L’estate incandescente e le ferite del pianeta

Ormai è da anni che la stagione estiva ci abitua a record preoccupanti. Purtroppo, anche quest’anno è andata così. Non è stata l’estate più calda di sempre ma non siamo andati così lontani da questo triste primato. In base ai dati relativi al primo semestre della banca dati NOAA, il National Climatic Data Centre che dal 1850 registra le temperature globali, quest’anno si classifica al terzo posto tra i più caldi mai registrati sul nostro pianeta. Temperature molto alte, appunto, sin dai primi mesi dell’anno, una media di un grado in più rispetto alla media del ventesimo secolo. Queste cifre sono l’evidente prova di una tendenza che si sta confermando da decenni, quella del surriscaldamento terrestre, che provoca una serie di conseguenze estreme che stanno lentamente devastando interi habitat e centri urbani. La grande società di riassicurazione Swiss Re ha pubblicato un report dal quale emerge che i danni dovuti ai fenomeni climatici estremi nei primi sei mesi dell’anno (terremoto in Siria e Turchia, tempeste negli USA, alluvione in Emilia-Romagna, inondazioni in Pakistan…) corrispondono a 194 miliardi di dollari, un aumento del 46% rispetto alla media dell’ultimo decennio.  

L’estate incandescente e le ferite del pianeta – I fenomeni estremi dell’estate 2023 

Come ogni estate, nel nostro Paese centinaia di migliaia di ettari di vegetazione sono andati in fiamme. Questi fenomeni, va specificato, non sono causati direttamente dal caldo afoso. Nella maggior parte dei casi l’origine risale alla mano dell’uomo che innesca roghi che, a loro volta, si estendono a velocità estreme a causa della particolare aridità dei terreni e della forza dei venti. Secondo il report dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione dell’Ambiente) relativo al periodo che va dal 1° gennaio al 6 agosto 2023 su ecosistemi e incendi forestali in Italia, le fiamme hanno coinvolto circa 59mila ettari, di cui quasi 9500 corrispondenti a ecosistemi forestali, soprattutto nell’area della macchia mediterranea e boschi di leccio. Il 93% delle aree bruciate è in Sicilia (75%) e in Calabria (18%). La provincia di Palermo risulta la più colpita (oltre 15.500 ettari, di cui il 20% foreste), a seguire la provincia di Reggio Calabria (8500 ettari, il 18% di foreste), la provincia di Messina (5200 ettari, il 19% di foreste) e la provincia di Siracusa (4200 ettari, il 24% foreste). Quella degli incendi boschivi è un’emergenza che coinvolge ogni continente. Rimanendo all’interno dei confini europei i casi più estremi degli ultimi mesi sono stati in alcune isole della Grecia, come Corfù e Rodi, con centinaia di migliaia di turisti costretti ad abbandonare località turistiche gremite. Secondo il Sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi, l’EFFIS, nei primi sei mesi del 2023 sono andati in fumo circa 120mila ettari di foreste in tutto il continente europeo. Roghi che hanno devastato anche il Canada (solo il 17 agosto erano più di 600 i roghi attivi) e gli Stati Uniti, in particolare la California, il Nevada ma soprattutto le Hawaii, dove si è registrato il peggior bilancio degli ultimi cento anni. Oltre 500 persone sono disperse ancora oggi, mentre 115 hanno perso la vita nei devastanti incendi che l’8 agosto hanno coinvolto Maui e in particolare la comunità di Lahaina. Per settimane gli esperti si sono interrogati sulle ragioni per cui l’incendio fosse stato così disastroso, considerando che era da decenni che non si vedeva un rogo distruggere un’intera comunità urbana, come è accaduto in questo caso. L’evento è stato particolarmente distruttivo per una serie di fattori concomitanti: dalle lunghe ondate di siccità ai venti particolarmente forti in grado di propagare le fiamme da struttura a struttura. Il National Weather Service degli Stati Uniti ha dichiarato che le raffiche di vento, in quei giorni, hanno superato i 100 chilometri orari. Una condizione resa ancora più grave dalla presenza di Dora, un uragano di categoria 4 che soffiava diverse centinaia di chilometri a sud nelle acque dell’oceano Pacifico, creando delle correnti d’aria particolarmente secche e calde. Inoltre, la vegetazione molto arida e i tassi di umidità molto bassi hanno fatto sì che tutte le aree verdi diventassero un potentissimo propagatore di fuoco. In particolare, gli esperti hanno rilevato la presenza di un tipo vegetazione particolarmente invasiva e suscettibile agli incendi che è cresciuta a dismisura negli ultimi anni, trasformandosi nel periodo estivo in un vero e proprio combustibile. La regione colpita, nel sud del Paese, stava vivendo già da mesi una siccità che, secondo il Drought monitor degli Stati Uniti, va da “grave” a “moderata”. Altro problema è l’abbandono dei terreni agricoli che, se non più trattati e curati, diventano delle piane particolarmente secche dove proliferano arbusti e altri tipi di vegetazione particolarmente suscettibili al fuoco. A livello locale, per settimane si è tentato di trovare le ragioni di tale catastrofe.

L'estate incandescente e le ferite del pianeta

La contea di Maui ha infatti dato il via a un’azione legale nei confronti della Hawaiian Electric (il più grande fornitore di elettricità del Paese), accusandola di non aver mantenuto i suoi sistemi in modo adeguato durante le diverse tempeste di vento che si sono abbattute sull’isola e ciò avrebbe generato scintille che avrebbero innescato i roghi. Le polemiche sono state molto accese nei giorni seguenti, mentre proseguivano senza sosta le ricerche dei dispersi, e da quel che raccontano i superstiti non era stato lanciato alcun allarme. Le indagini sono tuttora in corso mentre centinaia di persone non sono state ancora trovate. Da una parte il fuoco, dall’altra i temporali e le alluvioni che portano via ogni cosa. A fine agosto, in varie città della Cina, nel sud-est del Paese, le piogge torrenziali hanno sommerso interi centri abitati creando paesaggi molto simili a quelli che abbiamo visto in Emilia-Romagna lo scorso maggio. Secondo la Japanese Meteorological Agency (JMA), quest’anno il Giappone ha subito una prolungata e anomala ondata di caldo, con molti record locali infranti; la JMA ha emesso allerta per piogge torrenziali e inondazioni legate ai tifoni diverse volte nel corso dell’estate. Negli ultimi giorni di agosto, la Florida è stata colpita dall’uragano Idalia che, con una potenza di oltre 200 km orari ha devastato la costa lasciando quasi mezzo milione di persone senza energia elettrica e provocando due vittime. “Nessuno osi più negare la crisi climatica”, ha commentato il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. È stata l’estate dei record anche in mare: secondo lo studio realizzato da Copernicus (Global Monitoring for Environment and Security) la media giornaliera della temperatura registrata sulla superficie degli oceani ha raggiunto i 20,96 gradi, superando il record del 2016. Dallo studio emergono anche le conseguenze dell’innalzamento dei valori: si creano condizioni particolarmente complesse per la vita di pesci e mammiferi, come le balene, costretti a muoversi per trovare acque più fredde, con effetti rilevanti anche sulla catena alimentare. L’acqua così calda ha una capacità ridotta di assorbire anidride carbonica e di conseguenza il gas rimane intrappolato in quantità più elevate nell’atmosfera. Il riscaldamento acqueo, inoltre, può contribuire a un’accelerazione dello scioglimento dei ghiacci, da cui deriva, tra le altre cose, l’innalzamento del livello del mare. Temperature elevate che hanno avuto un impatto anche sulle catene montuose, tanto che su molti ghiacciai italiani si sono registrate temperature ben al di sopra della media stagionale. Il 20 agosto sulla Marmolada il termometro è arrivato a +13,3 °C, pertanto le autorità hanno pensato di porre dei teli per coprire la neve ed evitarne lo scioglimento. In Antartide a fine agosto si sono sciolte grosse quantità di ghiaccio e circa 10mila pulcini di pinguino imperatore sono morti per lo scioglimento di una calotta su cui si erano posizionati.  

L’estate incandescente e le ferite del pianeta – Le buone notizie dell’estate 2023 

In un’estate di record negativi arrivano anche alcune notizie positive. L’Unione Europea ha votato la Nature Restoration Law che fa parte dell’European Green New Deal e punta a ripristinare il 20% delle aree terrestri e marine e a tagliare del 50% l’uso di pesticidi per fermare la perdita di biodiversità e contrastare la crisi climatica. In Europa, inoltre, alcuni Paesi – tra cui l’Austria e l’Olanda – hanno dato il via a un importante processo di trasformazione di vecchi siti industriali dismessi (come pozzi di carbone e cave in pietra) in hotspot di energia rinnovabile con pannelli solari galleggianti. Nonostante al di sotto dell’equatore la piaga della deforestazione si aggravi di anno in anno, quest’estate in Colombia si è registrato un netto calo (circa un terzo rispetto a un anno fa) del fenomeno, salvando così oltre 50mila ettari di foresta. Gli scienziati del Lawrence Berkeley National Laboratory hanno sviluppato un materiale innovativo che potrebbe sostituire il 90% delle plastiche che attualmente non possono essere riciclate. Questi sono solo alcuni esempi che mostrano l’impegno e gli sforzi della comunità scientifica affinché lo stato di salute del nostro pianeta venga preservato

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