Dietro agli attacchi israeliani non c’è solo una furia omicida ma uno schema ben preciso, pensato per fare di Israele l’unico attore a contare nella regione
Israele è impegnato in un piano di rimodellamento dell’intero Medio Oriente e per fare questo ha aperto sette fronti. Come per il trauma dell’11 settembre, che vide gli USA impegnati in Medio Oriente, il 7 ottobre ha segnato un punto di svolta per lo Stato ebraico. Una caccia alle streghe per sventrare Hamas e una guerra totale con i Paesi dell’Asse della Resistenza, ovvero quella coalizione formata da Hezbollah, Iran, Hamas e la jihad islamica palestinese, gli Houthi in Yemen e i gruppi minori sciiti in Iraq e Siria. L’asse del “male” (espressione di Netanyahu) che potrebbe mettere a rischio lo status quo di forza indiscussa israeliana.
I sette fronti riguardano Gaza e la Cisgiordania, ormai martoriate da settant’anni di occupazione e pulizia etnica. Il Libano è entrato da poco nella spirale di micidiale violenza israeliana, intenta a smantellare Hezbollah e a tentare di restaurare la leadership politica libanese a suo piacimento. La Siria, fino a ora, è stata colpita con attacchi mirati a infrastrutture belliche e adesso teme infiltrazioni nel regime. Gli attacchi ai gruppi minori sciiti in Iraq e agli Houthi in Yemen. E infine c’è l’Iran, che vede tutti i suoi proxy cadere come mosche e che sente sempre di più la minaccia della guerra dentro i suoi confini.
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