Il 25 settembre è alle porte: la prima campagna elettorale balneare della storia italiana sta per concludersi. Dalla caduta di luglio del governo di larghe intese presieduto da Mario Draghi, i partiti si sono affrettati a presentare le liste e i programmi. I tempi strettissimi (poco più di due mesi) hanno reso la situazione febbrile, tra candidature contestate, proposte elaborate in fretta e furia e un taglio dei parlamentari che ha generato non poche faide interne. Ora, però, il traguardo delle urne è vicino. Tocca agli italiani decidere la composizione del prossimo Parlamento in misura ridotta; poi, la palla passerà a Sergio Mattarella. Il Presidente della Repubblica, tramite le consultazioni, sceglierà il (o, più probabilmente, “la”) nuovo inquilino di Palazzo Chigi. Gli elettori sono chiamati a scegliere tra molte coalizioni, ma soprattutto tra molte “idee”, diversissime tra loro, su quale sarà il futuro del Bel Paese.
Il “destracentro”: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia (e Noi moderati)
L’inversione dei termini, nella coalizione tradizionalmente chiamata centrodestra, non è casuale. In cima ai sondaggi c’è Fratelli d’Italia e la sua condottiera, Giorgia Meloni. La formazione è l’unico partito che ha occupato gli scranni dell’opposizione durante tutti i governi della passata legislatura. Ora, è tempo di riscuotere questo credito di coerenza e credibilità con il primo posto quasi sicuro nel cuore degli elettori. La Lega di Matteo Salvini, invece, rischia grosso. Ai suoi elettori tradizionali non piace la segreteria del fu ministro degli Interni, troppo poco attenta ai problemi del nord. A chi si è avvicinato di recente alle gesta del Capitano non è piaciuta l’adesione al governo di larghe intese, in cui il partito di via Bellerio si è trovato spesso in posizione di minoranza e incapace di dettare la linea. Per quanto riguarda Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi pare destinato a un forte ridimensionamento rispetto ai numeri del 2018, con molti dei fedelissimi scappati tra le braccia di Carlo Calenda. Il Cavaliere, però, non molla e tenta la rimonta sui social. Nei piani della coalizione, i partiti sembrano d’accordo su una riforma della Costituzione in senso presidenzialista, con buona pace di Mattarella. L’elezione del Presidente della Repubblica diventerebbe diretta: chi vota il destracentro, in poche parole, vuole una divisione dei poteri più simile a Francia e Stati Uniti. Idea condivisa è anche l’aumento delle pensioni minime, pur con diverse sfumature, e l’inserimento di un regime di tassazione ad aliquota unica detto “Flat tax”. Conscia delle elevate possibilità di essere la prima presidente del Consiglio donna della Storia italiana, nel corso della campagna elettorale Giorgia Meloni ha cercato di riposizionare il suo partito verso il centro, pur rimanendo fedele ai suoi capisaldi storici. Se da una parte sono rimasti l’avversione (talvolta goffa, vedi alla voce “Peppa Pig”) alla “teoria gender”, un certo amore per l’ordine costituito (come nel caso delle “devianze giovanili”), la lotta con ogni mezzo ai migranti (con il sempreverde “blocco navale”) e il patriottismo a ogni costo, a questi si sono aggiunti il sostegno incondizionato alla resistenza Ucraina contro la Russia e l’adesione ai valori della Nato.
Punto forte del programma anche l’abolizione del discusso Reddito di Cittadinanza (che verrebbe sostituito da politiche attive del lavoro) e la scelta di appoggiare i rigassificatori. La fiducia in Salvini sul pianeta Lega non è molta. Per recuperarla, il segretario si affida soprattutto alla fede. Via il fortunato “#prima gli italiani”, largo a “#Credo”, un riferimento al mondo della religione tanto caro al Capitano. Quota 41: la Lega si pone in netto contrasto rispetto al sistema pensionistico inaugurato nella stagione di Elsa Fornero e propone la fine del lavoro dopo 41 anni di contributi. Una misura molto costosa, per lo Stato e dalle coperture incerte. Per risolvere la crisi energetica, la ricetta è spingere sul nucleare: una scelta lungimirante, ma i tempi di realizzazione delle centrali (oltre a un pesante referendum con cui gli italiani hanno detto “no”) rendono la misura poco efficace. Trovano posto nel programma altri classici come la restaurazione dei Decreti sicurezza, la Flat Tax (con aliquota unica al 15%) e la delocalizzazione di alcuni ministeri in luoghi strategici. Conscio del tempo che passa inesorabile, Berlusconi ha avviato la campagna elettorale puntando forte sui suoi elettori di riferimento: gli anziani. Pensioni minime a 1000 euro per “le nostre mamme e le nostre nonne”, dentiere gratis e via dicendo. Poi, un milione di alberi (ma il Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, ne prevede 6), stage a 1000 euro per i giovani e Flat Tax (più realistica di quella proposta da Salvini, al 23%). Sul piano energetico, anche Forza Italia si è detta favorevole al nucleare e ai rigassificatori, mentre sul posizionamento del governo il Cavaliere garantisce per i suoi alleati: “La nostra coalizione non ha nulla a che fare con gli estremisti”.
L’alleanza di centrosinistra: Partito Democratico, Verdi-Sinistra e altri (+Europa e Impegno civico)
Il sogno del segretario Enrico Letta di una coalizione che andasse dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte ad Azione di Carlo Calenda si è sbriciolato di fronte alla scelta del frontman grillino di far cadere il governo Draghi e all’incompatibilità della proposta politica di quello che oggi è il Terzo polo con quella della sinistra ultraecologista. Il Pd si presenta alle urne affiancato dalle formazioni di Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Emma Bonino e Luigi Di Maio. Tra tutti gli scenari di coalizione possibili, forse quello elettoralmente più fragile. E, anche se il miracoloso sorpasso riuscisse, Letta ha già fatto sapere di non voler governare insieme a molti dei suoi alleati. Il Pd ha governato 9 degli ultimi 11 anni. E vuole continuare a farlo seguendo le idee di sempre: sì ai diritti (ddl Zan e Ius Scholae su tutti), sì al sostegno alle famiglie, ai giovani e alle donne, sì alla “difesa della Costituzione” dalle possibili revisioni delle destre. La campagna elettorale di Letta si può riassumere con “Noi, loro, gli altri: scegli (noi)”. Se in una prima fase lo slogan dominante era “vincono le idee” e la faccia del segretario neanche compariva, da metà agosto si è puntato forte su messaggi divisivi (e semplicistici) da una parte e sul voto utile dall’altra.
La maggior parte degli interventi di Letta sono stati indirizzati contro il pericolo delle destre come male assoluto: Meloni è stata dipinta come una minaccia per la democrazia e si è parlato molto di più di “perché non votare gli altri” rispetto al “perché votare noi”. Tante anche le polemiche contro l’alleato di due giorni Calenda, definito da più voci del partito “il miglior alleato della destra”. Nel programma, una revisione del sistema di tassazione legato all’aliquota Irpef, stop agli stage gratuiti, revisione del reddito di cittadinanza, un piano straordinario per l’occupazione femminile e (soprattutto) l’implementazione della direttiva europea che prevede un salario minimo per tutti. Da sempre alfieri del “no Draghi” e del no alla Nato e per questo in parte invisi a Letta, il tandem Verdi-Sinistra Italiana punta a un buon risultato alle urne per ridare forza a una sinistra sempre meno presente negli scranni del Parlamento. A riprova della scommessa, Bonelli e Fratoianni hanno scelto due volti della società civile noti per le loro battaglie: l’attivista Ilaria Cucchi e il sindacalista Aboubakar Soumahoro. Salario minimo a 10 euro l’ora, reddito di cittadinanza rafforzato, difesa dei lavoratori, no ai rigassificatori, no agli inceneritori, mai più nucleare: queste le ricette anti-crisi proposte dall’alleanza “cocomero”. A sorprendere, però, una certa vicinanza con alcune proposte del centrodestra: sì a Quota41, sì alle pensioni minime almeno a mille euro.
La rimonta del Meridione: il Movimento 5 stelle corre da solo
Reddito di cittadinanza. Tre parole che per Conte sono diventate il mantra elettorale su cui basare una rimonta che a inizio campagna pareva insperata, ma che potrebbe concretizzarsi grazie all’enorme popolarità di cui gode nel Mezzogiorno. Il Sud è stato al centro delle attenzioni dell’ex presidente del Consiglio, ben consapevole del sollievo che questa misura ha portato in numerosi nuclei familiari della zona. Quindi, la proposta è potenziarlo: altro che revisione in senso restrittivo, bisogna rendere lo strumento ancora più ricco di tutele. Nonostante il Superbonus edilizio per il governo fosse una misura da abolire, per il M5S è una delle bandiere elettorali, a cui affiancare un ennesimo bonus per le imprese legato al settore energetico. Poi, proposti una riforma della sanità pubblica in senso statalista, il superamento della Legge Fornero con un ampliamento della categoria dei “lavori pesanti” e un salario minimo da almeno 9 euro l’ora.
La strana coppia Renzi-Calenda: il Terzo Polo
Prima con Letta, poi da solo, poi con Renzi. L’inizio della campagna elettorale di Carlo Calenda è stato un parkour di alleanze prese e disconosciute nel giro di 48 ore, prima di arrivare al definitivo assetto che oggi si presenta alle urne come Terzo polo. L’ex presidente del Consiglio, conscio della sua impopolarità, ha preferito fare un passo di lato e lasciare il proscenio al segretario di Azione, mentre dalle retrovie lavorava per costruire una rete di consenso e candidature funzionali allo scopo. Ottenuto il ruolo di frontrunner, Calenda ha dato il meglio di sé e ha riempito Twitter di polemiche, litigi e proposte politiche in egual misura. L’operazione di travaso di consensi da parte della destra del Pd e dalla sinistra di Forza Italia ha fruttato qualche punto percentuale che potrebbe risultare decisivo nella quota proporzionale, mentre tra i nomi di primo piano spiccano le due ministre Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, strappate a Berlusconi in seguito al suo strappo con il governo Draghi. Governo Draghi nel cui segno è stata portata avanti tutta la campagna elettorale: sì alla sua agenda e sì a un suo secondo mandato. Punti forti del programma del Terzo polo sono il nucleare, aliquote irpef agevolate per i giovani e sgravi contributivi, sì al rigassificatore di Piombino e revisione del reddito di cittadinanza.
I possibili outsider: Unione popolare con De Magistris e Italexit con Paragone
Alla sinistra dell’alleanza di centrosinistra sgomita per farsi largo Unione popolare, il cui candidato di punta è l’ex magistrato ed ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Forti dell’endorsement del leader della sinistra francese Jean-Luc Mélenchon e del sostegno delle formazioni extraparlamentari di Potere al popolo e Rifondazione comunista, la loro presenza alle urne potrebbe fare brutti scherzi a Bonelli e Fratoianni e convincere qualche astenuto di lungo corso a dare sostegno al progetto. Con buona pace di Italia sovrana e popolare, sempre della stessa area politica (e rappresentata da un altro ex magistrato, Antonio Ingroia, e dal veterocomunista Marco Rizzo) che pare destinata a un ruolo marginale. Per uscire dalla crisi, De Magistris propone libri gratis per tutti gli studenti, potenziamento del reddito di cittadinanza, pensioni a 60 anni (o Quota35), via dalla Nato e stop al sostegno dell’Ucraina.
Dall’altro lato del compasso politico c’è Italexit, il progetto antisistema capeggiato dal senatore uscente Gianluigi Paragone. L’ex M5S, dalla sua espulsione del 2020, si è riposizionato sull’euroscetticismo e su posizioni in contrasto con il governo e quello che viene definito “pensiero unico”, arruolando nelle liste della sua formazione una sorta di all-star team di complottisti, scettici del Covid, no green pass e sostenitori dell’uscita dell’Italia dall’Unione europea e dalla Nato. Tutte queste idee sono caposaldi del programma elettorale di Italexit, che si pone l’obiettivo di invertire in modo deciso la rotta tracciata dal governo uscente. L’idea forse più peculiare, però, riguarda il contrasto all’immigrazione clandestina. No ai decreti sicurezza; il blocco navale? Non basta. Pronta, nei piani di Paragone, una missione miliare-umanitaria multilaterale in Africa per bloccare il fenomeno “a casa loro”.