le tappe del paese raccontandone soprattutto le spigolature. La sfida vinta da Nazzi (oggi alla seconda stagione) sta però tutta nel lessico utilizzato e soprattutto nella totale assenza di giudizio. Parola a carte processuali e al massimo psicologi: le conclusioni personali non sono benvenute.

Perché è l'anno di Stefano Nazzi

“Indagini” è il podcast più ascoltato d’Italia ma esci in libreria con “Il volto del male”. Un ritorno al passato?

“Semmai un passo parallelo. Io nasco come uno che scrive sulla carta articoli e libri. Il mio lavoro è quello di raccontare storie e il mezzo che si utilizza può cambiare – tv, radio o quotidiano – ma la storia è la protagonista”.

Hai scelto dieci storie. Come?

“Il libro parla di persone che hanno fatto male ad altre persone. Iniziando a cercare ho notato che ognuna di queste era diversa dall’altra, non c’era mai un tratto comune. Il male può essere dappertutto, non c’è una tipizzazione di chi commette atti feroci”.

Ti incuriosisce il male come concetto filosofico? 

“Mi interessa sicuramente da dove scaturisce. Io so che esiste e te lo racconto, ma saperti dire da dove nasce è davvero difficile. È uno studio che richiede approfondimenti scientifici e io mi limito a dirti che c’è. È assurdo credere che provenga solo da malattie o disturbi mentali. Una psicologa una volta mi ha detto: ‘Non sono mica tutti matti, ci sono i cattivi e basta che per raggiungere il loro obiettivo sarebbero disposti a qualsiasi cosa’“.

Quando hai iniziato a occuparti di cronaca nera?

“Agli inizi degli anni Duemila, nella redazione di Gente. Lì ho imparato molte cose, in primis la necessità di prendere le distanze da un aspetto morboso che spesso veniva esacerbato. Rimasi impressionato dalle conseguenze del delitto di Avetrana, ridotto a set mediatico con conseguenti atti corruttivi. Lì mi son detto: proviamo a raccontare la cronaca nera come una serie di fatti messi in ordine senza cercare di indirizzare il giudizio”.

È un approccio educativo, lo sai?

“Inizialmente no, poi l’ho capito tramite due soddisfazioni. Un gruppo di Carabinieri che grazie al mio podcast, a sua detta, ha imparato molte cose e il Pubblico Ministero del processo a Erika e Omar che mi ha ringraziato del modo in cui ho raccontato la storia processuale”.

Cambio di linguaggio che si sposa perfettamente con quello de Il Post.

“Non a caso nasce qui l’idea di Indagini, insieme a Luca Sofri e soprattutto Francesco Costa. Allora era il responsabile dei podcast della testata e un giorno sono andato da lui con la proposta. Ne aveva una simile per me e abbiamo iniziato a lavorarci con Valentina Lovato, scrivendo la prima puntata su Garlasco e sincronizzandoci poi”.

Il lavoro di ricerca in archivio è più stancante o stimolante?

“La seconda. Ti accorgi di quant’è diverso il paese con le sue abitudini e aspetti visivi (vedi l’arresto di Enzo Tortora, sbattuto su tutte le prime pagine, oggi sarebbe inaccettabile). L’archivio è interessante ed è impegnativo, specie per la sintesi da costruire alla fine”.

È utile, nel caso del tuo mestiere, avere contatti nei tribunali?

“Certo. Se hai avvocati che ti stimano e spiegano meccanismi che a livello legale normalmente sfuggirebbero è sicuramente un bene”. 

Il rapporto con gli assassini?

“Può capitare di avere un contatto con l’indagato che, fa strano dirlo, potrebbe perfino apparirti normale. Se incalzato da un giornalista potrebbe perdere la sovrastruttura del mostro, scatenando anche un’empatia. Sai che sta pagando per quello che ha fatto e ascolti la sua storia”.

Metodo Franca Leosini.

“Lei è uno dei precursori, certamente. Ma anche Truman Capote, che indagò su una strage diventando amico di uno dei colpevoli. Apprezzo chi sa mettere se stesso poco nelle storie, dando importanza al protagonista. Molti invece non riescono a rimanere nel backstage”.

La giustizia in Italia funziona?

“No, perché è lenta e costringe gli imputati a spese processuali inaudite. È terrificante se da presunto colpevole esci innocente. Ci vorrebbero dei costituzionalisti per rispondere, ma sicuramente bisognerebbe depenalizzare alcuni reati snellendo il lavoro della magistratura. Dopodiché, gli errori giudiziari ci sono qui come altrove. I nostri tre gradi di giudizio, quantomeno, assicurano garantismo”.

C’è un sistema giudiziario estero che ti affascina particolarmente?

“Quello anglosassone, molto diverso dal nostro. Due particolarità su tutte: è più difficile arrivare a processo e l’appello è previsto solo in casi eccezionali”.

La cronaca nera racconta l’epoca di un paese?

“Ne sono convinto. Come materia viene spesso snobbata quando in realtà racconta le abitudini di una società e del suo territorio. Ci sono delitti che avvenivano più in un determinato periodo e meno oggi. Tutta la storia dei Carretta e del camper che scompare oggi non esisterebbe per via delle telecamere di sorveglianza. La tecnologia ha diminuito i numeri dei reati e c’è una forma di prevenzione maggiore”. 

Perché è l'anno di Stefano Nazzi

Oggi indagare è più facile?

“Sicuramente c’è un bisogno di aggiornamento continuo, le tecniche di indagine scientifiche (balistica, ricerca geologica etc.) si evolvono di mese in mese. Adesso sia la Scientifica che i Ris sono al passo coi tempi ma vent’anni fa non era così. Non c’erano i droni, per esempio (ride, ndr)”.

Quali sono le tre materie che più frequentemente si intrecciano con la violenza?

“Famiglia, sesso e denaro”.

Quanto ti ha cambiato la vita “Indagini”?

“Mi fermano al bar perché riconoscono la mia voce. Per il resto continuo a fare la mia vita da giornalista, di certo con qualche gratificazione in più”.

Quanto dura la lavorazione?

“Dieci giorni di recupero materiale online (si trova molto su YouTube e siti indipendenti), qualche giorno di scrematura e poi scrittura. La registrazione avviene in un secondo momento e poi si lavora al montaggio. Più di una puntata al mese non riusciremmo a fare”.

Le musiche giocano un ruolo fondamentale.

“Sì, tanti hanno riconosciuto per esempio i brani di Game of Thrones o Leftovers all’interno delle puntate. Quest’anno però c’è una novità, abbiamo le musiche originali di Stefano Tumiati su proposta di Matteo Caccia“.

C’è una puntata che ti ha scosso particolarmente?

“Quella delle Bestie di Satana, una storia dai crimini efferati senza la minima giustificazione”.

Errori che senti di aver commesso?

“L’inserimento della chiamata al 112 nella puntata di Ladispoli, caso Vannini. Mi hanno scritto persone che non hanno reagito bene. Da quel giorno inseriamo nella premessa di ogni episodio un disclaimer“.

Sei mai stato tentato di trattare lo stesso tema di “Veleno”, di Pablo Trincia?

“No, ma semplicemente perché è fatto benissimo”.

Casi che ti piacerebbe affrontare?

“Quello di Emanuela Orlandi, ma cercando di escludere le tante stupidaggini dette. Nessuno degli attori in gioco ha mai portato un minimo elemento concreto che provasse quanto detto. Oggi temo sia impossibile risolvere il caso”.

Come mai c’è tanta voglia di cronaca nera?

“C’è sempre stata, sai? Un po’ perché vedendo cose che succedono noi diciamo: ecco, siamo meglio di loro. Un po’ perché ci incuriosisce capire il buco nero nella grotta”.

È legittimo provare fascino per un serial killer?

“Sì, ma non lo capisco. Quando ho saputo delle migliaia di lettere ricevute da Erika De Nardo, Angelo Izzo o Massimo Bossetti in carcere sono rimasto allibito”.

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