Le nostre interviste, Vida Diba

È passato più di un mese dalla scomparsa di Masha Amini, la 22enne curda arrestata e morta per non aver indossato correttamente il velo islamico. In centinaia di città dell’Iran e del mondo vanno avanti le proteste. Pochi giorni fa è morta la sedicenne Asra Panahi, dopo un pestaggio da parte delle forze di sicurezza. La studentessa si sarebbe rifiutata, assieme ad altre compagne di classe, di intonare un canto dedicato alla Guida suprema. Preoccupa anche la situazione nel carcere di Evin, dove si trovano i detenuti politici. Almeno quattro persone sarebbero morte e 61 rimaste ferite a seguito di duri scontri e incendi. Gli iraniani lottano da settimane per ottenere un cambiamento radicale: la fine del regime; combattono per il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, per vivere liberamente in un Paese che garantisca loro un lavoro, la salute, il benessere, così come la libertà di poter amare se stessi e gli altri, senza vincoli o restrizioni. Tanti dimostranti partecipano alla protesta anche dall’Italia, tra questi c’è una coraggiosa donna iraniana, Vida Diba, 36 anni, che vive e lavora a Vicenza da dieci anni. Per Vida «Siamo rimasti per troppo tempo in silenzio. Ora dobbiamo parlare. L’Occidente deve aprire gli occhi. L’Iran ora ha un nuovo leader: il popolo coraggioso». Vida, che con orgoglio difende le sue origini,  ha raccontato a il Millimetro le cause e gli obiettivi della coraggiosa lotta iraniana.

Le nostre interviste, Vida Diba

Non è la prima volta che le donne iraniane manifestano il loro dissenso nei confronti del regime. Cosa ha di diverso questa protesta?  

«Questa volta, a differenza delle altre, stanno protestando persone di qualsiasi minoranza ed etnia, anche le donne con hijab e chador. Partecipano gli sportivi, gli artisti, gli scrittori, gli avvocati e gli attori, sia uomini che donne. Una protesta unica per la sua resistenza, unità, empatia e continuità, ma soprattutto la perseveranza dei dimostranti in oltre 100 città dell’Iran. È un vero momento di ispirazione perché le giovani ragazze iraniane nonostante le censure, la crudeltà e l’oppressione, stanno lottando per cambiare il regime teocratico. Vanno ad abbracciare la morte con coraggio piuttosto che restare in casa».

Credi alla versione ufficiale dello stato secondo cui Masha Amini non sarebbe morta a causa delle percosse?

«Ahimé la versione dello Stato è molto buia. Letteralmente gli agenti picchiano, imprigionano, uccidono e nascondono le persone che scendono in strada per dimostrare che non hanno ucciso Mahsa Jina Amini. Come possiamo affidarci ad un regime che crea da oltre 40 anni il terrore per il suo stesso popolo?».

Oltre al tristissimo fatto di cronaca relativo alla morte di Masha dietro questa protesta c’è altro, non si tratta solo dell’uso del velo. Quali sono le cause profonde di quello che sta accadendo? 

«Dietro la battaglia di queste donne contro l’imposizione del velo c’è qualcosa di più ambizioso, infatti nello slogan non c’è nemmeno la parola “velo”, piuttosto si parla di Vita e Libertà. Uno dei problemi principali dell’Iran è la crisi economica: l’inflazione è arrivata al 52.2%, con un aumento verticale dei prezzi e la perdita di potere d’acquisto della moneta. Secondo il World Economic Forum il tasso di disoccupazione avrebbe toccato il 10.2%, i giovani hanno serie difficoltà a trovare lavoro. Un’altra questione di fondo è quella della repressione. Credo che i problemi più importanti – motore della protesta – emergano dal testo del brano di Shervin Hajipour, arrestato proprio per la sua canzone “Baraye”:

“Per la libertà di ballare per strada. Per la paura di baciare. Per mia sorella, tua sorella, le nostre sorelle. Per il cambiamento delle menti marce. Per l’imbarazzo per la povertà. Per il desiderio di una vita normale. Per il bambino che raccoglie rifiuti i suoi sogni. Per l’economia corrotta. Per l’aria inquinata. Per gli alberi appassiti di via Valiasr (stanno utilizzando gli alberi per fare il carbonio, bruciano intere foreste per costruire gli edifici, stanno distruggendo le risorse naturali senza nessun consenso del popolo indigeno ndr). Per Piruz e la sua estinzione anticipata (Piruz è l’unico cucciolo di ghepardo rimasto dall’Iran ndr). Per gli innocenti cani proibiti (se ti trovano con un cane a spasso, lo portano via e lo uccidono ndr). Per il pianto ininterrotto. Per aver immaginato il ripetersi di questa scena. Per un volto sorridente. Per gli studenti per il futuro. Per questo paradiso forzato. Per gli intellettuali imprigionati. Per i bambini afghani immigrati. Per tutti questi “per” tutto ciò che è irripetibile. Per gli slogan vuoti. Per il crollo delle case fragili. Per il senso della pace. Per il sole che sorge dopo lunghe notti. Per i tranquillanti e l’insonnia. Per l’uomo, la patria, lo sviluppo. Per la ragazza che desiderava essere ragazzo (se dichiari che sei gay avrai la pena di morte ndr). Per la donna, la vita, la libertà”».

Le nostre interviste, Vida Diba

Nonostante la limitazione dell’accesso a internet la rivolta delle donne iraniane ha valicato i confini del Paese ed è stata accolta in tutto il mondo.  Quale ruolo possono avere i social?

«Il ruolo dei social è fondamentale quanto il nostro ruolo. Dobbiamo cercare di trasmettere l’accaduto in totale trasparenza. Oltre i social anche tutti gli iraniani fuori dal Paese hanno avuto un ruolo essenziale. Da subito abbiamo cominciato a diffondere la notizia in varie lingue in più parti nel mondo, come se fosse successo a una nostra sorella. Abbiamo sensibilizzato i nostri cari, amici, colleghi, vicini… Per una volta tutti gli iraniani all’estero si sono sentiti vicini. Tutto questo non sarebbe successo senza i social. Durante le proteste del 2019, quando internet era completamente censurato, morirono 1500 persone senza che nessuno ne parlasse. Solo in questi giorni 244 persone sono morte, di cui 28 minorenni, 898 i feriti e 5974 gli arresti (numeri in crescita).Grazie ai social e alla condivisione però, stiamo salvando la vita a molte persone. Non dobbiamo smettere e non dobbiamo mollare finché non cambia il regime teocratico. Solo così riusciremo ad essere liberi».

Pensi che il sostegno dell’Occidente possa essere determinante affinché la protesta porti a un cambiamento significativo? 

«Assolutamente sì. Queste donne e uomini hanno bisogno di un intervento deciso da parte dei paesi occidentali. L’Occidente può fare tanto come ha fatto con la Russia: per esempio tagliando i fondi, i conti bancari, bloccando i beni a tutte le persone e ai loro familiari che collaborano con l’attuale ottuso regime. Dovrebbe porre fine agli accordi economici con l’Iran, limitandolo diplomaticamente. Se l’Occidente continua ad avere rapporti con un regime colpevole di tante atrocità, avrà anch’esso, sulla sua coscienza, la vita di molti adolescenti. I politici dei paesi occidentali e degli Usa devono prendere una posizione ora, altrimenti anche loro sono complici!».

Vivi in Italia da tanti anni eppure hai preso molto a cuore la causa. In che modo hai partecipato alla protesta?

«Sin dal primo giorno in cui Masha è stata portata in ospedale ho cominciato a condividere le immagini per sensibilizzare le persone. Il nome di #mahsaamini è diventato il nostro codice. Ho partecipato alle prime proteste in Italia: a Milano e a Vicenza, addirittura ho protestato da sola per due ore nelle strade di Padova. Sono stata invitata all’evento” La Foresta degli Innovatori “ organizzata da Vaia a Folgaria e lì ho piantato 5 alberi in nome di 5 ragazze uccise in queste proteste (#mahsaamini #nikashakarami #hananehkia #hadisnajafi #sarinaesmailzadeh), un simbolo di coraggio oggi, per ottenere una vita migliore domani. Sto cercando di sensibilizzare il più possibile i giovani studenti nelle università italiane, da poco sono stata nell’ateneo di Firenze. Domani sarò a Berlino per la più grande protesta degli iraniani in Europa, sono attesi oltre 70.000 iraniani da tutta Europa. L’obiettivo è che l’Occidente interrompa il silenzio e faccia qualcosa di concreto».

Come stanno vivendo questo momento i tuoi familiari che vivono in Iran?

«La situazione non è facile. Io sono in contatto con mia sorella, mi scrive lei quando ha la connessione internet e mi dice che stanno bene. Credo che per il momento sia sufficiente questo, per il resto sappiamo come comportarci. Io mi sento privilegiata a potere parlare liberamente eppure qui tanti mi dicono di smettere di parlare e scrivere o far vedere la mia faccia perché metto a rischio la vita. A questi io ricordo: Noi tutti i giorni rischiamo la vita, uscendo di casa, guidando la macchina, nel luogo di lavoro, mentre mangiamo e facciamo sport… Quindi, vogliamo smettere di vivere? Stiamo parlando di una questione molto più importante: i diritti dell’umanità».

La critica al codice valoriale del regime arriva soprattutto da parte delle nuove generazioni e tu ne fai parte. Cosa speri per il futuro?

«Il tasso di alfabetizzazione delle donne in Iran è di oltre 97% e il 70% sono laureate in materie STEM: Scienza, tecnologia, ingegneria, matematica. Purtroppo il regime opprime queste giovani per mantenere il controllo del Paese, vuole comandarle. Se una donna ha la consapevolezza e il potere allora ne avrà anche suo figlio e figlia. Lo Stato vuole evitare che ciò accada, ma sta fallendo. La generazione Z è molto attiva e consapevole. Il futuro che immaginiamo è il rispetto per la Donna, la vita dell’ecosistema in cui viviamo, la libertà nei confronti di qualsiasi scelta, azione, espressione».

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La guerra e la solitudine di Papa Francesco, tra i pochi a chiedere con forza la pace: ce ne parla Alessandro Di Battista con un commento in apertura. All’interno anche il 2024 in Medio Oriente, la crisi climatica, il dramma dei femminicidi in Italia, la cultura e lo sport. Da non perdere, infine, le rubriche Line-up, Ultima fila e Nel mondo dei libri, realizzate da Alessandro De Dilectis, Marta Zelioli e Cesare Paris.

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