Non possumus: l’infallibilità del potere

Se il pontificato di Francesco sembra andare con passo lento nella direzione di un alleggerimento dogmatico, verso l’apertura alla diversità e al dialogo interreligioso, il vento politico che soffia in gran parte del mondo occidentale è invece quello del cattolicesimo reazionario, del tramonto della laicità dello stato liberale e del ritorno al dogmatismo conservatore. Questa congiuntura storica è ciò che rende Rapito, trentunesimo lungometraggio di Marco Bellocchio, scritto a quattro mani con Susanna Nicchiarelli e presentato in concorso al Festival di Cannes (ancora in svolgimento al momento della pubblicazione di quest’articolo, ndr) un film davvero “politico”, nel senso più profondo e autentico del termine. Un’opera che recupera una delle vicende più spaventose della storia dello Stato Pontificio per imbastire un discorso lucido e feroce sul potere e sui suoi meccanismi di conservazione. Che cosa, infatti, è più efficace di un sistema egemonico che fonda i suoi presupposti sull’inoculazione sistematica del senso di colpa? Facciamo un po’ di ordine sulla vicenda, ai più non così nota.  Il villain della storia è Pio IX, nato Giovanni Maria Mastai-Ferretti, 255º Papa della Chiesa cattolica, in carica dal 1846 fino alla sua morte nel 1878. Durante il suo lungo pontificato (il più lungo di sempre, tolto San Pietro), Pio IX ha svolto un ruolo significativo nella storia della Chiesa e dell’Italia, risorgimentale prima e neonata poi, impegnato nella difesa dei principi cattolici tradizionali e sostenitore dell’infallibilità papale, dogma proclamato durante il Concilio Vaticano I nel 1870 che stabilisce che il Papa è immune dall’errore quando parla “ex cathedra” su questioni di fede e morale.

Non possumus: l’infallibilità del potere – La storia

Durante il suo pontificato Pio IX ha dapprima sostenuto l’unificazione italiana, ma si è poi opposto all’annessione dello Stato Pontificio, di cui è stato l’ultimo sovrano temporale. Ciò ha portato a una serie di conflitti tra il Papa e i leader politici italiani, culminando nella presa di Roma nel 1870 e nella fine dello Stato Pontificio. Il suo pontificato è ben rappresentato da una frase latina, connessa alla vicenda raccontata da Rapito, al punto che inizialmente avrebbe dovuto esserne il titolo: “Non possumus”. Questa espressione è stata pronunciata da Papa Pio IX proprio in relazione al caso di Edgardo Mortara, il bambino ebreo rapito dalla polizia dello Stato pontificio nel 1858 perché segretamente battezzato da una domestica cattolica senza il consenso dei suoi genitori e senza che loro ne fossero a conoscenza, per salvarlo da una malattia che avrebbe potuto ucciderlo. Quando la notizia del suo battesimo raggiunse le autorità ecclesiastiche, Pio IX prelevò con la forza il bambino alla sua famiglia e lo tenne sotto la sua protezione a Roma, rendendolo, di fatto, un vessillo del suo assolutismo ideologico. Il “non possumus” di Pio IX fu la sua risposta al fervente appello di numerosi governi ebraici e di sostenitori dei diritti umani che chiedevano il ritorno di Edgardo alla sua famiglia. Con questa frase, il Papa dichiarò che non poteva cedere alle richieste, semplicemente perché riteneva che il battesimo avesse fatto di Edgardo un cristiano e quindi dovesse essere educato come tale. Non si può, “non possiamo” fare diversamente, insomma, per il dovere morale di preservare il giovane dalla caduta nel Limbo. Il caso Mortara ha lasciato un’impronta significativa nella storia delle relazioni tra la Chiesa e la comunità ebraica, e la frase “non possumus” continua ad essere associata a questo controverso episodio. Non solo: la vicenda fu vista come un esempio di intromissione della Chiesa nello stato civile e nella sfera familiare, suscitando dibattiti sulle questioni di tolleranza religiosa, diritti dei genitori e la separazione tra Chiesa e Stato.

Non possumus: l’infallibilità del potere

Non possumus: l’infallibilità del potere – Una sceneggiatura potente

Bellocchio e Nicchiarelli si sono ispirati per la sceneggiatura al libro di Daniele Scalise, “Il caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal papa” (Milano, Mondadori 1996), che ricostruisce in modo puntuale la vicenda proprio negli anni in cui Giovanni Paolo II avviava il controverso processo di beatificazione di Pio IX (avvenuta nel 2000), e se ne servono con grande lucidità per costruire un testo potente, che si muove tra le stanze dello Stato Pontificio nel momento cruciale della sua millenaria storia: mentre, con l’imminente Breccia di Porta Pia, il potere temporale del papato si sta per ridurre drasticamente, ecco che vengono messe in atto una serie di strategie per rafforzare in modo anche brutale il sistema di potere più importante e condizionante, quello ideologico, che passa anche e soprattutto dalle istituzioni che ne costituiscono la pervasiva ramificazione: la famiglia, lo Stato, la Chiesa. In Rapito, l’espressione “non possumus” diventa un simbolo, il significante che rimanda in modo violento a un significato che ha una posta più grande e universale del solo caso Mortara e dell’inflessibilità religiosa: è la condensazione di ogni forma di potere assoluto, che legittima e giustifica se stesso attraverso l’assurda inscalfibilità di precetti ribaditi con tale forza da essere interiorizzati e apparire eterodiretti, provenienti da un’entità superiore e tali da annientare moralmente ogni forma di dissenso ideologico. Un potere che, come tutti i sistemi assoluti, fa leva sul condizionamento psicologico, sul senso di colpa, su quella dimensione di inadeguatezza che mortifica il dissenso e spinge a una dipendenza illimitata. Se il Cattolicesimo è (anche) questo, in fin dei conti lo è ogni struttura ideologica, anche laica, che si fa Chiesa e si fa dogma.

Non possumus: l’infallibilità del potere – Che genere è?

Rapito è un film plumbeo, un melodramma che sconfina nella percezione di chi lo guarda nel thriller e addirittura nell’horror (in costume). Lo è in prima battuta nelle immagini, che sono scure e cupe, talvolta permeate di una pesantezza insostenibile; anche quando sono diurne sembrano illuminate da una luce sinistra e dissonante. Il dinamismo della macchina da presa di Bellocchio ha questa volta qualcosa di schiacciante e soffocante. Lo è anche per la potenza di alcune scene, al solito nel cinema di Bellocchio spiazzanti laddove spingono sull’onirico e sul paradosso. In una delle più potenti e grottesche del film, assistiamo a un sogno di Edgardo. Il giovane si arrampica su un enorme statua di Cristo per togliere dalle mani del suo “nuovo Dio” i chiodi con cui gli ebrei – quindi la sua famiglia di origine – l’hanno ucciso. In una sola scena provocatoria, percepiamo il dramma del “lavaggio del cervello” cui è sottoposto Mortara, che tenta nel profondo del suo inconscio di emendare la colpa, sua e della sua gente, e di realizzare in qualche modo un’impossibile ricomposizione. Spesso il film gioca con rimandi e simmetrie narrative. Un’altra scena potente è il momento in cui il Papa nasconde scherzosamente Edgardo nel suo mantello mentre gioca a nascondino, costituendo uno straordinario parallelo con quando, poco prima, si era nascosto allo stesso modo per la prima volta nelle gonne di sua madre. C’è sempre un telo, insomma, che vela l’identità di Edgardo, che lo copre e gli nasconde il mondo. Un velo che protegge, certo, ma che in qualche modo, come dice il titolo, rapisce e sottrae il soggetto alla pienezza della propria identità.

Non possumus: l’infallibilità del potere – Un regista ancora giovane

La scena del rapimento, all’inizio del film, è una delle più brutali e asciutte girate da Bellocchio, così come il raggelante epilogo, che non sveliamo, e che chiude in modo drasticamente circolare il lungo e traumatizzante viaggio di Edgardo dalle mani della sua famiglia a quelle di Pio IX, interpretato da un perfido Paolo Pierobon, in un cast complessivamente eccellente: Enea Sala e Leonardo Maltese interpretano Edgardo bambino e poi adulto, e Fausto Russi Alesi e Barbara Ronchi interpretano i genitori addolorati e disperati del ragazzo. Fabrizio Gifuni è il gelido inquisitore bolognese Padre Feletti. Bellocchio ha dichiarato di non avere avuto intenzione di fare un film politico. Inevitabile, però, che un’opera come questa, potente e barocca nella forma e decisamente provocatoria e brutale nel suo contenuto, non possa che essere molto politica, nel senso anche e soprattutto di un pretesto comune per un dibattito allargato sui meccanismi che il potere usa per condizionare coscienze e immaginario e conservare se stesso. Specie in un momento storico in cui il recupero di un oscurantismo che sembrava tramontato, volto a ledere diritti civili faticosamente guadagnati, rischia di essere un veicolo che ci riporta pericolosamente indietro nel tempo. Intanto, a 83 anni, Bellocchio continua a girare con più energia di buona parte dei suoi colleghi più giovani.

(foto copertina LaPresse)

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