“Te la senti di parlare, adesso?”.
“Non vorrei, sono molto a disagio. Ma a questo punto non ho scelta”.
“Ok, partiamo dal livido che hai sul volto”.
“Pablo, perdonami, è proprio necessario registrare questa conversazione?”.
“Non preoccuparti. Eliminerò il file appena ho finito di scrivere l’articolo”.
“Scusami, eh. Ho solo un po’ di ansia. Quel luogo è un inferno, mi ha distrutta psicologicamente”.
La donna si chiama F., ha trentaquattro anni. Non posso descrivervela fisicamente, si è raccomandata più volte di non dare riferimenti sulla sua identità. È scappata ieri notte da casa sua, al termine di quella che ha definito una violenza psicologica in slow motion di cui si sta rendendo conto davvero solo ora, dopo diversi mesi.