Le conseguenze della politica sui migranti

Il naufragio avvenuto all’alba di domenica 26 febbraio sulle coste calabresi di Steccato di Cutro, a pochi km da Crotone, conta oggi 64 vittime accertate, tra queste ci sono 14 minori. I superstiti sono 82. Nelle prossime ore ci si aspetta un numero crescente che potrebbe arrivare al centinaio di persone morte in mare. La barca di legno trasportava in tutto 170 persone, il suo viaggio era iniziato qualche giorno prima dalla località turca di Izmir. La rotta che collega la Turchia all’Europa è una delle più battute nel fenomeno migratorio attuale. Chi intraprende questo itinerario di viaggio fugge principalmente da Paesi come l’Afghanistan, la Siria, l’Iraq, l’Iran, il Pakistan. Paesi dove i diritti umani e civili delle persone sono costantemente messi a repentaglio. Sono persone che, dunque, meriterebbero di fare domanda di asilo come previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Negli ultimi due anni, però, la destinazione di approdo è mutata a seguito di un irrigidimento delle politiche migratorie attuate dalle autorità del governo greco. Per diverso tempo, infatti, chi sceglieva e riusciva a partire dalle coste turche raggiungeva la Grecia per poi iniziare la ben nota ed estenuante rotta migratoria dei Balcani, conosciuta più per i suoi rischi e brutali azioni di respingimento alle frontiere, che per una reale riuscita finale con l’arrivo nei Paesi nord-occidentali europei, soprattutto la Germania.

Le conseguenze della politica sui migranti
Foto di Martina Martelloni

Le conseguenze delle scelte politiche sui migranti: la Grecia chiude le porte

Le principali isole di approdo greche sono quelle di Lesvos, Samos e Chios, le più vicine al confine turco. Dal 2020 ad oggi il governo greco ha drasticamente rafforzato i controlli alle frontiere, via terra e via mare, con la Turchia. Decisione ribadita e riconfermata anche in conseguenza del devastante terremoto che ha colpito il sud-est della Turchia e il nord della Siria lo scorso 6 febbraio, evento questo che comporterebbe un aumento di persone in fuga dai suddetti territori. “Il movimento in massa di milioni di persone non è una soluzione”, ha dichiarato il ministro greco per la Migrazione, Notis Mitarachi, evidenziando poi la necessità di inviare aiuti di emergenza in Turchia e Siria “prima che questo accada”. Sempre Mitarachi, in occasione di una conferenza europea sulla gestione delle frontiere tenutasi il 24 febbraio nella capitale Atene, ha promesso che l’ampliamento del muro lungo il confine terrestre proseguirà indipendentemente dal fatto che sia finanziato dall’UE. La barriera in questione, di una lunghezza pari a 22 miglia e un’altezza di 5 metri, dovrebbe raddoppiare entro la fine dell’anno in corso. Il ministro greco sostiene di poter difendere così i confini europei dai flussi migratori, definiti da lui stesso “illegali”. La politica di chiusura nei confronti dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati prenderà forma anche nella messa in mare di navi della guardia costiera greca, aventi come obiettivo quello di pattugliare le isole del Mar Egeo, di fronte alla costa turca.

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Foto di Martina Martelloni

Le conseguenze delle scelte politiche sui migranti: l’accordo Europa-Turchia

C’è, però, un altro elemento, risultato di un annoso fatto storico, che si va ad aggiungere all’attuale ed irremovibile decisione dell’amministrazione greca e che incide fortemente sul cambio di rotta di chi fugge dal proprio Paese, arriva in Turchia per poi ripartire verso l’Europa con approdo, stavolta, le coste italiane – geograficamente, per vicinanza, quelle della Calabria. Il fatto storico in questione è la firma dell’accordo tra l’Unione Europa e la Turchia sulla gestione del flusso migratorio, risalente al 18 marzo 2016. Quell’accordo ha segnato l’inizio del totale fallimento delle politiche europee sulla migrazione. Il contenuto di questa dichiarazione stipulata prevede la presenza di un hotspot sulle isole greche di arrivo. La permanenza dei migranti nel campo allestito per la prima accoglienza dovrebbe durare giusto il tempo di attesa sull’esito della domanda di asilo, ricollocamento o ricongiungimento familiare. Chi si astiene dal presentarla o si vede respingere la domanda, è costretto a fare ritorno in Turchia. Quello che è accaduto è esattamente il suo contrario.

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Foto di Martina Martelloni

Le conseguenze delle scelte politiche sui migranti: Lesbo, l’isola del fallimento europeo

Lo stato di attesa non si è mai interrotto per la maggior parte dei migranti arrivati in Grecia.  Quello che è accaduto in tanti anni sull’isola di Lesbo ne rappresenta l’apice di tale disfatta umana a seguito di una vittoria meramente burocratica e dagli interessi economici. Lesbo è stata un’isola prigione per migliaia di persone. Il campo di Moria, andato distrutto a seguito di un incendio avvenuto nel settembre del 2020, ha rappresentato per anni l’emblema perfetto dell’incuria europea sui migranti in arrivo nel continente. Prima dell’incendio, in quello spazio che poteva ospitare un massimo di tremila persone, ne erano stipate circa 13mila. Nonostante gli arrivi siano diminuiti significativamente, oggi Lesbo ospita meno di 1.500 richiedenti asilo che si trovano in un campo di transizione, nell’attesa di essere poi collocati in una struttura ancora in fase di costruzione situata in un’area remota e mal collegata dell’isola. Come se la distanza dalla comunità locale nascondesse la realtà. Nel 2022, un totale di 12.758 rifugiati e migranti sono arrivati in Grecia via mare. La maggior parte proviene dalla Palestina 22%, dall’Afghanistan 17%, dalla Somalia 14%, dalla Siria 10% e dalla Sierra Leone 7%. Quasi la metà della popolazione è costituita da donne 18% e bambini 28%, mentre il 54% sono uomini. Gli arrivi nel 2022 sono diminuiti del 195% rispetto a quelli del 2021.

Le conseguenze della politica sui migranti
Foto di Martina Martelloni

Le isole del Dodecaneso sono state le più coinvolte dagli sbarchi: il 30% di tutti i nuovi arrivi, seguite poi da Lesbo 27%, Samos 17%, Chios 10% e altre 16%. La vita per i cittadini dell’isola greca di Lesbo è “tornata alla normalità” e i principali problemi legati ai rifugiati sono oramai “acqua passata”. Questo, perlomeno, è ciò che sostiene il ministro greco per la Migrazione Mitarachi che, il 9 febbraio scorso, si è recato in visita sull’isola dell’Egeo nord-orientale. Eppure, dietro quel concetto di normalità, ci sono vite appese a decisioni burocratiche stantie e rallentate, ci sono persone che da anni vivono in tende condividendo spazi e beni di prima necessità, ci sono minori che hanno smesso di andare a scuola, donne che, in condizioni complesse come quelle che implica la quotidiana sopravvivenza in un campo, rischiano abusi, molestie, violenze. Ci sono poi le inevitabili conseguenze sulla salute mentale, messa perennemente alla prova dal fatto che per queste persone il “non è dato sapere” è l’unica risposta a cosa sarà del futuro prossimo. Ci sono persone che hanno perso la vita in mare, la diminuzione degli sbarchi non ha evitato che le persone morissero durante dei naufragi avvenuti lungo le coste dell’Egeo, nei pressi dell’isola di Lesbo. A distanza di pochi giorni, infatti, a febbraio 2023 due imbarcazioni sono affondate causando tre morti accertate e più di venti persone disperse. Intanto, a fine 2022, l’Unione Europea ha annunciato un nuovo pacchetto di 220 milioni di euro destinato alla Turchia. Con questo nuovo stanziamento si raggiunge la cifra di oltre 1,2 miliardi di euro di fondi che l’Europa ha inviato al governo di Recep Tayyip Erdogan in un solo anno, affinché tenesse sotto il suo controllo i confini orientali.

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