Cosa è rimasto in America cent’anni dopo? Una domanda che ancora oggi in molti si fanno, tra repliche decadenti e imitazioni sconclusionate
Nell’era degli Spritz, dei Mimosa, del Rosè e degli aperitivi infiniti è difficile immaginare che, soltanto cento anni fa, gli Stati Uniti avessero reso l’alcol illegale. Ogni tanto ce lo ricordano i lavoratori stranieri di New York di rientro a casa dopo una lunga giornata a costruire grattacieli, costretti a sorseggiare una bottiglia di birra nascosta in una busta di cartone.
Tra le mete turistiche preferite di chi visita New York City oggi ci sono gli speakeasy, piccoli bar nascosti dentro altri locali (lavanderie, bar, stazioni della metropolitana, ecc.) che offrono musica e cocktail ispirati agli anni Venti del ’900.
Oggi sono luoghi alla moda molto belli da visitare, ma il vero proibizionismo fu tutt’altro, e penalizzò soprattutto gli immigrati appena sbarcati nella grande mela e gli afroamericani, che si riunivano nei saloon per socializzare; inoltre, danneggiò chi aveva investito in attività legate alla vendita di alcolici.
Il XVIII emendamento
Il proibizionismo durò dal gennaio 1920 al dicembre 1933 e non ebbe il successo preventivato.
Non a caso, i promotori della legalizzazione della cannabis lo usano oggi come esempio per convincere gli scettici che il divieto non fa altro che incrementare il pericolo legato all’illegalità e alla mancanza di controllo, e che la proibizione rende il tutto più intrigante.
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