L’Iran lotta per “Donne, Vita, Libertà”

L’Iran protesta da ormai più di tre settimane per la morte della 22enne curda Mahsa Amini, avvenuta il 16 settembre in carcere dopo che la giovane era stata arrestata perché non indossava correttamente il velo obbligatorio. Le immagini che arrivano dalle strade della capitale Teheran colpiscono perché non è usuale vedere il popolo iraniano, governato da un regime teocratico autoritario e conservatore, andare contro i dettami dello Stato. I protestanti che da settimane resistono alla repressione hanno fatto sentire la propria voce non solo dentro i confini dello Stato ma in tutto il mondo.

L'Iran lotta per "Donne, Vita, Libertà"

Il caso

La versione dei capi dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario è che la portata delle proteste successiva alla morte di Amini sia ingigantita dai media occidentali e che i manifestanti siano sostenuti da alcuni “nemici dell’Iran” esterni, come Stati Uniti e Israele. Il Governo ha fatto sapere, in un rapporto pubblicato dalla tv statale, che la morte della 22enne non è stata provocata da colpi alla testa e agli organi vitali, ma sarebbe invece dovuta a “un intervento chirurgico per un tumore al cervello subito all’età di 8 anni”. A sostegno di tale posizione ha mandato in onda un video ripreso dalle telecamere di sorveglianza della polizia che mostrerebbe la giovane e altre donne che entrano nell’edificio della polizia della sicurezza morale, in quella che pare essere un’aula; a un tratto la ragazza sembra perdere i sensi e accasciarsi a terra. Versione confutata dalla famiglia della vittima che parla invece di chiari segni di percosse sul cadavere. Lo Stato dunque sembra volersi scagionare da ogni tipo di responsabilità e mentre il popolo scende per strada per reclamare i diritti civili, schiera decine di agenti della polizia con lo scopo di reprimere, anche violentemente, ogni forma di dissenso, a suo dire frutto di un “complotto internazionale”.

L'Iran lotta per "Donne, Vita, Libertà"

«Gli americani cercano di ingannare i giovani iraniani per indurli a inscenare proteste di piazza, questa è la loro ultima politica contro l’Iran», ha affermato il comandante delle Guardie Rivoluzionarie Hossein Salami, sottolineando: «Avvertiamo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l’Arabia Saudita e i media anti-iraniani: vi spezzeremo. Non avete posto in Iran». Il presidente statunitense Joe Biden in risposta ha specificato che «gli Usa sono al fianco delle donne e di tutti i cittadini iraniani che stanno ispirando il mondo con il loro coraggio». Preoccupato per la violenta repressione, Biden ha annunciato nuove sanzioni contro Teheran e verso tutti coloro che cercano di reprimere la società civile. Ancora molte ombre sulla vicenda. Per far luce su quanto realmente accaduto ad Amini, l’Ong Amnesty International sta sollecitando un’iniziativa della comunità internazionale, attraverso l’istituzione di un meccanismo indipendente d’indagine, sotto l’egida delle Nazioni Unite.

La voce del dissenso, dall’Iran all’Occidente

I primi giorni dopo la notizia della morte della ragazza si sono iniziati a vedere i primi segnali di protesta ma difficilmente si sarebbe immaginato che i disordini raggiungessero tale entità dando vita a una vera e propria sfida al regime degli ayatollah che trovasse anche il sostegno dell’Occidente. Gran parte dei partecipanti sono studenti di diversi atenei del Paese, non solo nella capitale Teheran, ma anche in molte altre città, tanto che il Governo ha deciso che, nelle maggiori università, le lezioni si sarebbero tenute online, proprio per limitare la possibilità che i giovani si radunassero. Alla quarta settimana la repressione ancora non indietreggia ma i dimostranti non si arrendono. Il Governo schiera la polizia morale e la Basij, la forza paramilitare dei Pasdaran, che spara sui manifestanti. Da metà settembre sono quasi 1.500 gli arresti.Secondo l’organizzazione americana indipendente Committee to Protect Journalists (Cpj) e Reporter senza Frontiere sono stati fermati anche 35 giornalisti.  Dall’inizio delle proteste, riporta la Ong Iran Human Rights, sarebbero morte almeno 185 persone, tra cui 19 bambini e adolescenti.

Lo stato tuttavia, nel dare sui media ufficiali la notizia della morte di alcuni membri delle Guardie Rivoluzionarie a Zahedan parla di “incidente terroristico”. Tra gli arresti ci sarebbe anche Alessia Piperno, 30enne romana, fermata nella Capitale. Il padre esclude che la figlia stesse partecipando alle manifestazioni e la Farnesina si sta muovendo per riportala in Italia. Sull’intera vicenda diverse fonti sottolineano la necessità di mantenere il silenzio, per evitare di compromettere i tentativi di liberazione della donna che si trovava in Iran da settimane con un gruppo di amici stranieri. In uno degli ultimi post scritti su Instagram, Alessia raccontava delle manifestazioni di piazza e delle tante persone che arrivavano nell’ostello dove alloggiava in cerca di aiuto. Di qui le ipotesi che l’arresto sia avvenuto per il coinvolgimento della donna nelle manifestazioni, come sostengono i media locali. Le ombre e le difficoltà nella ricostruzione dei fatti sono dovute anche alla scarsità di immagini e notizie dal Paese, dal momento che le autorità hanno limitato l’uso di Internet, bloccando l’accesso a Whatsapp e altre piattaforme. Alcune testimonianze trapelano unicamente dai canali Telegram e da altri social. Nonostante queste restrizioni i manifestanti continuano a diffondere la propria causa attraverso striscioni posizionati ovunque per le strade. Nella Capitale appaiono i cartelli: “Le donne, la vita, la libertà”, “Mahsa Amini – No alla Repubblica della dittatura islamica”, mentre un artista anonimo ha colorato di rosso sangue le fontane del parco Danjesho, un’opera che prende il nome di “Teheran affonda nel sangue”, in onore della 22enne defunta. L’ondata di proteste ha avuto un’eco internazionale e si è propagata velocemente in oltre 150 città di tutto il mondo. Cortei e sit-in sono stati organizzati da Roma a Tokyo per chiedere “giustizia per Mahsa” e condannare la repressione delle autorità contro i dimostranti.

Decine di attrici italiane e straniere si sono tagliate una ciocca di capelli per sostenere le donne iraniane. Anche l’europarlamentare svedese Abir Al Sahlani ha compiuto lo stesso gesto divenuto simbolo della rivoluzione, portando così il caso al centro del dibattito del Parlamento Europeo. Negli ultimi giorni i disordini si sono poi allargati al cuore economico del Paese: centinaia di operai del settore petrolchimico di Assaluyeh – uno degli impianti di lavorazione principali della provincia petrolifera di Bushehr – hanno interrotto per ore la produzione bloccando l’accesso agli stabilimenti. Lo stesso hanno fatto i lavoratori nelle raffinerie di Abadan, nell’Ovest, e di Kengan nel Sud. Gli analisti danno molta importanza a queste ultime evoluzioni e vedono nel coinvolgimento della classe operaia un potenziale punto di svolta, un potenziale attacco all’economia del Paese, già in crisi. Non da meno il forte valore simbolico: nel 1978 fu proprio la mobilitazione degli operai, studenti e bazar a condurre alla cacciata dello Scià

Etnie, principi e diritti

Quello che va avanti da venti giorni non è solo un conflitto tra il regime e i “sudditi”. Le forze militari da settimane, sfruttano le proteste per attaccare i propri nemici in territorio curdo, strumentalizzando così – secondo gli analisti –  l’uccisione di Amini, diventata un pretesto, un alibi che usano per attaccare quelle aree. Tra i curdi iraniani, che hanno fatto propria la causa di Mahsa, e Teheran si sono inevitabilmente inaspriti i rapporti, tanto che la Capitale avrebbe risposto attaccando anche i curdi in Iraq, accusandoli di aver inviato armi e supporto al Paese di origine.

L'Iran lotta per "Donne, Vita, Libertà"

Secondo alcuni esperti del Medio Oriente la questione etnica dei curdi iraniani è incidentale, dal momento che Amini non sarebbe stata uccisa perché curda ma in quanto donna, per aver indossato male il velo, obbligatorio per i precetti dell’Islam. Il fatto di cronaca ha riacceso dunque la storica questione etnica della minoranza curda iraniana (circa 8,1 milioni di persone su un totale di 83 milioni) che rientra nel contesto più ampio delle condizioni del popolo curdo nell’intera regione, ovvero in Turchia, Siria e Iraq. Ma ancor di più ha risollevato l’annosa questione della giustizia e dei diritti civili in Iran. Una causa per cui il popolo sta gridando unito, con rabbia, coraggio e tenacia.

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