A Malbork, nell’estrema parte orientale della Polonia, dal 1 agosto scorso, il naso dei piloti dell’Aeronautica Militare italiana è quasi sempre all’insù. Da quando è iniziata la Task Force Air “White Eagle” presso l’aeroporto Krolewo di Malbork, che rimarrà attiva fino al 1 dicembre prossimo, a seguire le attività riprenderanno in Romania. Centotrenta unità provenienti da 4 gruppi di volo (dal 4°stormo di Grosseto, dal 36° stormo di Gioia del Colle, dal 37° di Trapani e dal 51° di Istrana) e dal personale tecnico e logistico di vari enti dell’Aeronautica Militare italiana per controllare e difendere lo spazio aereo dell’Alleanza Atlantica: 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Per la prima volta è l’Italia a schierare un proprio contingente in una operazione di Air Policing in Polonia. Per la precisione, “enhanced air policing”, spiega il comandante della Task Force, il colonnello Salvatore Florio: “siamo schierati su ordine del Comando Operativo di Vertice Interforze (Covi). Qui facciamo attività di supporto alle forze NATO e in particolare ‘enhanced’, perché la Polonia ha una sua difesa aerea e quindi l’attività italiana va a implementare il lavoro degli alleati polacchi”. Una missione di cui la NATO si è dotata in seguito all’invasione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e che integra quanto già in atto a partire dalla prima metà degli anni Cinquanta e che consiste nell’integrazione dei rispettivi sistemi nazionali dei Paesi membri in un unico sistema di difesa aerea e missilistico dell’Alleanza. Nonostante dallo scoppio del conflitto su larga scala tra Russia e Ucraina si senta parlare più spesso del tema del controllo dello spazio aereo della NATO, l’attività di Air Policing viene effettuata dai tempi di pace e consiste nella sorveglianza e nell’identificazione di tutte le eventuali violazioni allo stesso. La missione, spiega Florio, è puramente difensiva e non basata su una minaccia specifica.
Il ruolo dell’Italia
“Siamo arrivati a Malbork il 18 luglio e il 30 siamo stati in grado di dichiarare la completa capacità operativa – afferma Florio -. Oltre 100 persone con 2 piloti pronti ogni giorno e più di 400 ore di volo già eseguite con una media di efficienza oltre il 97%”. Numeri che secondo il colonnello nell’Aeronautica Militare dal 1995, non sono normali. Non solo grazie ai 4 Eurofighter sempre pronti, ma anche alla tecnologia e al team logistico in azione dal 1 agosto – i caccia di ultima generazione hanno una velocità che raggiunge i 2.500 km all’ora, con un peso dei motori di 17.000 kg e 18.000 di spinta; ognuno ha 4 missili, 2 a medio e 2 a corto raggio. Si decolla in un massimo di 15 minuti e in determinate circostanze anche in meno tempo a scalare. Non è un caso però che insieme alle caratteristiche tecniche degli aerei, la posizione strategica della base militare giochi un ruolo fondamentale: Kaliningrad, l’exclave russa che confina con la Polonia e la Lituania, dista solo 5 minuti di volo non supersonico, mentre per la Bielorussia ne bastano 20 e circa 25 per l’Ucraina – la base è distante 30 miglia da Kaliningrad, 155 miglia dalla Bielorussia e 230 dall’Ucraina. Tra gli obiettivi principali della Task Force Air White Eagle c’è infatti quella di assicurare, nel periodo previsto dalla NATO, il controllo del fianco nord-est dell’Alleanza utilizzando i 4 velivoli in condizione di Quick Reaction Alert, garantendo un rapido intervento in caso di penetrazione di aeromobili non identificati o che possano rappresentare una possibile minaccia. Polonia, Bulgaria, Islanda, Estonia, Lettonia, Lituania e Romania, Florio sottolinea come l’Italia sia ad oggi l’unico Paese NATO ad aver preso parte a tutte le operazioni di Air Policing: “perché nessuno prima di noi garantiva l’h24”, commenta il colonnello fiero del primato.
Gli scramble effettuati
Da quando è iniziata l’attività operativa il 1 agosto i piloti italiani hanno effettuato 19 alfa scramble (decollo immediato) per intercettazione e identificazione visiva di aerei della controparte. Che qui si traducono in velivoli russi: 25 identificati per la precisione, con 24 fotografati in 48 ore di volo. Aerei che si addestrano, a volte senza seguire rotte consuete e senza comunicare con gli organi di traffico aereo, ma intercettati nella cosiddetta Flight Information Region (F.I.R.) polacca, in acque internazionali. Lo scramble, o scrambling, termine militare che definisce l’atto di far decollare un caccia in grado di intercettare e identificare un aereo sconosciuto, fu introdotto durante la seconda guerra mondiale, quando nel corso della Battaglia d’Inghilterra gli aerei da caccia britannici della Royal Air Force rimasero in attesa delle segnalazioni da parte dei radar del sistema Chain Home incaricati di rilevare l’avvicinarsi di aerei tedeschi alla Gran Bretagna. All’epoca, quando i radar individuavano aerei nemici in avvicinamento, ogni aeroporto del sistema di Dowding riceveva una telefonata di allarme e agli equipaggi disponibili veniva dato proprio l’ordine di scramble.
Una prontezza, quella di oggi, che permette alla catena di comando e controllo della NATO di verificare la presenza di una possibile minaccia e di dimostrare, in tempi brevi, capacità di reazione utilizzando in questo caso le risorse messe a disposizione dall’Italia. Ogni giorno, attraverso i suoi due centri operativi aerei combinati, la NATO verifica oltre 30.000 tracce radar e può emettere un ordine di decollo immediato per i velivoli di cui dispongono gli alleati. Tra le richieste della NATO ai piloti, una volta avvicinatosi ai velivoli sconosciuti, quella di scattare delle fotografie, “anche se non è sempre possibile”, commenta Florio. Una delle caratteristiche ben visibili delle ultime, datate 21 settembre, è la stella rossa dipinta sulla coda, segno che quello in cielo era un Sukhoi Su-24, Fencer secondo il nome in codice NATO, un bombardiere tattico supersonico di fabbricazione sovietica. A volte, conclude il colonnello Florio, si fanno avvicinare, altre no ed è per questo che i velivoli vengono seguiti più da lontano. Perché “qui non ci sono margini, qui non possiamo sbagliare”.