La diplomazia navale nello Stretto di Hormuz

È situato tra Iran e Oman, collega il Golfo Persico al Golfo di Oman e al Mar Arabico, è un braccio di mare lungo circa 96 miglia nautiche (178 km) e largo 21 (39 km). Eppure è uno degli stretti più strategici al mondo – sulla superficie terrestre esistono circa 200 tra stretti e canali, anche se solo un numero contenuto è definibile come strategico e che, se chiuso o bloccato, può interrompere i traffici marittimi di beni e risorse energetiche. E creare tensioni. Quello di Hormuz è uno di questi. Siamo nel Mare Arabico lì dove si affacciano l’Iran, a nord, la Penisola Musandam, un’exclave dell’Oman all’interno degli Emirati Arabi, a sud, e dove il Golfo Persico si restringe drasticamente. È tra le più importanti arterie di transito per l’export di petrolio a livello mondiale – gran parte del greggio esportato dai paesi produttori del Golfo, così come il gas naturale liquefatto estratto dal Qatar, passa infatti attraverso questo canale -, e il Parlamento iraniano adesso minaccia di valutare restrizioni ai movimenti delle navi commerciali europee in transito nello stretto. Anche se le smentite e le leggi internazionali direbbero altro. In questo scenario, la Marina Militare italiana contribuisce alla sicurezza marittima dell’area all’interno della missione europea EMASoH (European-led Maritime Awareness Strait of Hormuz), e con l’operazione denominata AGENOR, di cui l’Italia ha appena concluso il comando degli ultimi 7 mesi.

La diplomazia navale nello Stretto di Hormuz

Lo Stretto di Hormuz – Sanzioni contro sanzioni

La scorsa settimana il Parlamento iraniano ha annunciato di valutare “un piano urgente” per imporre restrizioni ai movimenti delle navi commerciali europee nello stretto di Hormuz. Lo ha comunicato il vice presidente della Commissione parlamentare per gli Affari Interni dell’Iran Mohammad Hassan Asfari, facendo sapere che la decisione è una delle possibili contromisure per l’emendamento approvato a gennaio 2023 dal Parlamento europeo che chiede l’inserimento delle Guardie della rivoluzione iraniana nella lista dei terroristi designati dall’Unione europea. “Sicuramente non resteremo in silenzio, chiudere lo stretto di Hormuz è nell’agenda del Parlamento”, ha affermato il deputato, invitando “gli europei a cancellare la decisione prima che sia troppo tardi”. Alla fine del mese scorso, il Ministero degli Esteri della Repubblica islamica dell’Iran, ha inoltre inserito persone ed entità europee e del Regno Unito in un elenco di sanzioni per, tra le altre cose, il sostegno al terrorismo e ai gruppi terroristici, interferenza negli affari interni del Paese fomentando violenza e disordini, diffusione di false informazioni e partecipazione all’escalation di sanzioni contro il popolo iraniano. Tra loro, anche Emmanuel Slaars, comandante francese dell’operazione della missione della coalizione marittima europea nel Golfo Persico e nello Stretto di Hormuz. “Le sanzioni contro l’Iran indicano la loro incapacità mentale a comprendere in modo corretto la nostra realtà come anche la loro perplessità di fronte al potere dell’Iran”, è stata la risposta del Ministero degli esteri di Teheran proprio alle sanzioni imposte da Unione Europea e Gran Bretagna contro alcuni iraniani, e militari, che hanno avuto un ruolo nella repressione delle proteste anti governative iniziate nel settembre del 2022, ma anche per l’aiuto militare a Mosca nella guerra in Ucraina

Lo Stretto di Hormuz – I capitoli precedenti

Nonostante non ci siano state conferme da parte del governo iraniano su una possibile decisione di chiudere lo stretto alle navi commerciali europee, e nonostante l’Iran non sia parte della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Repubblica islamica andrebbe incontro a serie conseguenze se intervenisse direttamente sul transito nello Stretto, al momento con 3 corridoi di navigazione internazionale. Eppure, alla fine del 2011, l’ammiraglio iraniano Habibollah Sayyari aveva avvertito che chiudere lo stretto sarebbe stato “più facile che bere un bicchiere d’acqua”. In quell’occasione, la Quinta flotta americana era stata chiara dicendo che non avrebbe consentito alcuna interruzione del traffico nello stretto di Hormuz dopo la minaccia dell’Iran di fermare il movimento navi nella strategica rotta petrolifera. Tra il motivo delle tensioni, ancora le sanzioni, questa volta al commercio di petrolio iraniano.

Lo Stretto di Hormuz – La Missione EMASoH

Una storia vecchia, quindi, fatta di diplomazie navali e rivendicazioni che si susseguono da anni seppur all’interno di leggi internazionali che hanno sempre garantito la libertà di transito nello stretto a tutte le navi. Anche grazie ad EMASoH, acronimo di European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz, la missione con cui otto paesi europei si impegnano per la sicurezza marittima lungo lo Stretto di Hormuz con l’intento di proteggere la libera navigazione ed evitare possibili rischi a navi ed equipaggi in transito nell’area. Attiva da 3 anni con base negli Emirati, EMASoH ha preso il via dopo il sequestro da parte iraniana del mercantile britannico Stena Impero avvenuto nel 2019. Obiettivo principale della missione, proteggere dal pericolo di minacce asimmetriche la libertà e la sicurezza della navigazione di mercantili riconducibili ai Paesi partecipanti, Belgio, Danimarca, Grecia, Olanda, Portogallo, Germania, Norvegia e Italia – la Gran Bretagna partecipa invece alla Operation Sentinel, analoga ad EMASoH ma in un’area più vasta che include anche il golfo di Oman e lo stretto di Bab el-Mandeb. Tra gli ultimi sequestri, quello delle petroliere battenti bandiera greca “Delta Poseidon” e “Prudent Warrior” avvenuto il 27 maggio scorso nel Golfo Persico da parte delle Forze militari iraniane, poi rilasciate a metà novembre del 2022. 

La diplomazia navale nello Stretto di Hormuz

Lo Stretto di Hormuz – La presenza della Marina Militare italiana

“La Missione EMASoH non si pone in contrapposizione ad entità statuali o ad altre realtà internazionali, è una missione focalizzata su un obiettivo, quello di monitorare il traffico marittimo nell’area e contribuire alla sicurezza e alla libertà della navigazione lungo le vie di comunicazione internazionali via mare anche attraverso la cooperazione ad ampio spettro con tutti gli altri attori coinvolti nella sicurezza marittima, da Stati ad agenzie deputate al controllo del traffico, fino agli armatori stessi”. È l’Ammiraglio della Marina Militare italiana Stefano Costantino a parlare a il Millimetro a conclusione del periodo di comando della correlata operazione militare AGENOR nell’ambito di EMASoH, iniziata lo scorso 6 luglio e appena conclusasi. “Lo scenario marittimo è di per sé complesso, l’equilibrio è instabile, qualsiasi evento drammatico che si verifica nelle zone circostanti e negli altri Paesi costieri si può ripercuotere sulla stabilità marittima – aggiunge Costantino -. Il mare diventa un ambiente di competizione ma anche di confronto”. Il Contrammiraglio, che ha appena passato il testimone al parigrado della Marina belga Renaud Flamant, al comando per i prossimi 4 mesi, spiega come ogni giorno passino circa 20 milioni di barili di greggio, e non solo, lo stretto è anche infatti un crocevia di navi porta container e turistiche – il transito di circa 400 navi al mese è legato agli interessi di Paesi europei. Una zona che oltre a veder passare un volume importante di traffico marittimo, si presenta come un nodo fondamentale dal punto di vista trans-regionale: il passaggio vincolato attraversa infatti Regioni diverse e si apre poi verso l’Oceano Indiano e più in là verso il Mediterraneo. “Quando non succede niente, è quello il miglior risultato di una missione come questa”, sottolinea Costantino riferendosi al periodo di comando italiano. Tra i successi di AGENOR, anche quello di aver evitato tensioni tra navi mercantili, civili e militari, per mantenere un approccio cooperativo e ‘descalatorio’. Nel complicato e frammentato scenario geopolitico attuale, l’Ammiraglio della Marina Militare italiana ha inoltre definito neutrale e professionale il comportamento dell’Iran nei ultimi mesi. Perché “il mare può anche unire più che dividere”, conclude.

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