Il rischio di un’escalation è altissimo e ha superato quello vissuto nel corso della “crisi dei Caraibi”
È dal 9 agosto del 1945 – giorno in cui le forze armate statunitensi sganciarono su Nagasaki “Fat Man”, ovvero il secondo e ultimo ordigno atomico usato contro i civili – che il mondo intero non si trova di fronte al rischio di una guerra nucleare. È vero, nell’ottobre del 1962, con la crisi dei missili di Cuba, la tensione politica e militare tra Stati Uniti d’America e Unione Sovietica fu altissima; tuttavia, la “crisi dei Caraibi” – come la chiamano tutt’oggi a Mosca – si risolse molto rapidamente, grazie a una trattativa diplomatica durante la quale il Presidente USA John Fitzgerald Kennedy e il segretario generale del PCUS Nikita Chruščëv fecero tutti i passi necessari per scongiurare la potenziale fine del mondo.
La crisi vi fu perché l’URSS decise di installare a Cuba, nella provincia di Pinar del Río, missili nucleari a medio raggio. Chruščëv prese tale decisione per far uscire l’Unione Sovietica dall’angolo. All’epoca, infatti, i sovietici non disponevano di missili balistici nucleari a lungo raggio affidabili come quelli statunitensi. Mosca poteva colpire l’Europa e l’Alaska, ma difficilmente i missili sovietici avrebbero potuto centrare con precisione siti strategici statunitensi, grandi città incluse. Al contrario, gli USA sembravano in vantaggio su questo terreno, in più disponevano di batterie di missili Jupiter – che potevano ospitare testate atomiche – in Italia e Turchia, entrambi Paesi NATO. I servizi segreti statunitensi annusarono le intenzioni di Mosca, tuttavia, i sovietici rassicurarono Washington, sostenendo di star rifornendo Cuba soltanto di armi difensive.
Un rischio escalation nucleare mai così alto
D’altro canto, Cuba ne aveva bisogno: l’invasione della Baia dei Porci, ovvero il tentativo (fallito) organizzato dalla CIA per rovesciare il governo castrista a Cuba, c’era stata pochi mesi prima. Anatolij Fëdorovič Dobrynin, ambasciatore dell’URSS negli Stati Uniti, tranquillizzò più volte le autorità statunitensi, fino a consegnare alla Casa Bianca una lettera scritta da Chruščëv che confermava l’invio a Cuba di sole armi difensive. Chruščëv, mentendo, disse agli americani quel che gli americani, nei primi mesi di guerra in Ucraina, hanno detto alla pubblica opinione mondiale: stiamo fornendo a Kiev solo armi difensive per permetterle di arrivare al tavolo dei negoziati con maggiore forza ed equilibrio. I piani di Chruščëv vennero scoperti dall’intelligence militare americana. Si decise di negoziare, e questo nonostante pressioni interne che spingevano per soluzioni più drastiche. La situazione fu sul punto di precipitare più volte.
Il 27 ottobre, il Black Saturday, fu il giorno più difficile. Chruščëv avanzò nuove richieste in cambio dello smantellamento delle rampe di lancio; inoltre, un missile terra-aria sovietico distrusse un aereo da ricognizione U2 partito dalla Florida per raccogliere nuovi elementi sui missili sovietici. Rudolf Anderson, maggiore statunitense che pilotava l’aereo, morì sul colpo. Ciononostante, le trattative andarono avanti. Il 28 ottobre 1962 la crisi si risolse definitivamente. I sovietici accettarono di ritirare i sistemi missilistici, mentre gli USA si impegnarono pubblicamente a non invadere Cuba. L’accordo, tuttavia, conteneva anche una clausola segreta. Washington avrebbe smantellato i sistemi Jupiter collocati in Turchia. La crisi dei missili di Cuba fu l’evento più pericoloso per le sorti del pianeta dopo la Seconda guerra mondiale. Poi è arrivata la guerra in Ucraina.
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