Due specie presenti nel Golfo Persico stanno dimostrando che la natura, in certi casi, riesce a essere più forte dell’egoismo dell’uomo
Gli oceani del mondo si stanno riscaldando e le loro temperature medie aumentano sempre di più. Un andamento crescente provocato ovviamente dal riscaldamento globale, di cui l’uomo, neanche a dirlo, è il principale artefice. Tanto per dare una spiegazione del fenomeno in maniera molto sintetica, a partire dall’inizio della Rivoluzione industriale abbiamo iniziato a bruciare enormi quantità di combustibili fossili, abbattuto sconfinate distese di foreste e intrapreso molte altre attività che immettono nell’atmosfera terrestre anidride carbonica che trattiene il calore. Ciò ha comportato una sorta di “intrappolamento” di quel calore nell’atmosfera, che a sua volta ha provocato un riscaldamento dell’aria vicino alla superficie terrestre di circa 1 °F (0,6 °C) in media negli ultimi due secoli.
Tale calore è stato assorbito dai vasti oceani che ricoprono il pianeta e ha rallentato, di fatto, il riscaldamento, perché l’acqua impiega molta più energia per riscaldarsi rispetto all’aria. Quello che fino a poco tempo fa rappresentava un’ancora di salvataggio per l’umanità, però, a forza di aumentare lo sfruttamento della Terra, adesso sta perdendo di efficacia, perché la parte superiore dell’oceano si sta riscaldando di circa il 24% in più rispetto a qualche decennio fa.
Un tasso destinato ad aumentare giorno dopo giorno. A tal proposito, il professor Mike Meredith del British Antarctic Survey ha espresso tutta la sua preoccupazione in un’intervista alla BBC: «Il fatto che tutto questo calore si stia riversando nell’oceano e che, in effetti, si stia riscaldando per certi aspetti anche più rapidamente di quanto pensassimo, è motivo di grande preoccupazione.
Questi sono segnali concreti che l’ambiente si sta spostando verso aree in cui in realtà non vorremmo e se continua in quella direzione le conseguenze saranno gravi». La parte più alta dell’oceano, fino a circa 700 metri, ha assorbito così la maggior parte del calore in eccesso. Le poche migliaia di metri più in basso, in ogni caso, non sono immuni e ne hanno risucchiato un altro terzo, ma la parte più alta del mare si sta inevitabilmente riscaldando più velocemente, viaggiando a una media di circa 0,11 °C ogni decennio dagli anni Settanta. Le ondate di calore marine, cioè la versione oceanica degli eventi analoghi di caldo soffocante che si propagano sulla superficie terrestre, stanno aumentando anche in frequenza e intensità. E, nel corso di questi eventi, le temperature vicino alla superficie dell’oceano possono arrivare a raggiungere picchi di diversi gradi superiori alla media.
Gli effetti sui mari
Negli ultimi anni gli oceani stanno stabilendo quotidianamente nuovi record di temperatura. Questo surriscaldamento, ovviamente, ha colpito duramente la vita marina globale, provocando una lunga serie di effetti, tra cui il rischio più che concreto di arrivare a modificare il ciclo stagionale delle temperature del mare. La maggior parte degli abitanti dell’oceano – dal plancton ai pesci, fino ad arrivare alle balene – vive nella parte superiore, esattamente nella zona in cui le temperature aumentano più rapidamente, e molti di questi organismi marini sono sensibili anche a lievi o brevi cambiamenti.
Tra questi ci sono i coralli, altamente sintonizzati sulle condizioni di calore dell’acqua in cui vivono, tanto che perfino un riscaldamento di appena 1 °C può stressarli. Una conseguenza che si è già realizzata è proprio la nuova ondata di sbiancamento, cioè quello che accade quando questi espellono le alghe simbiotiche che vivono al loro interno e che solitamente forniscono loro gran parte dell’energia.
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