In Polonia le miniere chiudono, ma questa continua a essere la fonte energetica primaria. Tra scelte politiche scellerate e minatori non tutelati, la Silesia sta ancora pagando
articolo di Simone Fant e foto di Alfredo Bosco, con il supporto di Journalism Fund
Mani forti, carisma magnetico e lo sguardo fiero di chi, per quarant’anni, ha lavorato nella stessa miniera. In Polonia, Andrzej Chwiluk è soprannominato il green coal miner, ovvero il sindacalista ambientalista. Dalle parti di Katowice, grigia città industriale situata nel bacino carbonifero dell’alta Silesia, non è necessariamente un complimento.
Qui il carbone è religione. Sin dalla Rivoluzione industriale, il settore minerario ha garantito un lavoro a centinaia di migliaia di persone, sfamando intere generazioni. A un certo punto però, il combustibile fossile che ha contribuito maggiormente allo sviluppo industriale occidentale è diventato la fonte energetica più inquinante, da abbandonare il più velocemente possibile. Almeno in Europa.
La transizione energetica in Polonia
Non è quindi sorprendente che in Silesia la transizione energetica, dettata dall’agenda climatica europea, sia percepita come ostile e piena d’incertezze. Ma Chwiluk, ex presidente del gruppo sindacale ZZG Makoszówy, è uno dei pochi minatori a battersi per creare un dialogo costruttivo tra Bruxelles e l’industria mineraria polacca.
«Per 12 anni ho diretto il Consiglio nazionale del sindacato dei minatori e ho sempre cercato di organizzare incontri tra ambientalisti, istituzioni e i minatori per trovare un compromesso su questa complessa transizione – spiega al Millimetro Andrzej Chwiluk –. Sono favorevole ad abbandonare il carbone il prima possibile, ma a due condizioni: deve essere garantita la sicurezza energetica del Paese e ai minatori vanno offerte opzioni di reinserimento nel mercato del lavoro. Per evitare che finiscano per strada, come accaduto finora».
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