(Adnkronos) –
L'Egitto prova a mediare, Hamas dice no al dialogo e rifiuta ogni ipotesi di passo indietro. Israele, con le parole del premier Benjamin Netanyahu, ribadisce la linea dura per arrivare alla pace, oggi ancora lontana dalla Striscia di Gaza. Le operazioni militari delle forze armate israeliane (Idf) proseguono, con almeno 70 morti nel raid sul campo profughi di Al-Maghazi e oltre 130 morti complessivi nell'enclave nelle ultime 24 ore. L'Iran minaccia Israele dopo l'uccisione di una figura di spicco dei pasdaran in un raid in Siria. Hezbollah si unisce al coro affermando che "i limiti sono stati superati". In un quadro costantemente ad altissima tensione, il dialogo non sembra poter decollare. L'Egitto prova a ricoprire il ruolo di mediatore e elabora un piano in 3 step per provare a disinnescare la crisi. Il Cairo parte dalla sospensione dei combattimenti per almeno due settimane in cambio del rilascio di 40 ostaggi – donne, minori e uomini anziani, soprattutto malati – ancora prigionieri a Gaza. In cambio, Israele rilascerebbe 120 detenuti di sicurezza palestinesi. La seconda fase vedrebbe un "dialogo nazionale palestinese" sponsorizzato dall'Egitto volto a porre fine alla divisione tra le fazioni palestinesi – principalmente l'Autorità Palestinese dominata dal partito Fatah e Hamas – e portare alla formazione di un governo 'tecnico' in Cisgiordania e a Gaza in vista di elezioni parlamentari e presidenziali palestinesi. La terza fase includerebbe un cessate il fuoco globale, il rilascio dei restanti ostaggi israeliani, compresi i soldati, in cambio di un numero da determinare di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane affiliati ad Hamas e alla Jihad islamica – compresi quelli arrestati dopo il 7 ottobre e alcuni condannati per gravi reati terroristici. Il piano egiziano sarebbe stato bocciato da Hamas. Il no è implicito se si legge il primo messaggio pubblico che Yahya Sinwar, leader dell'organizzazione, diffonde dopo gli attacchi del 7 ottobre scorso: nessuna resa. Hamas sta affrontando una "battaglia feroce, violenta e senza precedenti" contro Israele, non si arrenderà e non si sottometterà alle "condizioni dell’occupazione". Al di là della posizione espressa in maniera perentoria, Sinwar condisce il discorso con dati che non sembrano avere fondamento. Le Brigate al-Qassam, dice, avrebbero attaccato almeno 5.000 soldati israeliani, uccidendone un terzo. Tali numeri non trovano nessun riscontro, nemmeno lontano, nei bollettini ufficiali diffusi dalle Idf: Israele ha reso noti i nomi di 156 caduti dall'inizio delle operazioni. Il leader di Hamas a Gaza sostiene invece che le Brigate al-Qassam abbiano "schiacciato" le truppe israeliane e le stiano decimando. Nessuna apertura da Hamas e, a stretto giro, nessun cambiamento di linea di Netanyahu. Il premier illustra al Wall Street Journal le "precondizioni" per la pace nella Striscia. Difficile però prendere in considerazione il discorso se non si parte da una vittoria militare schiacciante. Netanyahu indica i step per la soluzione della crisi: "Distruggere Hamas, demilitarizzare Gaza, deradicalizzare l'intera società palestinese". Il premier sottolinea che, come livello iniziale, le capacità militari" di Hamas "devono essere smantellate e il suo ruolo politico a Gaza deve esaurirsi". In secondo luogo, Israele deve assicurarsi che Gaza "non venga più usata come una base per sferrare attacchi". Il controllo del territorio deve impedire l'ingresso di armi a Gaza e parallelamente bisogna ricostruire una società che, secondo Netanyahu, non può essere guidata dall'Autorità Palestinese. Netanyahu indica come modello da seguire la "deradicalizzazione riuscita" della società "in Germania e in Giappone dopo la vittoria degli Alleati nella seconda guerra mondiale" e afferma che "oggi entrambe le nazioni sono grandi alleate degli Stati Uniti e promuovono la pace, la stabilità e la prosperità in Europa e in Asia". Solo così, afferma, "Gaza potrà essere ricostruita" in un contesto di pace. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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