Nel Donbass c’è una guerra infinita

A Kramatorsk, in un chioschetto per hot dog che lavora dalla mattina fino al coprifuoco, tantissimi sono i clienti che pazientemente aspettano il loro turno. Sono quasi tutti soldati, gli altri civili spesso sono reporter stranieri tornati da una qualsiasi giornata lavorativa. Questa scena è ormai la vita quotidiana nella regione del Donbass nell’est Ucraina, e non bisognerebbe sorprendersi. Nel 2014 l’Ucraina ha attraversato il suo anno più difficile dall’indipendenza dall’Unione Sovietica, fino al tragico 24 febbraio 2022. Quell’anno, oltre a Maidan e il referendum non riconosciuto in Crimea, un altro fenomeno si dimostrerà una ferita aperta: l’indipendenza delle repubbliche separatiste in Donbass. Il territorio orientale ucraino era da sempre un importante motore economico per l’Ucraina, basta volgere lo sguardo verso le attività economiche di Akhmetov, il potente oligarca padrone della squadra di calcio dello Shakhtar ed ex reuccio di Donetsk: miniere di carbone e acciaierie. Ai tempi dell’Unione Sovietica il Donbass era considerato affettuosamente: “Il cuore dell’Unione Sovietica” nei manifesti di propaganda, questo perché il carbone usato in tutto il blocco veniva principalmente da lì. Non a caso la figura di Stakhanov si crea tra queste miniere, e l’eroe del lavoro diventa il simbolo e l’orgoglio di una popolazione che ritrova nel mestiere del minatore i propri simboli e le proprie tradizioni. Nonostante l’indipendenza, le nuove generazioni di ucraini che abitavano qui ad oriente parlavano e tutt’ora parlano russo, una questione che non è mai stata ritenuta una minaccia per nessun governo di Kyiv, fino a quando non è salito al potere Poroshenko, che con i moti di indipendentismo sostenuti da Madre Russia per destabilizzare il paese, ha invece iniziato una campagna di ritrovato orgoglio ucraino che ha diviso nettamente l’ovest con l’est.

Nel Donbass c’è una guerra infinita – Un’escalation continua

La storia diventa brutalmente semplice, nelle regioni di Donetsk e Luhansk, quelli che erano movimenti indipendentisti locali, dove al massimo una ventina di persone si ritrovavano in piazza, divennero veri e propri battaglioni ribelli, con i fili che erano però tirati dalla mano di Putin, capace nel 2014 di far capire a Kyiv che non esiste un Ucraina senza il suo benestare. Lo pensava allora come si ostina a pensarlo adesso. Scoppia il conflitto, e da queste parti ancora sono vive le immagini di Sloviansk, prima occupata dai separatisti filorussi, poi ripresa col sangue dal governo ucraino. Come ancora è indelebile la data del 2 maggio 2014, quando nella casa dei sindacati di Odessa morirono bruciate vive 42 persone, molte di loro manifestanti filo russi. Il Donbass era a tutti gli effetti una guerra civile, mai riconosciuta ufficialmente, anzi si parlava di “crisi russo-ucraina”, e se adesso il governo di Mosca per non cadere nelle trappole diplomatiche internazionali faziosamente dichiara questa guerra “un’operazione speciale”, prima il governo di Poroshenko preferì adottare il termine operazione ATO (Anti Terrorism Operation).

Nel Donbass c'è una guerra infinita
Foto di Alfredo Bosco

Il 5 settembre del 2014 viene raggiunto l’accordo tramite il protocollo di Minsk di un cessate il fuoco bilaterale che non verrà praticamente mai rispettato, bisogna solo ricordare la battaglia dell’aeroporto di Donetsk dove il comandante Givi del battaglione “Somali” distruggerà ogni forza ucraina presente in zona e tutte le linee di trincee da Luhansk fino a Mariupol saranno battaglie di logoramento dove moriranno moltissimi uomini sul fronte ma anche civili. Questo violento conflitto sarà quindi acceso fino alla battaglia di Debaltseve nel 2015, dove le forze separatiste sostenute tatticamente dai russi riescono a vincere contro l’allora disorganizzato esercito ucraino. Sarà la fine dell’escalation di violenza, ma anche l’inizio per il governo di Poroshenko per iniziare quella fondamentale riforma militare che permetterà al paese di adesso di resistere e mostrarsi preparato contro le forze russe. Poroshenko però alle nuove elezioni perderà contro Zelensky, spinto dal populismo anti-establishment, e il suo nome tra Sloviasnk fino a Bakhmut non sarà più ben accolto dai soldati ucraini perché secondo loro: “potevamo finire la guerra prima, riprenderci questi territori e non trovarci adesso a difenderci dai russi.”

Nel Donbass c’è una guerra infinita – Un conflitto (anche) mediatico

Passano gli anni e questi territori ritrovano puntualmente spazio editoriale in inverno quando il governo di Mosca decide di mettere pressioni ai paesi europei per la distribuzione del gas. Ma intanto quello che viene ignorato è che questo cuscinetto di terra tra ovest ed est è brace pronta ad ardere di nuovo. Chiunque abbia seguito la questione del Donbass sapeva che Mariupol sarebbe stata fondamentale per le mire di Putin, quel collegamento che unisce la Crimea fino a Rostov è da sempre obiettivo suo e i separatisti nella loro giovanissima vita avevano creato l’idea di “Novorossia”, un territorio che da Odessa abbracciava tutta la costa a sud risalendo proprio fino al Donbass. I reporter sul campo che hanno lavorato negli anni in questi territori non erano sorpresi di dover andare a Mykolaiv, Kherson o Melitopol, solo la politica in occidente aveva ignorato la questione, gravemente, perché c’era un protocollo firmato, un successo della politica estera europea e si è pensato che come sempre in Ucraina tutto andrà per il meglio nell’equilibrio tra le richieste di Mosca e quelle occidentali.

Nel Donbass c'è una guerra infinita
Foto di Alfredo Bosco

Invece, agli inizi del 2023, la città di Bakhmut nel Donbass è probabilmente oggi il posto più pericoloso del mondo e migliaia di cittadini vivono nella paura perché a due chilometri dal centro la guerra travolge le vite di tutti. L’intera Ucraina non è un luogo sicuro, perché se ad est ci sono i fronti che si spostano, si stravolgono e l’artiglieria martella sulla popolazione civile oltre che sui soldati, il resto del paese vive sotto la minaccia di raid missilistici, con continui blackout perché la rete elettrica è stata colpita ovunque e il coprifuoco ricorda a tutti che non è tempo di pace, nonostante le luci calde del periodo natalizio. In questi giorni la Wagner, il corpo di mercenari russi, ha mandato al massacro molti dei suoi uomini prendendo la città di Soledar, e ora punta proprio a Bakhmut che potrebbe cadere se non arrivano quegli aiuti militari richiesti a gran voce dal presidente Zelensky. In otto anni quindi il Donbass è collassato economicamente, le aree industriali di tutte le città vengono colpite, la maggior parte delle fabbriche sono chiuse e quando sono operative si parla di un 20% della produzione.

Nel Donbass c’è una guerra infinita – Si combatte da anni

Qui la guerra quindi non è iniziata l’anno scorso e si può vedere andando nella città di Avdiivka, dove nell’area est era stato persino allestito un piccolo museo di guerra in una vecchia trincea ucraina per parlare di un conflitto passato, ma da mesi i motori dei carri armati sono accesi e i mortai colpiscono i civili che per anni hanno abitato negli scantinati. La maggior parte degli ucraini ha imparato a vivere in queste condizioni e stare senza luce, ma da queste parti invece era ed è la vita di tutti i giorni. Proprio in estate la cittadina di Pesky, un fortino ucraino a ridosso dell’aeroporto di Donetsk, è stata presa dalle forze russe; lì per anni si erano create trincee e postazioni, labirinti di fango e legna che per chilometri si diramavano sul territorio, perché il nemico era proprio a poche centinaia di metri sempre pronto a minacciare un’avanzata. Tra il 2016 fino allo scoppio della guerra molti soldati ucraini che stanziavano qui, vivevano il “deserto dei tartari”. Ora invece i boati dell’artiglieria riecheggiano per centinaia di chilometri e sono migliaia i morti. Questa guerra inganna i migliori esperti militari ospiti in tv, come ingannò in passato i generali tedeschi che pensavano di espandersi facilmente grazie alla forza dei loro panzer, perché questo territorio collinare va combattuto ogni metro, dove si avanza e si scava, si viene bombardati, poi si resiste e si avanza di nuovo se ci sono ancora uomini e mezzi. Al centro di questa catastrofe ogni città è tra le due linee di tiro con gli abitanti che si stringono negli scantinati chiedendo pace. Nel Donbass prima si scavava per estrarre carbone, adesso per ripararsi e proteggersi dai colpi di mortaio.

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Amen

La guerra e la solitudine di Papa Francesco, tra i pochi a chiedere con forza la pace: ce ne parla Alessandro Di Battista con un commento in apertura. All’interno anche il 2024 in Medio Oriente, la crisi climatica, il dramma dei femminicidi in Italia, la cultura e lo sport. Da non perdere, infine, le rubriche Line-up, Ultima fila e Nel mondo dei libri, realizzate da Alessandro De Dilectis, Marta Zelioli e Cesare Paris.

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