La caduta di Kabul, tre anni dopo

Tra violazione dei diritti umani e una dilagante fame, l’Afghanistan dei Talebani è allo stremo

Cadeva Kabul e tutto il mondo, cullato dalle ferie estive, guardava incredulo alla televisione la disperazione degli afghani per il ritorno dei Talebani. Era il 15 agosto 2021, per la prima volta dopo vent’anni l’incubo che sembrava ormai finito si era ripresentato più doloroso che mai. L’incapacità (o l’indifferenza) occidentale di fronte a questa catastrofe ha fatto precipitare l’Afghanistan a un’epoca che sembrava destinata a non tornare più.

Tre anni fa la caduta di Kabul
15 agosto 2021, il ritorno dei Talebani (foto LaPresse) – ilMillimetro.it

A tre anni di distanza le condizioni della popolazione afghana sono precipitate nel disastro. Una situazione economica all’estremo e la costante violazione dei diritti umani hanno portato l’Afghanistan a diventare il grande dimenticato del mondo.

Il 15 agosto, giorno della catastrofe

Con la caduta di Kabul si intende la presa della capitale da parte dei Talebani. Si tratta della seconda caduta della città: la prima è avvenuta nel 2001 durante la guerra in Afghanistan che vedeva schierati gli Stati Uniti e l’Alleanza del Nord contro i Talebani. Una caduta storica che ha liberato l’Afghanistan da un regime medioevale. La seconda caduta è arrivata dopo mesi di combattimenti e offensive militari da parte delle forze talebane. Con il ritiro delle forze Nato, da maggio 2021 molte delle capitali regionali sono state conquistate e occupate dai Talebani fino ad arrivare al 15 agosto, giorno in cui viene decretata la fine del governo del presidente Ashraf Ghani e il ritorno del regime talebano.

Il ritorno dei Talebani dopo oltre vent'anni
La fuga del popolo afghano nel giorno della caduta di Kabul (foto LaPresse) – ilMillimetro.it

Quel 15 agosto di tre anni fa, in pochi si sarebbero aspettati un crollo ti tale portata. I Talebani erano arrivati fino alle porte della città, avanzando nelle aree urbane e periferiche liberando prigioni come quella di Pul-e Charkhi, dove erano detenuti membri di al-Qaeda e dello Stato Islamico. La presa di Kabul è avvenuta senza spargimenti di sangue. Il presidente Ashraf Ghani ha rinunciato al potere e lo ha consegnato ai Talebani, fuggendo negli Emirati Arabi Uniti. Il popolo afghano da quel momento è stato abbandonato a un destino incerto, a un gruppo fondamentalista che si è macchiato di crimini contro l’umanità e all’isolazionismo internazionale.

Un popolo terrorizzato che ricorderemo per sempre attraverso le immagini e i filmati che hanno tenuto col fiato sospeso tutto il mondo. Collaboratori, traduttori, artisti, giornalisti e molti altri afghani si sono ammassati all’allora Aeroporto Internazionale Hamid Karzaidi di Kabul dove le truppe internazionali stavano evacuando personale diplomatico e la stampa. Tutti con l’obiettivo di fuggire e farsi aiutare da una comunità internazionale che era presente sul territorio da vent’anni ma che non è riuscita a debellare la forza talebana e a proteggere i civili. Il grande fallimento dell’Occidente, quello afghano, che ha segnato per sempre un prima e un dopo. La fragilità di un’operazione durata un ventennio che in un giorno è caduta frantumandosi.

L’evacuazione è iniziata qualche giorno prima, dopo la caduta di Herat il 12 agosto e proseguita il 13 con le prime esfiltrazioni di collaboratori afghani e personale diplomatico e militare. Dal 15 agosto fino alla fine del mese è partita una corsa contro il tempo per scappare da un Paese e da una Kabul ormai al capolinea. Vivide sono ancora le immagini di decine di migliaia di afghani ammassati lungo i muri dell’aeroporto, di quelli che in preda al panico sono montati sulle ali dei cargo internazionali e sono precipitati nel vuoto, dei bambini che venivano lanciati oltre i muri e presi dai militari americani, di corpi che giacevano al suolo soffocati dalla massa. L’estenuante corsa contro il tempo per fuggire dalla furia nera talebana che dopo tre anni sta mostrando il suo volto.

Un’economia a crescita zero

Qual è il bilancio di un Afghanistan lasciato isolato e solo al suo destino? Dopo tre anni i numeri, così come le testimonianze e le inchieste, dimostrano che le promesse dei Talebani di instaurare un regime tollerante sono state completamente tradite. Al popolo afghano manca tutto e la sofferenza parte dalla fame. L’economia afghana è stata sempre debole. Uscire da decenni di isolazionismo e altrettanti di guerra non ha aiutato le casse afghane.

Con il ritorno dei Talebani è sparita l'economia
Dal 15 agosto 2001, l’economia è precipitata (foto LaPresse) – ilMillimetro.it

Dall’agosto 2021 è tutto crollato. I finanziamenti esteri, su cui l’economia si poggiava, sono venuti a mancare e ai Talebani è rimasto l’arduo compito di far rimanere a galla uno Stato già di per sé al collasso. Le risorse interne sono insufficienti e le sanzioni internazionali rendono impossibile garantire il minimo per la sopravvivenza. L’Afghanistan si deve reggere sulle sole forze del governo talebano e di un minimo di aiuti cinesi, russi e qualche donatore indipendente dei Paesi del Golfo che però non colmano l’enorme vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Inoltre le sanzioni di Washington rendono impossibile agli altri finanziatori fornire qualcosa che non siano aiuti umanitari.

La Cina ha chiarito che non intende sostenere in toto il regime ma solo stringerci degli accordi economici. Il Pakistan, grande alleato e rifugio dei Talebani, ha un’economia precaria che non gli consente di fornire all’Afghanistan ciò di cui necessita. Nessuno di questi Paesi ha inoltre riconosciuto il nuovo governo. La transizione dalla guerra al regime obbliga quindi i Talebani a cavarsela da soli. Solo a patto di rispettare i diritti umani e creare un governo più laico possibile, la comunità internazionale potrebbe fornire aiuti esterni. I Talebani però si sono sempre rifiutati di cambiare linea anche quando la siccità ha colpito violentemente parti del Paese facendo dilagare la fame.

L’Afghanistan si regge prevalentemente sull’agricoltura di cui si occupa la maggior parte della popolazione. I prodotti principali sono la frutta, il grano, la lana e l’oppio. Quest’ultimo è uno dei prodotti più importanti per la sopravvivenza dell’economia del Paese. Malgrado sia una droga, con l’arrivo dei Talebani, la sua produzione è aumentata del 36%. Le poche industrie presenti producono tessili, mobili, vestiario e scarpe così come prodotti alimentari e acqua. Esistono anche materie prime come gas naturale e carbone e prima del 2021 le industrie hanno intensificato l’estrazione di litio, ferro, niobio e rame. L’industria è stata largamente penalizzata dall’interruzione dei rapporti con la comunità internazionale.

Il deficit commerciale resta al 31% del Pil. Quest’ultimo è sceso del 3% circa e registra il più basso reddito pro capite al mondo. Secondo la Banca Mondiale, la crescita sarà pari a zero per i prossimi tre anni e il reddito pro capite cadrà sotto la pressione demografica. L’Afghanistan, ricco di minerali, ha anche un grande potenziale agricolo, ma soffre della fuga dei cervelli, della mancanza di infrastrutture, di competenze e di finanziamenti stranieri.

Le famiglie sono sempre più povere e questo le ha portate a riconsiderare il lavoro minorile come soluzione alla fame. Almeno 25 di 41 milioni di afghani vive sotto la soglia di povertà e dipendono dagli aiuti umanitari che però sono drasticamente diminuiti dal 2021. I prezzi dei generi alimentari sono aumentati a dismisura. Gli aiuti umanitari sono crollati e un terzo dei 45 milioni di afghani sopravvive con pane e tè, mentre la disoccupazione è massiccia. Una situazione aggravata dall’impossibilità di una fetta della popolazione di lavorare. Le donne.

Una prigione tutta al femminile

Ventotto milioni di donne hanno visto i loro diritti sfumare drasticamente. Le autorità talebane hanno introdotto più di 50 decreti che limitano direttamente i diritti e la dignità delle donne. Sono divieti che limitano tutto. Divieto di uso di cosmetici, divieto di parlare con gli uomini al di fuori della sfera privata, divieto di ridere ad alta voce, divieto di andare in taxi senza un tutore, divieto di praticare sport, divieto di apparire in televisione, divieto di indossare colori vivaci, obbligo di indossare il burqa. È stata ripristinata la lapidazione pubblica per le donne accusate di adulterio e le punizioni carnali come le frustate.

Con il ritorno dei Talebani è sparita l'economia
In Afghanistan le donne non hanno diritti (foto LaPresse) – ilMillimetro.it

Alle ragazze di età superiore ai dodici anni è vietata l’istruzione. Le studentesse sono state espulse dalle università e la maggior parte delle donne non può più lavorare, facendo sprofondare innumerevoli famiglie nella povertà. Le donne sono escluse dalle competizioni sportive e non sono più libere di andare e venire senza un tutore. I saloni di bellezza, l’ultimo luogo in cui potevano riunirsi per sostenersi a vicenda, sono stati tutti chiusi.

Secondo le testimonianze di 745 donne afghane che hanno partecipato all’ultima indagine di Un Women, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), le forze di polizia hanno aumentato le molestie negli spazi pubblici e limitato ulteriormente la possibilità delle donne di uscire di casa. Le donne temono arresti, molestie e punizioni ogni volta che viene annunciato un nuovo decreto talebano.

Nella sfera privata si presenta il peggio. Molte delle donne che prima del 2021 avevano divorziato o si erano allontanate dal nucleo familiare sono state portate indietro e sono finite nuovamente dietro le sbarre delle proprie abitazioni, puntualmente aggredite e violentate.

Le restrizioni al movimento e alla libertà di lavoro delle donne ostacolano il loro accesso ai servizi sanitari. Il divieto di istruzione per donne e ragazze ha bloccato quasi tutti i corsi di formazione per i futuri professionisti della salute nel Paese, determinando una carenza di operatori sanitari di sesso femminile nel prossimo futuro. Tanto più che i Talebani hanno anche imposto che solo le donne possano assistere le donne nelle loro case riguardo ai loro bisogni e a quelli dei loro figli. Le ONG sono a corto di donne per questi compiti e questo ostacola l’organizzazione umanitaria.

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