Pasolini sceneggiatore, “prima” del suo cinema

Il 2022 è giustamente dedicato ai festeggiamenti del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, un autore che si è mirabilmente espresso attraverso la letteratura, la polemica politica e culturale e, naturalmente, il cinema. Ma prima del “cinema di Pasolini” c’è stato l’autore di soggetti e sceneggiature per il cinema… in cerca di affermazione. Dalla sua prima collaborazione per La donna del fiume (1954), di Mario Soldati, alla Commare secca (1962) di Bernardo Bertolucci, Pasolini collabora ad almeno 36 sceneggiature (comprese alcune mai realizzate, qui non citate). È un’esperienza che lo rende insoddisfatto perché non ama scrivere storie a più mani e perché i registi tendono a “tradire” la sua ispirazione: non ama il ruolo di “artigiano su commissione” e aspira ad affermarsi come “artista”. La sua visione sarà chiaramente espressa in un saggio, scritto nel 1965, dove analizza la sceneggiatura come “struttura che vuol essere un’altra struttura”, giungendo alla conclusione che la sceneggiatura “può essere considerata una “tecnica” autonoma, un’opera integra e compiuta in sé stessa”.

Conosce nel 1947 l’influente Giorgio Bassani, ne nasce un’intensa amicizia che permetterà a Pasolini di introdursi nel contesto culturale romano: lo scrittore presenta il giovane Pier Paolo alla casa editrice Astrolabio che gli pubblica la raccolta di poesie Usignolo della chiesa cattolica: seguirà anche una presentazione presso la rivista “Botteghe oscure” per farsi assumere come bibliotecario. In una corrispondenza dell’aprile 1953 Pasolini scrive: “Sappi che due volte al mese Bertolucci, Bassani, Frassinetti e io ceniamo insieme in un ristorante bolognese, così per sfizio regionalistico”.

Il cinema

Il passo dell’ingresso anche nell’ambiente cinematografico è breve. È un periodo di vivace attività: il già citato film di Soldati, Il prigioniero della montagna (1955) di Luis Trenker. I due amici passeranno tutta l’estate in giro per l’Italia per preparare le due sceneggiature. Quando Pasolini prenderà una strada diversa, il legame con Bassani non si interromperà: ne La rabbia (1963)il cui commento in versi è scritto appositamente e letto dal romanziere (quello in prosa da Renato Guttuso); nell’episodio La ricotta (1963) Bassani doppia Orson Welles. Per Ermanno Olmi, Pasolini scrive il cortometraggio Manon finestra 2 (1956), girato nella centrale idroelettrica di Cinego ai piedi dell’Adamello: opera incentrata sulla dura e pericolosa attività dei minatori.

Un percorso in crescita, per il nostro, se sembra trovare il giusto coronamento con l’incontro con Federico Fellini che lo coinvolge ne Le notti di Cabiria (1957). Ma la collaborazione si inceppa malamente, dato che Fellini si rifiuterà – avendone in quel momento l’opportunità con la Federiz (casa di produzione fondata in partnership con Angelo Rizzoli in seguito all’exploit de La dolce vita) – di produrgli nel 1961 Accattone: il piccolo-borghese Federico non è interessato agli emarginati di borgata di Pier Paolo (anche se si racconta che gli regala una Fiat 500 per farlo “viaggiare” all’interno delle borgate romane). C’è chi si spinse a scrivere che Fellini fosse spaventato dal talento di Pasolini (tant’è che gli fece anche lo sgarbo di non accreditarlo tra gli sceneggiatori de La dolce vita, 1960).

Pasolini collabora nuovamente con Olmi col documentario Grigio (1957), incentrato sulle gesta di un cagnolino di campagna che giunge in città. C’è poi il colpo di fulmine con Mauro Bolognini, che lo ingaggia per due commediole, Marisa la civetta (1957) e Giovani mariti (1957) dopo essere rimasto sfolgorato dallo script di Accattone: “Conoscevo il copione di Accattone ma non avevo mai visto, diciamo, il suo copione di regia. Me lo mostrò […] assieme a tutte le foto dei luoghi e dei personaggi che aveva scattato. Era una cosa incredibile, commovente. Insomma, inquadratura per inquadratura, aveva creato un copione illustrato, un lavoro stupendo che era già il film, chiaro, così come sarebbe stato. Rimasi entusiasta, sbigottito che quella roba non fosse piaciuta. Dissi subito che avrei fatto il possibile per dargli una mano”.

Le prime scritture cinematografiche

Pasolini ha una forte delusione dalla sceneggiatura La nebbiosa, scritta nel 1959, sorta di Arancia meccanica ante-litteram, o meglio contraltare milanese di Ragazzi di vita, che narra le gesta violente di un gruppo di “teppisti”. Ne trarrà Le notti dei teddy boys (1959) di Leopoldo Savona, ma con Pasolini estromesso dal progetto, che pure aveva avviato in collaborazione con Elio Petri (che scrisse il copione definitivo insieme a Franco Giraldi e Tommaso Chiaretti), trasferendosi addirittura a Milano e impegnandosi non poco in sopralluoghi che potessero arricchire la stesura dello script. Pasolini si documenta, si rivolge non solo alle prove hollywoodiane, ma anche a certi film francesi sul disagio giovanile. Approfondisce la cronaca dei giornali, contatta esperti. Con la sua uscita il film, che appunto intende riprodurre il contesto della “gioventù bruciata” statunitense nei “ragazzi di vita” della borghesia italiana, non lascia traccia se non come esplicita testimonianza di un contesto storico e sociologico.

Ma Pasolini non si ferma e scrive una trama analoga per La notte brava (1959), sempre per Mauro Bolognini: le gesta di tre borgatari balordi, interpretati da Jean-Claude Brialy, Laurent Terzieff e Franco Interlenghi (evidenti gli echi di Ragazzi di vita e Una vita violenta): due borgatari senza futuro, ai quali si aggiunge un terzo, trascorrono una “notte brava” tra furti e donne di vita più scafate di loro che li imbroglieranno. Per la prima volta il nome di Pasolini appare sui crediti iniziali come soggettista e sceneggiatore. Nonostante qualche incomprensione con il regista, l’artista è finalmente soddisfatto: nel 1960 il soggetto – originale – si aggiudica un Nastro d’Argento. Sempre per Bolognini, sarà quindi la volta dell’adattamento da Vitaliano Brancati Il bell’Antonio (1960). Con Morte di un amico (1960), di Franco Rossi, Pasolini torna nuovamente all’emarginazione della periferia romana. Con una nuova e cocente delusione: la produzione modifica la sua storia (che aveva visto impegnato anche Giuseppe Berto) e l’autore ritira la firma.

Pasolini sceneggiatore, "prima" del suo cinema

Un emarginato dedito al furto, e che si fa mantenere da una prostituta, entra in contatto con un giovane che ha deciso di seguire la strada sbagliata, nonostante una famiglia amorevole alle spalle. La produzione stempera la durezza pasolianiana per un adattamento convenzionale e moralistico, quasi da fotoromanzo, che tradisce l’ispirazione originaria. Le due collaborazioni “neorealiste” a La lunga notte del ’43 (1960), di Florestano Vancini, e Il carro armato dell’8 settembre (1960), di Gianni Puccini, non lo entusiasmano. Mentre è il solito Bolognini, con La giornata balorda (1960) ad attingere al contesto che è più caro a Pasolini: la vicenda opaca di un ventenne disoccupato, tratta dai “racconti romani” di Alberto Moravia.

Tutto in salita

L’ingresso di Pasolini nel cinema “da protagonista” sembra disseminato di continue difficoltà: La ragazza in vetrina (1961), di Luciano Emmer, soffre di problemi economici e di censura (il progetto risaliva agli anni ’50). Pasolini si innamora immediatamente del soggetto di Rodolfo Sonego (in seguito lo sceneggiatore principe di Alberto Sordi) inconsapevole del disastro a cui sta andando incontro: la censura dell’epoca non può tollerare la narrazione di giovani italiani (minatori emigranti in Belgio e in Olanda) che si svagano accompagnandosi con donne che si espongono in vetrina. Con l’aggravante della nascita di un vero sentimento tra uno dei personaggi e una prostituta. Il film, che uscì pesantemente emendato, rappresentò un dramma per la carriera di Emmer, che abbandonò il cinema per la televisione: “È una storia per cui avrei dovuto ammazzare qualcuno. La scena era castissima, solo che era fatta tutta a base di soldi: 25 fiorini i primi, poi andava sul letto, lui si toglieva la giacca e la camicia, ancora 10 fiorini; poi lui chiedeva: “Tu non ti spogli?”, 10 fiorini; alla fine, quando lei era sul letto (figurati se facevo vedere una prostituta nuda in un film mio! si vedeva la spalla e basta) lui, da buon italiano, si avvicinava per darle un bacio; e lei si voltava con la faccia e diceva: “No kiss!”.
Questa era la scena più importante del film. Passano questo weekend e nasce una simpatia fra loro: ma lui decide di partire e lei va alla stazione perché ha dimenticato la valigia: “You, dimenticato valigia!”. “Grassie bionda, se torno da ste parti ‘natra volta te vegno a catare”, sapendo che mai sarebbe successo. E la ragazza, con le lacrime agli occhi, gli dice: “No kiss?”. Questa è la fine”.

Pasolini sceneggiatore, "prima" del suo cinema

Milano nera (1961), di Gian Rocco e Pino Serpi, rivede nuovamente Pasolini impegnato sulla sua sceneggiatura La nebbiosa: la vita balorda di un gruppo di giovani milanesi “senza arte né parte” dall’epilogo tragico. La produzione snatura completamente la storia e il film per molti anni venne dato per perduto. Recuperato dalla Cineteca Italiana, e proposto nel mercato in Dvd, Milano nera non regge sotto il profilo registico, ad opera di due documentaristi assoluti sconosciuti (e senza futuro, a parte un imbarazzante Giarrettiera Colt nel 1967 diretto da Rocco). Il film venne programmato per due sole serate a Milano per scomparire definitivamente. In seguito al recupero, una critica in cerca di novità ha incautamente suggerito “un certo clima alla Scerbanenco”. In realtà ciò che indubbiamente emerge è un certo ambiente della mala milanese caro ai primi Gaber e Vanoni, una Milano cupa e malinconica, e la colonna sonora di Giovanni Fusco.

Infine, Una vita violenta (1962), di Paolo Heusch e Brunello Rondi, un incisivo adattamento dal romanzo di Pasolini sempre sulle vicissitudini di un giovane di borgata, che tuttavia lo vede escluso dalla sceneggiatura. Attori, ambienti ed estetica di Accattone al servizio di un’opera incompiuta (ma ben interpretata) priva dell’ispirazione e dello spessore sociologico di Pasolini. Ma la descrizione delle borgate e dei suoi abitanti è vivida, quasi in presa diretta, all’interno di un impianto post-neorealista dalla cruda violenza. Arriva, infine e dopo l’esordio con Accattone (1961), il debutto del ventitreenne Bernardo Bertolucci con lo pseudo-giallo La commare secca (1962), da un soggetto dello stesso Pasolini. L’autore tornerà come semplice sceneggiatore in Ostia (1970), di Sergio Citti, incentrato su una violenta storia di due fratelli omosessuali di periferia.

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