La crisi dei rifugiati siriani nel Libano che collassa

Il prossimo 15 marzo, la guerra in Siria compirà dodici anni. Nonostante la trasformazione nel tempo del conflitto interno e l’apparente stabilizzazione, la popolazione civile siriana è testimone di un esodo che conta ancor oggi più di 6 milioni di persone fuggite dal Paese e di ugual misura è il numero degli sfollati interni. Dal 2011 ad oggi, queste persone non hanno mai più rivisto la propria casa, la speranza che ciò possa accadere si è sbiadita con il passare dei mesi e degli anni. La vita dei siriani fuori dalla Siria, è cadenzata dall’attesa e dalla consapevolezza che essa stessa sia oramai invana. La maggior parte di loro ha trovato rifugio nei paesi confinanti, secondo l’Onu oltre 3,5 milioni vivono in Turchia, circa 1,5 milioni in Libano e oltre 700mila in Giordania. La fuga verso l’Europa ha coinvolto principalmente paesi come la Germania e la Svezia, con oltre 1 milione di rifugiati siriani, arrivati principalmente attraverso la rotta balcanica. Comparando il rapporto tra numero di rifugiati e popolazione, è il Libano ad aver accolto la percentuale maggiore di siriani rispetto ad una popolazione locale di circa cinque milioni di abitanti. Con l’aggravarsi della crisi economica iniziata nel 2019, Il Libano vive uno dei peggiori periodi socio-politici della sua storia da Paese indipendente. La convivenza con la forte presenza di rifugiati siriani diviene sempre più complessa e a rischio implosione, considerando le precarie condizioni economiche delle famiglie libanesi e il l’incapacità del sistema Stato di fornire servizi essenziali e, dunque, continuare anche ad elargire aiuti alla comunità siriana di cui, un’ampia percentuale, vive ancora oggi in campi informali; strutture “non permanenti” composte da tende e prefabbricati, nelle aree più rurali del Paese.

Siriani in Libano – La vita sospesa nei campi

Una famiglia di nove persone, una tenda con grandi tappeti rossi stesi all’interno e poca luce che oltrepassa da una finestra ricavata dal lato più esposto al sole. Nel campo informale dei rifugiati siriani di Ghazzeh, nella Valle della Bekaa – nordest del Libano– le conseguenze del collasso economico del Paese lasciano tracce visibili sui volti delle persone. “Sono sei anni che viviamo qui, non abbiamo più elettricità oramai da mesi e l’assistenza in cibo che ricevevamo prima, ora si è ridotta moltissimo”. È Jameel che parla, racconta con voce dal ritmo lentamente scandito la sua seconda vita iniziata dopo la fuga da Hama, città siriana nel centro del Paese. Ha abbandonato la sua casa per portare via dalla guerra sua moglie e i suoi tre figli. Gli altri tre nasceranno, anni dopo, proprio nel Libano che li ha accolti. “Abbiamo sei figli e con noi c’è anche mia madre. È una donna anziana, ha bisogno di cure ed assistenza. Quello che più ci manca in questo momento è cibo a sufficienza, ne riceviamo in aiuto una quantità massima per sei persone, è questo il limite imposto. Tre di noi restano fuori dagli aiuti.”

La crisi dei rifugiati siriani nel Libano che collassa
Foto di Martina Martelloni

La crisi economica del Libano, il crollo del sistema bancario, le proteste di piazza, la penuria di elettricità e di beni di prima necessità. L’inflazione che ogni giorno prende quota e rende inaccessibili prodotti essenziali per la sopravvivenza. Le ultime stime sono l’immagine di un collasso senza precedenti: la povertà è quasi raddoppiata tra il 2019 e il 2021, colpendo l’82 per cento della popolazione durante lo scorso anno. Leggendo i dati diffusi dall’Agenzia per le statistiche del Libano, si evince che a fine luglio del 2022 l’inflazione ha raggiunto il 210 per cento. Il prodotto interno lordo reale è diminuito del 10,5 per cento nel 2021, dopo una contrazione del 21,4 per cento nel 2020. La lira libanese ha perso il 90% del suo valore; la carenza di carburante e di elettricità è altamente dilagata, a tal punto che anche le strutture ospedaliere rischiano la chiusura.

Siriani in Libano – La crisi economica e la povertà che incalza

In un Paese sull’orlo del fallimento, vivere da rifugiati siriani può essere una condanna alla sopravvivenza. Una crisi nella crisi. Il Libano ospita 1,5 milioni di rifugiati siriani, su una popolazione libanese di 6,8 milioni, è il Paese che ospita il maggior numero di rifugiati pro capite. La somma delle problematiche di sussistenza alimentare, medica, legale, trova un ulteriore addendo nella scarsa educazione scolastica. “I miei figli faticano a seguire la scuola, è molto lontana da qui e solo camminando per mezz’ora possono raggiungerla. Il più grande di loro ha 13 anni, ha abbondato gli studi per lavorare e aiutarci economicamente. Dobbiamo pur mangiare, no?”, racconta Jameel. Ha intorno tutta la sua famiglia raccolta. La madre anziana è seduta a terra nell’angolo destro della tenda. Guarda fisso il tappeto che ricopre il terreno sottostante e ascolta le parole del figlio senza nessuna espressione particolare, il volto inerme ma consapevole. Quella donna sa che terminerà gli ultimi anni della sua vita senza poter rivedere mai più la sua terra. “Il governo libanese non è più in grado di aiutarci. Tre dei miei figli sono nati qui, in questo campo. Vivere in queste condizioni è oramai la nostra normalità, qualche giorno fa è andato a fuoco una parte del campo, in pieno giorno. Siamo riusciti a spegnere le fiamme in tempo, ma è questo ciò che rischiamo nel vivere così, con l’inverno sarà anche peggio. Come facciamo a sopravvivere? Come facciamo a sperare?”. Jameel tiene in braccio uno dei figli più piccoli, mentre la moglie abbraccia l’ultimo arrivato che alterna il pianto al riso, non appena una delle sue tre sorelle torna a dargli l’attenzione che chiede. Era la fine del 2019 quando le proteste di massa contro il governo e l’economia in crisi hanno attraversato tutto il paese mediorientale.

La crisi dei rifugiati siriani nel Libano che collassa
Foto di Martina Martelloni

Molti libanesi vedevano in quell’atto di protesta una reale speranza di cambiamento, contro una tassazione che colpiva beni e servizi e contro una corruzione dilagante da anni. Quello che accadde l’anno seguente, però, fu l’inizio di una discesa in una spirale verso il tracollo. Il 4 agosto 2020, migliaia di tonnellate di nitrato di ammonio sono esplose nel porto di Beirut, distruggendo parti della città. L’impatto dell’esplosione ha provocato 218 vittime, migliaia di feriti e causato danni nel raggio di 6 chilometri dall’epicentro, fino a raggiungere strutture distanti fino a 20 chilometri. Sono infatti più di 70,000 gli edifici e appartamenti distrutti e 300,000 le persone sfollate. Il porto di una città è sinonimo di apertura al mondo, di scambio, di economia che circola. Il porto di Beirut è da sempre uno degli hub più importanti e strategici delle rotte commerciali mondiali. La sua esplosione è stata l’inizio di una serie di conseguenze socio-economiche drammatiche e devastanti per una popolazione intera. La ripresa è stata lenta, a tratti sembra non essere mai iniziata del tutto. Chi ha potuto se ne è andato, dando il via ad un esodo di migliaia di cittadini, molti dei quali hanno tentato la fuga con imbarcazioni poco adatte alla traversata e che, a volte, sono naufragate causando quelle vittime in mare che l’Europa conosce bene.

Siriani in Libano – Carenza di cibo, abbandono scolastico e disoccupazione

“Il 97% delle famiglie siriane che assistiamo fatica a procurarsi il cibo”. Riccardo Mioli, capo missione della Ong italiana INTERSOS, trasmette la fatica di chi non riesce a mettere in tavola il cibo necessario senza dover incorrere in debiti o diminuire il numero di pasti giornalieri. Il 97% sta a significare che quasi la totalità dei rifugiati siriani presenti sul territorio, che ad oggi sono circa 1,5 milioni, sta vivendo una crisi alimentare che solo gli aiuti umanitari hanno finora limitato. Ci sono Paesi che più di altri hanno risentito degli effetti della guerra in Ucraina, iniziata lo scorso 24 febbraio. Il Libano è uno di questi, l’80% dei prodotti alimentari viene importato e i principali fornitori sono proprio quei Paesi oggi protagonisti di un conflitto di cui non si vede la fine nel breve termine, Ucraina e Russia. A quasi 11 anni dall’inizio della rivoluzione in Siria e dall’escalation di violenza, il rapporto tra rifugiati siriani e popolazione locale libanese è arrivato alla più alta percentuale al mondo. I campi informali sono quasi tutti a ridosso di terreni agricoli, la maggior parte dei siriani infatti, negli anni, hanno trovato lavoro come braccianti. L’esterno delle “case” è ricoperto da lamiere, legno o altro materiale facilmente infiammabile. Appena si varca la soglia di uno di questi ripari, l’atmosfera è completamente differente. Si viene accolti da luci soffuse, colori accesi dei tappeti stesi a terra, caraffe da thé che scaldano l’aria e un’intimità che contraddistingue ognuna delle famiglie che vi abita. La cura degli interni è la rappresentazione dei ricordi vivi di una terra abbandonata con dolore che eppure resta viva nelle abitudini e nei dettagli.

Siriani in Libano – L’intervento umanitario necessario alla sopravvivenza

Le organizzazioni umanitarie hanno addosso una responsabilità sempre più ardua, mettono toppe su un welfare libanese quasi dissolto e che, a fronte dell’acuirsi della crisi, è affaticato nel dover assistere libanesi, siriani e palestinesi. Dai dati raccolti dagli operatori e operatrici umanitarie INTERSOS, che lavorano in Libano dal 2006, emerge una crescente impossibilità di acquistare cibo per le famiglie siriane. Su 1.467 individui di età pari o superiore ai 15 anni, 1237 individui (84%), non hanno la residenza legale. La ragione principale spiegata dai rifugiati è la mancanza di mezzi finanziari per affrontare la procedura di richiesta. 44 famiglie su 516 (9%) hanno dichiarato che i loro figli sono impegnati nel lavoro minorile. Molti bambini e bambine siriane lavorano per sostenere i genitori, il cui reddito è insufficiente per far vivere l’intera famiglia. I bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni, maschi e femmine, lavorano tutto il giorno invece di frequentare la scuola. La maggior parte di loro svolge mansioni nell’edilizia, nell’agricoltura, nei negozi di alimentari, nelle consegne a domicilio. Altri ancora, i meno fortunati (se questa può essere definita fortuna) vendono fazzoletti e fiori per strada, raccolgono plastica e metallo dalla spazzatura per poi rivenderli alla gente. I bambini e le bambine siriane stanno perdendo il loro diritto all’istruzione. L’82% dei siriani ha ridotto il numero dei pasti consumati al giorno.

La crisi dei rifugiati siriani nel Libano che collassa
Foto di Martina Martelloni

Riccardo Mioli racconta come la situazione economica sta avendo un impatto enorme sulla comunità dei rifugiati presenti in Libano: “C’è sempre un maggior numero crescente di cittadini libanesi in grande difficoltà per via dell’iperinflazione, svalutazione della valuta locale che porta gran parte della comunità libanese in sofferenza e questo si estende anche su diversi servizi pubblici che stanno via via scomparendo a sostegno di chi ne ha bisogno, come i siriani. L’elettricità fornita dal governo non c’è più, chi può usufruisce di quella di privati ma i cui costi sono elevatissimi, mancano i servizi idrici come l’accesso all’acqua potabile così come anche l’educazione. Il sistema scolastico pubblico è in grande difficoltà, gli insegnanti continuano a ricevere lo stesso stipendio di due anni fa, con una moneta che oramai non ha più valore, si stima che recepiscano circa 100 euro al mese. La paura più grande è quella che potrebbe mettere le comunità le une contro le altre. “Rischio di una guerra tra poveri? Si, è un rischio reale”, conferma Mioli, “la crisi sta già avendo un impatto sulle già presenti tensioni tra comunità locale e quella dei rifugiati. Prima del collasso economico c’era una comprensione e solidarietà per via delle motivazioni che hanno costretto migliaia di famiglie siriane ad abbandonare la loro terra, oggi questa motivazione sta vacillando.” La maggior parte delle famiglie ha riferito di iniziare a soffrire di sintomi di salute, tra le motivazioni principali emerge quella del deterioramento socio-economico libanese. Lo stress, la paura di non farcela, il non riuscire a dormire e la perdita di ogni speranza per un futuro diverso. Sono soprattutto i più piccoli a farsi carico di un peso emotivo che non dovrebbero avere.

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