La vicenda che vede coinvolto Matteo Salvini solleva questioni di non poco conto sui temi dell’immigrazione e molto altro
E se la richiesta di condanna al processo Open Arms che vede coinvolto l’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, oggi vicepremier, fosse un (pur sempre) involontario ma enorme e prezioso assist al leader del Carroccio? Non è un mistero, infatti, che Salvini non stia passando un periodo politico particolarmente positivo: l’esito delle urne alle recenti elezioni europee è stato a dir poco deludente e ha creato qualche mal di pancia nella Lega, scavalcata da una rediviva Forza Italia.
Lo stesso Salvini appare schiacciato tra il pragmatismo della “colomba” Giorgetti, Ministro dell’Economia e uomo del dialogo nel Carroccio, e l’estremismo del generale Vannacci, vero “falco” e re delle preferenze alle elezioni, ogni tanto tirato in ballo come leader di un nuovo partito, se non addirittura in procinto di spodestare Salvini e ambire alla guida della Lega. Sicuramente un personaggio scomodo e poco gestibile.
La chiamata alle armi della Lega
L’ordine del giorno del Consiglio federale leghista, convocato d’urgenza a Roma all’indomani della richiesta dei PM della Procura di Palermo (6 anni di carcere con le accuse di sequestro di persona, omissione e rifiuto di atti d’ufficio), non ha bisogno di essere letto tra le righe, anzi: «Iniziative della Lega per difendere la democrazia, il voto popolare e la sicurezza dei cittadini, messi a rischio da una sinistra anti-italiana che usa i tribunali per le sue vendette politiche».
Più che un ordine del giorno un vero manifesto politico, che in poche righe fa quadrato attorno al leader e usa il manganello contro l’opposizione guidata dal PD e contro i magistrati. Senza contare la mobilitazione nazionale messa in piedi dalla Lega: oltre alla “Pontida internazionale” del 6 ottobre, anche una raccolta di firme partita in tutta Italia, per esprimere solidarietà a Salvini. Nella sola Lombardia in pochi giorni sarebbero state raccolte oltre 10mila adesioni.
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