Dopo otto anni di assenza dalla regia Patrice Leconte adatta quel Maigret et la jaune morte (1954), ultimo dei tre romanzi “americani” sul commissario scritti da Simenon durante il suo decennale esilio negli Stati Uniti. È il romanzo della nostalgia, la nostalgia dell’autore per quella “città dell’anima” che è Parigi. Una Parigi più metafisica e simbolica che reale, quella per la quale sembra struggersi lo scrittore belga. Maigret e la giovane morta è, dunque, un romanzo della nostalgia e dell’amore per Parigi. Ma non è soltanto questo. È soprattutto un grande poliziesco, ben scritto secondo gli stilemi classici, e in appena una settimana. Inizia tutto una notte di marzo sotto una pioggia sottile, con il ritrovamento del cadavere di una giovane donna, in una notturna e deserta Place Vintimille (oggi Place Adolphe Max). Di lei non si conosce assolutamente nulla e l’indagine di Maigret non sarà altro che un lento procedere per riempire il vuoto di informazioni sull’identità della ragazza e, al contempo, sulla sua personalità.
Identità e personalità. Due risposte diverse alla domanda: chi sei?
Chi si limita all’identità può sbagliare e, in effetti sbaglia. Chi sa andare a fondo dell’indagine, arrivando a definire la personalità della donna, non può sbagliare. E Maigret non sbaglia. Un giallo dei più classici. Un Maigret dei più classici. Allo stesso tempo una riflessione generale sulla condizione dell’essere umano nella società contemporanea. Pensieri forse influenzati dall’esperienza americana di Simenon e, in seguito, elaborati e armonizzati. Forse precedenti agli anni dell’esilio statunitense e addirittura collegati al significato stesso del personaggio Maigret.
La narrazione è costruita, molto sapientemente, intorno ad una serie di opposizioni ed accostamenti abbastanza complessi e che insieme definiscono una visione del mondo più disincantata che pessimista, ma che è quella, evidentemente, alla base del pensiero di Simenon. Nel romanzo c’è il complesso confronto Maigret/Lognon, il famoso comprimario di molte inchieste, che qui non tocchiamo perché il film di Leconte sfuma una parte consistente del romanzo. Ciò che rimane è la caratterizzazione del Maigret investigatore piccolo borghese, quello che non spara, come Sam Spade o che non deduce chissà quali tremende verità dalla cenere di una sigaretta, come Sherlock Holmes: il commissario opera in maniera capace perché è parte di un’organizzazione efficiente ed efficace. La risoluzione dei casi è resa possibile dall’operare all’interno di un’organizzazione complessa e articolata come è quella giudiziaria.
L’inchiesta e il ritrovamento
Quando la ragazza morta viene ritrovata, di lei non si sa nulla, ma all’apparenza sembra una prostituta o l’entraîneuse di qualche locale notturno dei paraggi. Proprio su questo equivoco punta l’assassino. Maigret non si lascia ingannare. Non che capisca al volo la verità, ma non si accontenta di osservazioni scontate a priori. Vuole capire e per capire deve arrivare a conoscere chi era veramente quella ragazza. Subito il rapporto tra lui ed il corpo della ragazza distesa sul selciato valica i confini di un normale rapporto tra la vittima di un delitto e l’investigatore incaricato di risolverlo. È il volto della giovane a colpirlo in modo particolare: fin da quando gli appare distesa sotto la pioggia nel suo abito azzurro da quattro soldi. La giovane ha perduto una scarpa e quel suo piede nudo stabilisce un immediato contatto umano, tra il maturo funzionario di polizia e la morta poco più che adolescente. Un rapporto che non è quello normale tra uomo e donna, ma ricorda, piuttosto, quello tra un padre ed una figlia. Poi c’è l’indifferenza generale che stupisce Maigret. Anche dopo la pubblicazione della notizia dell’omicidio con relativa foto della vittima, nessuna segnalazione giunge al commissariato. Sembra che la vita di quella giovane donna non abbia lasciato alcun segno del suo passaggio. Maigret, sperando che qualcuno riconosca la giovane e si faccia vivo con delle informazioni, vuole offrire un’immagine di lei più realistica ai giornali. Si inventa l’idea di far realizzare un servizio fotografico utilizzando delle modelle dalle sembianze simili alla morta e facendo indossare loro i suoi abiti. Con un fotomontaggio, ricrea fattezze di vita là dove la vita non c’è più, grazie all’abilità di truccatori e fotografi.
Colpiti dall’effetto di quelle fotografie
Il risultato? L’immagine di una ragazza nuovamente viva, ma solo nella finzione di una rappresentazione virtuale. Vestita come la gente era abituata a vederla e come appariva l’ultima sera prima di morire: con il vestito azzurro da entraîneuse. Maigret stesso e con lui i suoi ispettori, rimangono colpiti dall’effetto di quelle fotografie, che sembrano restituire la vita a chi ormai non l’ha più. Può apparire singolare il coinvolgimento emotivo di Maigret, e persino della signora Maigret, nella vicenda. Lui e la moglie sembrano essere gli unici in tutta Parigi ad interessarsi veramente della sorte di quella ragazza, pur senza averla mai conosciuta. Simenon non si preoccupa di spiegare troppo. Lascia a noi il compito di trarre le conclusioni.
Forse il solito rammarico del commissario che vorrebbe aggiustare i destini ed è condannato ad arrivare sempre troppo tardi? Oppure lui e la moglie vedono nella giovane una proiezione della figlia morta in tenera età? O, ancora, è lo stesso Simenon che proietta nel testo, più o meno consapevolmente, le proprie apprensioni di padre recente, di una bimba che quando egli scrive il romanzo ha quasi un anno? Certo la giovanissima età della protagonista ha un significato particolare ed è il titolo stesso dell’opera a sottolinearlo. Così come non è casuale che l’unica testimone a farsi avanti, spontaneamente, sarà una servetta appena giunta in città dalla Normandia. Una ragazza quasi della stessa età della morta o poco meno.
Prosciugamento narrativo
Meglio non proseguire nel racconto della trama. Anche perché Leconte incentra il film essenzialmente sui metodi di indagine di Maigret, mantenendo una parte importante alla ricostruzione della psicologia delle vittime, del loro ambiente e del movente del loro assassino. Ma allo stesso tempo il regista “rischia” cassando dal racconto di Simenon tutto ciò che non poteva essere trascritto al cinema senza confondere (o annoiare) lo spettatore. Cancella personaggi e situazioni, a partire appunto dalla guerra a distanza condotta da Lognon. È un abile lavoro di “prosciugamento narrativo”. Conserva solo l’atmosfera della società francese negli anni ‘50, mirabilmente ricostruita, e gli elementi cardine dei personaggi centrali, la luce oscura che emanano, la loro doppiezza. Sostanzialmente mantiene la figura di Jules Maigret, che Depardieu incarna meravigliosamente mettendo al servizio del racconto il suo volto tormentato e il suo ossessionato arrovellarsi sulla vittima: “Era curioso, del resto. Perché non era all’assassino a cui aveva pensato, ma alla vittima; era solo su questo che si erano concentrate le indagini. Ora che finalmente la conoscevamo un po’ meglio, sarebbe stato possibile chiedersi chi avesse ucciso”.
Nel film c’è il desiderio di presentarci un commissario Maigret diverso da quelli che abbiamo conosciuto. C’è una scena più di altre che simboleggia questa rinascita, quella in cui Maigret affronta la sua collezione di pipe. Ne prova una, poi la ripone perché il suo medico gli ha caldamente consigliato di smettere di fumare per motivi di salute. Quindi è un Maigret senza il suo famoso accessorio, si distingue dagli altri. Gérard Depardieu non cerca di imitare una vecchia interpretazione utilizzando la pipa di un altro interprete; non abbiamo mai visto il commissario così malinconico, logorato dal tempo e dalla vita. Ma ciò non gli impedisce di svolgere la sua indagine con grande determinazione. Patrice Leconte raggiunge un esito superbo. I dialoghi sono ben scritti, come quelli sulla riflessione di Maigret sul proprio mestiere. La cinepresa è sempre in movimento, il che conferisce un certo dinamismo al film. La fotografia attua un complesso lavoro sulla luce e le ombre. Le scenografie e i costumi ci riportano magnificamente agli anni ’50. Infine, la musica irrobustisce con precisione il lato enigmatico del film.
Bentornato commissario Maigret!