Obi Wan Kenobi e il compitino della Disney

Anakin Skywalker e Obi Wan Kenobi, comunque la si legga, sono i due protagonisti assoluti dell’universo Star Wars. Sith e Jedi; male e bene; etica e ambizione; equilibrio e rabbia; rimorso e redenzione: due galassie in costante opposizione eppure tremendamente legate negli anni, nella trama cinematografica (dagli eventi di Episodio I a IV) e sul piano generazionale (dal ’77 ad – almeno – il 2022). In soldoni, per i meno preparati, il primo è il padawan del secondo ma negli anni – complici forti irrisolti emotivi – finisce per ribellarsi al maestro diventando il cattivo più spietato di sempre: Darth Vader. Nella trilogia prequel George Lucas, padre della saga, azzecca la chiave emotiva dei personaggi fabbricando ad arte una tragedia sheaksperiana dai tratti oscuri e dolorosi, in grado di prendere le distanze dalla prima – più un fantasy d’avventura – e trasmettere un’eredità enorme alla Disney, ormai da diversi anni detentrice dei diritti Lucasfilm.

Prima di Kenobi

La serie dedicata uno dei combattenti più audaci dell’ormai celebre galassia lontana lontana piomba sul mercato dopo l’ottimo esperimento di The Mandalorian (due stagioni tutto sommato apprezzate dall’esigente fan base) e l’enorme autogol di “The Book of Boba Fett”, scritta secondo molti coi piedi dal pluriapprezzato autore Jon Favreau. Si svolge dieci anni dopo la sconfitta di Anakin su Mustafar ne La vendetta dei Sith, sfigurato da Obi Wan dopo l’inaspettato passaggio al lato oscuro della forza orchestrato dall’imperatore Palpatine. Il giovane determinato e talentuoso lascia spazio al vecchio signore dei Sith, chiuso in un contenitore nero di spietatezza e rancore.

Obi Wan Kenobi e il compitino della Disney

“Più macchina che uomo”, dirà anni più tardi il Ben Kenobi di Episodio IV. Il suo vecchio maestro resta un’ossessione ma di lui non si hanno tracce: è infatti nascosto su Tatooine – pianeta natale di Anakin – per vegliare su uno dei suoi due figli: Luke. Affaticato e distante dalla forza, Obi Wan vaga per i deserti nella speranza di interloquire con il suo defunto amico e maestro Qui-Gon Jinn. È a caccia di nuove motivazioni, ormai sfiduciato dal genocidio dei jedi e dalla forza sempre maggiore del neonato esercito imperiale. Anakin però è ancora vivo ma questo Kenobi non lo sa.

Le vicende

La sinossi della serie si può riassumere in poche parole: Leia, la sorella gemella di Luke, viene rapita da una serie di manigoldi al servizio dell’Impero. Obi Wan, contattato subito dal suo amico fraterno nonché padre adottivo della bambina il senatore Organa, parte alla ricerca della bambina e inconsapevolmente di se stesso. Non è più performante come un tempo e si vede: utilizza a stento la sua spada laser – precedentemente seppellita sotto le dune di Tatooine – ed è restio all’uso della forza. È la notizia di Anakin a sconvolgerlo: l’allievo che credeva sopraffatto è ancora in campo e rappresenta la peggior minaccia possibile per lui e allo stesso tempo la bambina.

Una volta trovata, avviene il primo scontro tra i due e Vader lo vince tentando di arderlo vivo. Solo l’aiuto esterno di Tala, spia della Resistenza nelle forze imperiali, salva il jedi da morte certa. Leia però è nelle mani di Reva, la “Terza Sorella” degli Inquisitori, adepti al lato oscuro incaricati di dare la caccia ai superstiti dell’Ordine 66. La ricerca della piccola con tutti i rischi del caso risveglia le capacità dimenticate di Obi Wan e lo porta, dopo una serie di sconvolgimenti paralleli, ad affrontare una seconda volta il suo storico nemico in un attesissimo revival dell’indimenticabile duello di dieci anni prima.

Struttura e visione: senza è difficile incidere

Osservando con attenzione le sei puntate da quarantacinque minuti circa ciascuna si ha una sensazione piuttosto netta: basterebbe limitarsi alla visione della prima e delle ultime due per vivere appieno lo spirito della storia. Emerge infatti una questione di scrittura abbastanza complessa che non rende onore a un prodotto che avrebbe potuto beneficiare di molti, altri particolari non raccontati per pigrizia o mancanza di coraggio. Molti episodi faticano a intrattenere: il racconto è elementare e a volte ripetitivo. La regia è desolante sotto diversi aspetti (mancanza di ritmo su tutti) e gli effetti speciali fanno storcere il naso, specie se parliamo delle possibilità economiche della Disney associate all’universo Star Wars.

Obi Wan Kenobi e il compitino della Disney

La trama ruota intorno a bambini che scappano difesi da buoni in difficoltà contro cattivi clamorosamente goffi, qualcosa di già visto in The Mandalorian con Mando e Baby Yoda. Lo spessore dei caratteri in gioco non viene supportato da una narrativa adeguata tanto da ridimensionare, e ce ne vuole, l’autorità di Vader nelle prime quattro puntate (imparare da “Rogue One”). I nuovi protagonisti risultano anonimi (Tala su tutti, col più classico dei sacrifici) e talvolta controproducenti, Reva soprattutto: una linea forzata e senza senso con uno sviluppo personale a dir poco psicotico. Lo spettatore visiona lo scorrere degli eventi con la costante speranza di essere sorpreso ma non succede praticamente mai, è tutto un lento rimandare fino all’annunciato epilogo di stagione difficile da sbagliare. Mancano, insomma, due valori fondamentali per incidere: una struttura valida su cui costruire una visione sul lungo periodo.

Meglio tardi che mai

Ma non è tutto da buttare. Certo, servono le ultime due puntate per dirlo ma è pur qualcosa. Nella penultima risulta suggestivo il doppio binario temporale Anakin-Obi Wan, giocato prima nel presente sul campo della strategia – con Vader che organizza un attacco militare volto a sterminare Kenobi – poi su quello emotivo tornando al passato, con un flashback di Episodio II dove i due, nel corso di una sessione di allenamento, mostrano tutte le loro storiche caratteristiche. Qui il ringiovanimento di Anakin, per esempio, è quasi del tutto assente: precisa scelta o pigrizia? Da salvare invece l’interpretazione di un ritrovato Hayden Christensen, pronto a prendersi la personale rivincita dopo le – ingiuste, a mio modo di vedere – critiche di qualche anno fa.

Obi Wan Kenobi e il compitino della Disney

Sorvolando sul destino di Reva (per farla breve: Vader le uccide i genitori e lei, per vendicarli, lo serve per anni sterminando chiunque nella speranza di eliminarlo) è la precisione dei dialoghi e la pulizia delle scene a colpire nella cornice dell’ultima puntata. L’ultimo duello tra Vader e Obi Wan coinvolge e commuove anche se incastonato in una fotografia forse troppo scura: emozionante l’I’m sorry di Ewan McGregor (che salva, almeno in parte, una recitazione poco sentita) e pure la risposta di Anakin, ormai divorato dal dolore. L‘Hello there a Luke, l’ultimo abbraccio a Leia e l’apparizione tanto voluta di Qui-Gon su Tatooine non vanno solo ad accontentare i fan ma ne placano pure le comprensibili ire, come in una finale di calcio giocata davvero male ma vinta in zona Cesarini.

Disney: e ora?

L’universo narrativo di Star Wars non gode dei successi ottenuti di recente dalla Marvel e anzi, si fonda su una serie di richiami e ammiccamenti a un passato glorioso che impediscono il proliferare di nuove, valide idee. È la maledizione degli Skywalker, la stessa che porta la Disney a produrre un’ultima, terza trilogia zeppa di contraddizioni sotto ogni livello: nella regia, nella scrittura e nello stile. Un grande mappazzone di occhiolini e scorciatoie che finora, The Mandalorian a parte, non è in grado di attirare fan esterni alla saga. Ce n’è bisogno? Forse, vista la portata del pubblico a disposizione, no. Ma ogni grande storia che si rispetti, perfino la più apprezzata di sempre, necessita di nuovi cicli e di rivoluzioni sensate che partano da professionisti illuminati e amanti del rischio. Un trono che ad oggi, con tutto il rispetto, nelle sale di scrittura americane sembra a dir poco vacante.

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