Le montagne e il nostro destino

A tu per tu con l’alpinista Hervé Barmasse sull’Everest

“Non si può continuare ad affermare che gli scalatori amino la montagna se poi sono i primi a sporcarla. L’ego dell’uomo è il nostro maggior nemico e porta conseguenze disastrose. Oggi l’alpinista migliore, non è né quello che scala l’Everest o la montagna più difficile, ma chi non lascia traccia del proprio passaggio”. Afferma l’alpinista Hervé Barmasse, a un tu per tu sulla vetta più alta al mondo. Hervé è anche una guida alpina del Cervino dal 2000, quarta generazione della sua famiglia e di recente ha girato l’Italia in un tour sulla natura e le responsabilità dell’essere umano, perché “le montagne ci raccontano il nostro destino”.

Alpinisti scalano l'Everest
Una scalata dell’Everest da parte di alcuni alpinisti – ilMillimetro.it

L’Everest è il nostro punto di partenza e di arrivo per una riflessione, profonda, in cui scoprire che, se sulla terra funziona male, tra le nuvole l’uomo non è meno egoista. Quest’anno l’alpinismo di massa sull’Everest è stato ancora più evidente di quello scorso e di prima ancora della pandemia. Se a Venezia l’overtourism porterà a degli ingressi contingentati in città, sugli 8mila metri diventa un vero e proprio fattore di rischio della stessa sopravvivenza, date le difficoltà tecniche, climatiche e fisiche. Il numero dei permessi di ascesa delle montagne più celebrate è arrivato a 1.046, per ventiquattro cime. Il governo di Kathmandu, capitale del Nepal, ha incassato in totale, 5,6 milioni di dollari (circa 5,1 milioni di euro), 5 milioni (4,55) dei quali per richieste relative all’Everest, surclassando ogni record post-Covid (dati de la Repubblica al 28 aprile 2023). Parliamo di un fenomeno che mai avremmo immaginato potesse arrivare così in alto. Quali sono le spiegazioni e come è cambiata la salita sull’Everest ad oggi, lo abbiamo chiesto ad Hervé Barmasse.

L’intervista

È noto a tutti come il progresso tecnologico e l’uso dell’ossigeno artificiale in alta quota abbiano reso possibili delle spedizioni che, fino a qualche decennio fa, non erano di certo accessibili a tutti. L’aver superato questa inaccessibilità, che poi è una caratteristica forse propria della montagna, uno dei luoghi che meno perdona gli errori umani e l’inesperienza, è un tema molto discusso che apre dibattiti discordanti.

Il progresso ha spinto verso un turismo più ampio nelle zone
Le nuove tecnologie hanno reso più facile la scalata delle montagne

Cosa vuol dire nel 2023, dal punto di vista fisico, psicologico e deontologico, scalare l’Everest?

“Scalare l’Everest, così come le altre tredici montagne più alte della Terra, può essere una grande sfida e allo stesso tempo un giro di giostra dove tutto è organizzato e, in base al costo del biglietto, puoi usufruire di tutte le comodità di un albergo. Compresa la sala giochi e l’elicottero che fa da taxi tra Kathmandu e il campo base. Tutto dipende da come decidi di affrontare la scalata. La maggior parte delle persone sale seguendo la via normale, quella più facile per raggiungere la cima, e lo fa allo stesso modo del 1953, anno in cui è stato scalato l’Everest per la prima volta, ma con una tecnologia del 2023. Per questo motivo, oggi, tutti possono accedere a quelle montagne, causando l’alpinismo di massa che, indubbiamente, ha un alto impatto ambientale. Sulla strada che porta alle vette più alte al mondo, sotto la neve e il ghiaccio, regna la sporcizia. I rifiuti, abbandonati dopo la salita, sono ovunque e di ogni genere; si tratta di tende, corde fisse, materassini, solo per citare alcuni oggetti. Oggi i quattordici 8000 sono le montagne più sporche del mondo. Se invece decidi di scalare l’Everest lontano dalle vie normali, senza aiuti dall’esterno, come corde fisse, campi pre-allestiti, ossigeno e sherpa (guide e portatori di alta quota ingaggiati per le spedizioni himalayane), usando solo l’equipaggiamento che sei in grado di portare a valle una volta terminata la scalata, allora è una sfida tra le più difficili al mondo. Non si può continuare ad affermare che gli scalatori amino la montagna se poi sono i primi a sporcarla. L’ego dell’uomo è il nostro maggior nemico e porta conseguenze disastrose”.

Vengono definite i “14 ottomila” (o più) le quattordici montagne più alte della Terra: Everest (8848 m), K2 (8611 m), Kangchenjunga (8586 m), Lhotse (8516 m), Makalu (8463 m), Cho Oyu (8201 m), Dhaulagiri I (8167 m), Manaslu (8163 m), Nanga Parbat (8125 m), Annapurna I (8091 m), Gasherbrum I (o anche Hidden Peak) (8068 m), Broad Peak (8047 m), Gasherbrum II (8035 m), Shisha Pangma (8027 m).

Il problema della sporcizia

Come affermato poco fa, una delle conseguenze ambientali più gravi dell’alpinismo di massa è la sporcizia. Riporto questo virgolettato de La Stampa dove hai affermato che «Oggi l’Everest, la vetta più alta del mondo, è anche una montagna di spazzatura. Lassù si trovano chilometri di corde in nylon abbandonate, con conseguente accumulo di microplastiche in una misura paragonabile a quella presente negli oceani».

Sono tante le montagne oggetto di turismo
Il monte Gokyo Ri in Nepal – ilMillimetro.it

Quanto è grave questa forma di inquinamento e c’è qualcuno che se ne occupa?

“Esistono delle fondazioni che saltuariamente si recano sull’Everest per tentare di pulire la montagna, anche se la percentuale di rifiuti prodotti è sempre maggiore di quella che viene portata via. Causa del problema sono gli stessi sherpa e alpinisti che organizzano le spedizioni commerciali. In questo modo non risolveremo il problema, ma forse qualcuno si sentirà meglio con la propria coscienza. Per cambiare “rotta” dobbiamo cambiare atteggiamento e il modo di scalare le montagne. Agire sulla causa, non correre ai ripari”.

@tenzisherpa30

The dirtiest camp i have ever seen Our Nepal goverment and the big travel companies who operate the expidition on mountains they should and we have do something to change it lets clean the mountains #cleanmountain #savethemountain#everest #deathzone #climbing #camp4southcol #garbageoneverest #2023 #spcc #cleanmountaincampaign

♬ original sound – tenzisherpa

Credi all’alpinismo green? Pensi che cambierà ancora il modo di scalare l’Everest e le più alte vette del mondo?

L’alpinismo green, un atteggiamento green verso la natura, è l’augurio che faccio all’alpinismo e a tutti noi. Ho sempre visto gli scalatori come dei D’Artagnan, persone che con il loro esempio e le loro capacità difendessero la salute della montagna a cui oggi è strettamente correlata la salute dell’uomo. Pensiamo alle acque dolci del nostro pianeta, il 60% dei bacini è situato su territori di montagna. Oggi l’alpinista migliore non è né quello che scala l’Everest o la montagna più difficile, ma chi non lascia traccia del proprio passaggio”.

L’Everest e le altre vette

Oltre l’Everest, ci sono altre vette significative dove si riversa l’alpinismo di massa che conosciamo meno?

Uno dei paesaggi del Nepal
L’Everest e il Nepal sono diventati territori ad altissimo flusso turistico – ilMillimetro.it

L’alpinismo di massa interessa tutti i quattordici 8000 e vede coinvolti, oltre ai turisti, anche alpinisti professionisti. Al tema ambientale si aggiunge purtroppo anche la mancanza di umanità nei confronti del prossimo. Durante l’ultima estate, sul K2, a poche centinaia di metri dalla sommità, un portatore pakistano è morto perché nessuno degli scalatori presenti ha provato a salvarlo. Stiamo parlando di circa sessanta persone che, nonostante fosse riverso a terra, ma ancora in vita, hanno preferito scavalcarlo e continuare l’ascensione lasciandolo morire”.

Che rapporto hai con l’Everest e quale vetta ti ha messo più a dura prova?

“L’Everest è una montagna che attrae e strega e che nei prossimi anni tenterò di salire in stile pulito, così come ho già fatto per le altre montagne scalate. So che le possibilità sono ridotte al minimo, ma oggi non è importante dove arrivi, ma come ci arrivi. Le prove, le sfide, così come i successi e le sconfitte, sono esperienze. Ognuna di loro mi aiuta a crescere”.

Hervé Barmasse, protagonista dell’ultima intervista a tema ambientale de Il Millimetro, ha da poco concluso un tour autunnale, per l’Italia, in cui ha parlato della salute del pianeta. La tappa romana, dello scorso 12 ottobre, si è tenuta in occasione del Festival della salute mentale RO.MENS, nel museo dell’Ara Pacis. Fulcro dell’incontro, già anticipato dal titolo, “Le montagne ci raccontano il nostro destino”, è il precario equilibrio tra la salute dell’essere umano e quella della Terra. Un rapporto di assoluta dipendenza sul quale riflettere per intervenire. L’intervista a Hervé e i temi affrontati durante il suo recente tour aprono dei dibattiti tanto delicati quanto urgenti sul futuro dell’alpinismo, della montagna e di ognuno di noi. Per cambiare “rotta” dobbiamo cambiare atteggiamento, agire sulla causa, non correre ai ripari.

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