Le nostre interviste, Amedeo Balbi

Amedeo Balbi è docente di Astrofisica all’Università di Tor Vergata, ha un suo profilo YouTube dove pubblica contenuti legati alle principali domande sull’universo e vanta molte pubblicazioni alle spalle. L’ultima, pubblicata da Rizzoli, si chiama “Su un altro pianeta. C’è un futuro per l’umanità fuori dalla Terra?” e pone l’accento su domande che ognuno di noi s’è posto almeno una volta negli ultimi anni: quanto vivrà ancora la Terra come la conosciamo? Siamo adatti a diventare colonizzatori spaziali? Studiamo gli esopianeti per andarci a vivere? Sapremo meritarci di salire la scala verso le stelle? Quesiti che tengono conto di una premessa preziosa e di primo piano: ad oggi l’unica vera casa disponibile, nel futuro prossimo, è la Terra. Di essa dovremmo preoccuparci davvero. Il linguaggio è sostenibile e leggero, non per questo privo di dimostrazioni complesse e matematiche: le sue opere puntano a raggiungere tutti davvero e non solo la già accessibile nicchia accademica. Il suo lancio sul web, datato 2019, è la naturale conseguenza di tanta generosità, volta a raggiungere un pubblico inizialmente diffidente e poi affamato di sapere. Una conquista spaziale, a tutti gli effetti.

Le nostre interviste, Amedeo Balbi

Amedeo partiamo da te: quando scopri di voler diventare astronomo?

“Sul piano professionale al liceo, leggendo vari testi divulgativi. Però è un desiderio coltivato sin da piccolo, all’età di 7-8 anni, sfogliando le pagine di ‘Nel cosmo, alla ricerca della vita’ di Piero Angela‘”.

Per proseguire nei tuoi studi è necessaria una particolare attitudine?

“Una certa predisposizione al ragionamento logico e alla matematica. È un lato che spaventa alcuni ma coglie di sorpresa altri. Detto ciò la passione è indispensabile, specie quando affronti ostacoli più duri del previsto. Senza questa combinazione è complesso crescere nel campo”.

Quale lato della materia ti ha affascinato maggiormente nelle prime fasi della tua carriera?

“L’aspetto più filosofico, ovvero quello dell’origine dell’universo. Parlo della cosmologia, quella branca che osserva i primi istanti del tutto. Un’altra grande domanda che mi affascina da sempre è se esistono altre forme di vita nell’universo. In questo caso parliamo dell’astrobiologia“.

Ad oggi quale credi sia invece l’aspetto più complesso da approfondire per un astronomo?

“Sempre il Big Bang. Non abbiamo ancora gli strumenti fisici per dare risposte certe. Così come è ancora complesso capire se siamo soli o meno nell’universo. Non puoi osservare da vicino i pianeti che stiamo scoprendo negli ultimi tempi quindi è complicato trovare evidenze. I dati potrebbero essere confusi e sviare, ma auspico che la scienza faccia nuovi passi in avanti. Il confine tra il sapere e non sapere è sempre delicato”.

Qual è lo studio di cui vai più orgoglioso?

“Un esperimento in particolare, verso la fine degli anni ’90, che ci ha permesso di osservare l’origine dell’universo come mai prima d’allora. Non tutti sanno che guardando lontano nello spazio osservi anche il passato, ecco noi ci siamo riusciti. Abbiamo sviluppato una geometria su ampia scala che ci ha concesso di valutare energia e materia presenti”.

Quali sono i più recenti passi in avanti svolti dalla scienza in quanto a scoperta dello spazio?

“La scoperta delle onde gravitazionali, qualcosa di grosso sia per la bellezza del risultato che per i sacrifici della fase precedente. L’esperimento Virgo, di natura italiana, ha speso molto nel percorso preparatorio. Quando mi sono laureato nel ’95 si lavorava già per quell’obiettivo apparentemente chimerico. Poi, invece, ce l’hanno fatta. Un traguardo sensazionale”.

Le nostre interviste, Amedeo Balbi
Il rilevatore VIRGO vicino a Pisa ha rilevato per la prima volta le onde gravitazionali ad agosto 2017.

Cosa sono le onde gravitazionali?

“Onde che modificano, con la loro oscillazione, lo spazio-tempo. Quando guardavamo l’universo prima potevamo studiarne i movimenti tramite le onde elettromagnetiche (luce; onde radio; raggi gamma; radiazioni ultraviolette etc…). Oggi invece possiamo notare anche gli scontri dei buchi neri, precedentemente invisibili. È qualcosa di rivoluzionario che in futuro ci permetterà di osservare nuovi fenomeni”.

L’universo è in espansione: si prevede un punto di rientro o è destinato ad allontanarsi per sempre?

“La seconda. Non solo sappiamo che si espande, ma accelera col tempo. Non possiamo però escludere ricolassi futuri”.

Quale grande scoperta potremmo accogliere nei prossimi anni?

“Mi auguro la vita fuori dalla terra”.

Ma è una speranza…

“Basata però su strumenti sempre più concreti, che quand’ero ragazzino non c’erano. Oggi possiamo valutare elementi nell’atmosfera di un pianeta che siano collegati ad attività biologica. Questo potrebbe darci forti indizi”.

Parliamo di esopianeti?

“Anche, certo. Il primo pianeta scoperto intorno a una stella simile al Sole risale al ’95, dopo la mia laurea. Oggi ce ne sono migliaia. Poi chiariamoci: per vita non intendiamo alieni che ci salutino, ma tracce lasciate da forme di vita semplici come per esempio batteri. La Terra ha quattro miliardi di anni ma per tre è stata solo vita monocellulare”.

C’è una missione spaziale in particolare che ti ha emozionato più delle altre?

“Delle più recenti Cassini, che ha osservato Saturno facendo scendere un lander su Titano (una delle sue lune). Di quelle passate sicuramente le Voyager, che sono ancora in viaggio al di fuori di uno dei possibili confini del sistema solare. Continuano a trasmettere dati, anche se non sappiamo ancora per quanto. Cito anche le missioni Viking, i primi lander ad arrivate su Marte senza conseguenze spiacevoli. Hanno analizzato il suolo del pianeta per capire se ci fosse vita o meno”.

E c’è stata?

“Cerco sempre di essere agnostico sul tema, ma molte evidenze dicono di no. Le condizioni affinché ci fosse però ci sono state, quindi forse qualcosa è successo. Giusto insistere per capire di più”.

Per farlo avete bisogno di collaboratori intersettoriali: su tutti?

“Geologi, climatologi e chimici. Lo scambio tra competenze è fondamentale”.

Come si rapporta la società odierna agli investimenti astronomici?

“I giovani si avvicinano al mio campo grazie alla combinazione tra opere fantascientifiche di livello e nuovi metodi di divulgazione. Poi c’è anche l’aspetto degli imprenditori spaziali alla Elon Musk, capaci di risvegliare economicamente il mercato e gli investimenti privati”.

Ci parli del tuo ultimo libro, “Su un altro pianeta”?

“Si concentra sulla vita al di fuori della Terra e su domande di carattere sociale e politico sulle esplorazioni spaziali. Mi chiedo, in primis, se sia sensato o meno intendere lo spazio come business coloniale. Cerco di stimolare una visione critica sul tema”.

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Da un po’ pubblichi anche video su YouTube. A cosa devi il loro successo?

“A un cambio di linguaggio. Quando scrivo testi accademici arrivo alla mia nicchia. Con i miei libri e soprattutto video cerco di raggiungere, con una narrativa più ‘spiegata’, il pubblico meno informato. C’è tanta domanda, lo vedo sul web. La voglia di imparare è davvero tanta. La gente non vuole essere solo intrattenuta ma anche educata”.

Parliamo di cinema: il film fantascientifico che ami e quello che odi.

2001 – Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, semplicemente un capolavoro. Tra i non preferiti scelgo “Gravity”, quello che nel rapporto tra aspettative e risultato finale mi ha deluso maggiormente. Troppi errori grossolani sulla componente astrofisica”.

Ci consiglieresti tre letture imprescindibili per un appassionato di astronomia?

Buchi neri e salti temporali” di Kip Thorne, massimo esperto vivente sul tema; “Breve storia di quasi tutto” di Bill Bryson e “Contact” di Carl Sagan“.

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