Se non fosse solo un parco a tema sembrerebbe di essere tornati indietro nel tempo, a quando l’Unione Sovietica si estendeva tra Europa orientale e Asia settentrionale per oltre 22 milioni di metri quadrati. E a quando il busto di Lenin era in ogni piazza. Senza strani tuffi nel passato, immerso nei boschi meridionali della Lituania, poco fuori Druskinkai, al confine tra Polonia e Bielorussia, il Gruto Parkas è un unicum di tutto il mondo ex sovietico: soprannominato “Stalin World”, il parco ospita oltre 80 statue dei leader sovietici rimosse dopo l’indipendenza del Paese nel 1991. Dall’inizio della guerra in Ucraina e l’invasione russa tornate al centro del dibattito politico nazionale e non. Il viaggio de Il Millimetro in occasione del 9 maggio, giorno della Vittoria sui nazisti, ancora festeggiata in pompa magna in tutta la Russia ma non in Europa – e vietata nei Paesi Baltici – dove fu proclamata l’8 maggio 1945, in coincidenza della resa senza condizioni da parte della Germania (firmata nella tarda sera dell’8 maggio, già 9 maggio a Mosca).
Perché Gruto Parkas
L’idea di “salvare” le imponenti sculture venne all’imprenditore lituano Viliumas Malinauskas, ancora ricordato come il re dei funghi per il redditizio business di quelli sottolio, che alla fine degli anni Novanta, dopo la dissoluzione dell’URSS, propose al governo lituano di cedergli le statue ed esporle in un museo a cielo aperto. Nonostante i no iniziali delle autorità, per lo più contrarie ad una eccessiva ricostruzione del periodo staliniano – tra le proposte di Malinauskas anche quella di trasportare i visitatori da Druskinkai al Gruto Parkas a bordo di treni stile Gulag – il magnate è riuscito a farsi concedere in comodato gratuito dal ministero della Cultura 86 statue di eroi, gerarchi e dittatori del periodo comunista, creando un museo sui generis (in varie parti del mondo si trovano ancora luoghi che accolgono le statue delle dittature decadute, compresa quella sovietica). Aperto nel 2001, il museo raccoglie anche numerosi cimeli dell’epoca sovietica, tra libri, stendardi, fotografie e giornali conservati in modo minuzioso.
A rendere il luogo affascinante e allo stesso tempo inusuale, anche uno zoo pieno di animali, dai canguri agli struzzi, cinghiali e pavoni che si aggirano dietro le recinzioni all’ombra di Lenin e Stalin. Ma anche un ristorante che propone il menù “Nostalgia” a base di vodka, bliny e pelmeni (i pancake e ravioli russi), aree giochi per bambini a tema con giostre e giochi che risalgono agli anni della dominazione sovietica, e negozi di souvenir che vendono matrioske e piccoli busti del protagonista della rivoluzione di ottobre e del suo successore. Eppure, la tenuta nella foresta appena fuori Druskinkai, tranquilla cittadina termale sul fiume Nemunas ad un paio di ore di distanza dalla capitale Vilnius, in un certo senso replica un tipico gulag sovietico: ad accogliere i visitatori all’ingresso del parco un vagone d’epoca per ricordare quelli usati per le deportazioni staliniane, e tra i viali alberati e tranquilli, torrette di guardia originali utilizzate proprio nei gulag e nei campi di lavoro.
Le enormi raffigurazioni di Lenin, Stalin, Karl Marx e dei leader dell’Unione Sovietica, un tempo visibili nelle città lituane, sono quasi tutte qui, raggruppate in base al loro ruolo nell’attività sovietica, dalla “Sfera totalitaria” dei leader di spicco a quella “rossa” che presenta i membri della resistenza. Davanti ad ognuna di loro una leggenda racconta la storia del rivoluzionario e la sua collocazione in città senza tralasciare il motivo della grandezza delle statue che dipendeva dall’importanza del luogo.
Via le statue, via il ricordo?
Alla fine di dicembre del 1993 veniva rimossa l’ultima statua di Lenin da Narva, la città estone al confine con la Russia, tra lo sgomento di alcuni abitanti e la gioia di altri. Qualche anno prima, nel 1989, il pittore e restauratore lituano Vytautas Vičiulis si bruciò vivo in una piazza di Klaipeda, nell’ovest della Lituania, proprio vicino alla statua di Lenin in segno di protesta. Nel 2022, un monumento in onore dei soldati sovietici è stato rimosso dal cimitero Aukštieji Šančiai di Kaunas, e forse in un futuro non troppo lontano non vedremo più neanche il memoriale sovietico da Uzvaras laukums, la Piazza della Vittoria di Riga, capitale della Lettonia. I pensieri contrastanti continuano a mischiarsi: la proposta di legge del 2019 del parlamento lettone di abbattere il Monumento della Vittoria potrebbe diventare sempre più tangibile, contrapponendo da una parte la consapevolezza di un’opera che celebra i liberatori di Riga e dall’altra gli occupanti della città, i russi che invasero per la seconda volta il paese nel 1944, iniziando un’occupazione durata mezzo secolo.
Fare i conti con il passato non è stato affatto facile per le 3 repubbliche baltiche annesse a seguito del patto Molotov-Ribentrop del 1939 e soggette ad anni di “sovietizzazione”: la piccola Lituania, occupata dalla Germania nazista e poi annessa con la forza all’Unione Sovietica, fu la prima delle repubbliche ad avanzare l’indipendenza nel 1990. Seguirono l’esempio Estonia e Lettonia anche se il riconoscimento venne formalizzato con alcuni mesi di ritardo. Nonostante furono proprio i tre paesi a sentirsi da sempre culturalmente e politicamente estranei all’Unione Sovietica, la popolazione etnica russa è sempre stata presente: nel 2020, la percentuale su quella totale era del 24,9% in Lettonia, 24,7 in Estonia e 4,5 in Lituania. Anche se dal 24 febbraio, giorno dell’invasione russa in Ucraina, quasi 4 milioni di russi hanno lasciato il paese: tra le prime scelte l’Estonia che ha visto un aumento di arrivi russi quattro volte superiore (125.426) rispetto all’anno precedente (29.364), con numeri più contenuti in Lituania (48.197 contro 41.838) e Lettonia (25.568 rispetto a 13.521). Camminando per le strade delle capitali delle 3 ex repubbliche sovietiche, è però ancora normale sentir parlare russo, in una cultura dalle origini ad est e il presente tra Nato ed Occidente.
Il presente e la guerra in Ucraina
A cambiare tutto e ad accelerare quelle che anni fa erano solo proposte di legge, l’invasione russa in Ucraina. Ad aprile, il parlamento lituano ha bandito diversi simboli di sostegno all’esercito russo, dalle lettere “Z” e “V”, diventate segni di manifestazione patriottica all’offensiva russa, al nastro di San Giorgio, in arancione e nero, che simboleggia la vittoria dei sovietici sulla Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale. Dopo la svastica o la falce e il martello che non possono essere esposti in pubblico in Lituania, il paese non ha esitato ad intensificare la stretta sui simbolismi patriottici putiniani: i trasgressori sono puniti con una sanzione fino a 700 euro per le persone fisiche e 1.200 euro per le aziende.
Ma ad essere ancora una volta al centro del dibattito, le statue e i monumenti sovietici sparsi per le repubbliche baltiche: il 30 maggio il Parlamento lettone ha approvato con 68 voti a favore e 18 contrari un emendamento ad un accordo del 1994 con la Russia che consentirà l’abbattimento del monumento raffigurante soldati dell’Armata rossa eretto nel memoriale sovietico del Parco della Vittoria a Riga. Mentre in Lituania la cosiddetta legge sulla “desovietizzazione” è quasi realtà: se approvata, la norma darà ai Comuni il compito di determinare cosa è necessario rimuovere definitivamente dallo spazio pubblico lituano. Anche se da Kaunas a Raesiniai, sono già stati rimossi monumenti sovietici proprio a ridosso delle celebrazioni del 9 maggio. Sarà forse la fortuna di Gruto Parkas? Dopo essere stati smantellati, potrebbero trovare una nuova vita proprio nel parco tematico, come ha raccomandato l’Assessorato ai Beni Culturali lituano.
Il destino incerto delle statue richiama alla memoria la storia del Soldato di bronzo nel parco Tionismagi di Tallin, abbattuto nel 2007: eretto sopra una fossa comune di soldati dell’Armata rossa, la sua rimozione scatenò una vera e propria rivolta della popolazione russofona in Estonia. Anche a 30 anni di distanza dalla caduta dell’Urss, il presente e il futuro dei paesi baltici sembra ancora passare da un imponente busto e dal simbolo che per alcuni riesce ancora inevitabilmente ad evocare ma che sembra non passare più da qui.