L’UE non è pronta al cambio di paradigma imposto dal nostro tempo. È nata per pensare alla pace, non per fare la guerra
A due anni dallo scoppio di un conflitto che, alle nostre latitudini, ha costretto al ribaltamento forzato della prospettiva d’interpretazione degli affari del mondo, l’Europa appare ancora un corpo etereo, sprovveduto di autocoscienza e autonomia strategica. Al di là dei buoni propositi sull’unità dell’Unione Europea di fronte agli sconvolgimenti internazionali e della retorica sul futuro ineluttabile e paradisiaco che ci aspetta non appena metteremo piede negli Stati Uniti d’Europa, le visioni, le percezioni, le narrazioni, i sentimenti e i desideri dei popoli europei restano ancora ben diversi, contraddittori, spesso confliggenti.
Al contrario, gli interessi nazionali restano solidi e si irrobustiscono quando alle viste sorgono minacce securitarie che attentano alla propria sopravvivenza o al proprio modo di vivere. Poco importa se restano striscianti per anni sotto l’egida delle istituzioni di Bruxelles o coperte dalla bandiera blu a 12 stelle. Prima o poi riemergono dirompenti.
L’Europa divisa
La guerra russo-ucraina in corso al confine orientale della NATO e dell’UE, sempre più insostenibile dal punto di vista militare e finanziario per le cancellerie del Vecchio Continente, ha palesato sensibilità opposte fra la cosiddetta Vecchia e Nuova Europa, ovvero i Paesi fondatori dell’Europa occidentale come Francia e Germania e quelli dell’Europa nord-orientale come i Baltici, Polonia e Regno Unito, che per ragioni storiche e geografiche percepiscono la Federazione Russa in maniera più o meno minacciosa.
Di più, sono emerse come protagoniste soprattutto nazioni come Polonia e Ungheria che conoscono bene il proprio interesse nazionale e dunque le relative priorità, e che sanno come difenderlo nelle trattative con gli altri partner o controparti. Facciamo qualche esempio.
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