Donne adulte, future mamme, ragazze poco più che ventenni. Un avvenire ancora da costruire, tante speranze e sogni. Una vita distrutta da chi – invece di proteggerle – le ha uccise. Uomini che dicevano di amarle. Forse sì, le amano davvero. Ma il loro è un amore malato. Così malato che li ha portati a commettere brutali omicidi. Quello del femminicidio è un fenomeno sempre più diffuso nel nostro Paese. E i dati del Viminale lo confermano. Dall’inizio dell’anno ci sono stati 151 omicidi: 55 vittime erano donne, di cui 45 uccise in ambito familiare. Di queste, 26 ammazzate dal partner o dall’ex. Nel 2022 ne sono state uccise 126. Centoventi l’anno precedente e 119 nel 2020. Numeri in crescita che impongono la necessità di un intervento. Ma di che tipo? Quali sono i problemi alla base di questo fenomeno? Cosa spinge gli uomini a uccidere le donne? A rispondere, in un’intervista rilasciata a “il Millimetro”, è Paolo Crepet, che analizza lucidamente il fenomeno. In 40 anni di carriera come psichiatra, sociologo, educatore e saggista, ha visto svariate situazioni di prevaricazione scambiate per amore non solo dagli aguzzini, ma anche dalle stesse vittime. “È proprio su di loro che bisogna innanzitutto lavorare“, dice.
Professor Crepet, perché è più frequente che gli uomini uccidano le donne e non viceversa?
Il problema è un altro: io non ho mai definito questo tipo di omicidio come un omicidio di genere. La ragione è semplice: non sono solo uomini, in senso maschile, ad essere responsabili. Se fosse una questione genetica tutti gli uomini sarebbero assassini e tutte le donne assassinate. Ma questo non è avvenuto.