Ittiosi Arlecchino, la storia di Carlotta

La sveglia inizia a suonare molto presto in casa, perché le cose da fare sono tante per una bambina di appena un anno che ha bisogno di cure attente e meticolose. Carlotta ha festeggiato il suo primo compleanno lo scorso 6 giugno, la festa in casa è stata grande e partecipata, forse in una maniera ancora più viva e sentita della media di tutti i compleanni dei bambini al primo anno di vita. Alessandra e Francesco sono arrivati con tenacia e fatica a questa data, con l’incertezza costante del quotidiano e le paure che, da genitori, hanno sentito pesargli addosso, tenendo tra le mani una nuova persona da curare e far crescere. Carlotta è uno dei tre soli casi documentati in Italia di bambini affetti da ittiosi Arlecchino. “Quando è nata non avevamo idea di cosa ci aspettasse”, racconta la mamma Alessandra, “ho partorito al settimo mese di gravidanza, i medici non riuscivano a dirmi, subito dopo il parto, cosa avesse mia figlia. Lo hanno detto al mio compagno, dicendogli anche che Carlotta rischiava di non superare le prime sei ore di vita. E invece, eccoci qui tutti e tre insieme”. L’ittiosi Arlecchino è una malattia genetica rara, appartiene al gruppo delle ittiosi, caratterizzate dalla forte tendenza alla desquamazione cutanea generalizzata. Questo suo nome risale al 1808, quando venne usato per la prima volta da Robert Willan, deriva dal greco “Iχτυς” – che significa letteralmente “pesce” –, e lo scopo era proprio quello di associare l’aspetto squamoso con cui si presenta la cute dei pazienti affetti. Dal punto di vista clinico, tali patologie sono caratterizzate da un difetto della corneificazione, ossia del processo di formazione e distacco delle cellule dello strato corneo (strato più superficiale della cute) e talvolta si associano a disturbi anche extra-cutanei. Spesso, alla secchezza cutanea, può aggiungersi un’infiammazione di grado variabile che si manifesta con una “eritrodermia”, che indica un arrossamento acuto della pelle. Le ittiosi, in generale, si dividono in sindromiche (X-linked e ittiosi autosomiche con prevalenti anomalie dei capelli, segni neurologici, a decorso fatale, con altri segni associati) e non sindromiche (ittiosi volgare e recessiva X-linked; ittiosi autosomiche recessive congenite; ittiosi Arlecchino, ittiosi lamellare; eritrodermia congenita ittiosiforme e altre varianti; ittiosi cheratinopatiche).

Ittiosi Arlecchino, la storia di Carlotta – La forma più rara

La storia di Carlotta non è solo la storia di una malattia genetica rara che colpisce una bambina così piccola, è anche una storia che racconta di come la ricerca medica non sia mai abbastanza nel riuscire a dare risposte e soluzioni. Quello che i medici dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma si sono trovati ad affrontare è stato un elenco di interrogativi su come trattare un caso di tale complessità. Questo perché, ad oggi, il percorso diagnostico è molto complesso e rilevare già in gravidanza la possibilità che il futuro nascituro sia affetto da tale patologia risulta ancora una prassi poco usata e di difficile analisi, considerando anche la mancata disponibilità dei test diagnostici in tutti i centri ospedalieri e/o universitari. I primi mesi di vita di Carlotta sono stati appesi a un filo, la piccola è stata ricoverata prima in terapia intensiva e poi semi-intensiva per un totale di tre mesi. “Carlotta è nata senza difese immunitarie e il suo rischio maggiore era quello di contrarre un’infezione mortale. Sono stati giorni e notti infinite, io e Francesco ne siamo usciti esausti”. Alessandra utilizza parole accurate e puntuali per raccontare quel periodo di vita dove il “non sapere” era più forte di ogni altra certezza. Insieme al suo compagno, sono stati seguiti da una psicologa dell’ospedale per affrontare, con tutta la lucidità possibile e plausibile in momenti simili, ciò che stava accadendo loro e alla loro Carlotta: “Abbiamo avuto la fortuna di avere la psicologa vicino, con cui ci vedevamo almeno una volta a settimana, i medici erano attentissimi al linguaggio e cercavano di non creare su di noi speranze vane o illusioni. Non scorderò mai una frase che ci venne detta durante il ricovero di Carlotta: la bambina è stabile nella sua criticità”.

Ittiosi Arlecchino, la storia di Carlotta
Foto di Martina Martelloni

La malattia dell’ittiosi Arlecchino non si ferma solo a una disfunzione cutanea, la gravità della patologia si manifesta sin da subito con un’elevata mortalità immediatamente dopo la nascita, perché comporta una grave disregolazione della temperatura, problemi alimentari, infezioni e disturbi respiratori. Coloro che sopravvivono, crescono come bambini e bambine con un’attesa di vita normale, anche se possono sviluppare altre problematiche, come disturbi alla vista e ritardo nello sviluppo motorio e sociale. Come ogni mattina, Alessandra e Francesco fanno il bagnetto a Carlotta, un lungo lavaggio che può arrivare a durare anche 40 minuti, occorre ripulire la pelle dagli strati in più che si sono formati durante la notte e che tendono a seccarsi col passare delle ore. Il passaggio successivo è l’emulsione delle creme, quella per il corpo e per il viso, una fase che richiede circa mezz’ora di scrupolosa cura. “Per noi ogni giorno è così, dobbiamo calcolare i tempi per ogni attività, il lavaggio, la terapia delle creme, il collirio per gli occhi perché, non avendo le palpebre, c’è bisogno di idratare continuamente la zona oculare. Poi passiamo alle orecchie, con pulizia e gocce interne. Facciamo questo tutte le mattine, prima che Carlotta inizi la terapia con la neuropsichiatra domiciliare”.

Ittiosi Arlecchino, la storia di Carlotta – I diversi approcci regionali causano diversità di trattamento

L’ignoto di chi affronta questa malattia risiede anche negli stessi ostacoli che spesso si incontrano chiedendo aiuto al sistema sanitario regionale. Come denuncia Rita De Marco, presidente dell’associazione UNITIUnione Italiana Ittiosi –, l’interesse è minore perché: “Questa malattia vale meno a livello economico, le cure sono per pochissime persone e dunque c’è meno mercato, è meno remunerativo”. Le cure basilari per i pazienti affetti da ittiosi sono le creme: “Le nostre sono cure perlopiù palliative ma non vengono ancora riconosciute dal sistema sanitario di tutte le Regioni. Ogni paziente ha il suo trattamento specifico e anche le normative locali sono differenti. Le creme, che sono essenziali per noi perché curano la nostra pelle e ne facciamo un uso costante, non ci vengono passate dalla farmacia”. Secondo la normativa vigente, sono inserite negli extra-LEA regionali e questo fa sì che sia demandato tutto alle Regioni stesse, che decidono se inserirle o meno nei piani di cura sovvenzionati. Con il DPCM – Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – del 12 gennaio 2017, infatti, nella “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza” si evince che le persone affette dalle malattie rare, indicate nell’allegato 7 del decreto stesso, hanno diritto all’esenzione dalla partecipazione al costo delle correlate prestazioni di assistenza sanitaria. Rimangono però esclusi farmaci in fascia C, come integratori, medicazioni e altro. Questi prodotti, non rimborsabili dal SSNil Sistema Sanitario Nazionale –, e dunque a totale carico degli assistiti, molto spesso, sono prescritti anche a carico delle persone affette da patologia rara. In un mondo ideale le persone affette da ittiosi, che hanno un codice di esenzione, essendo questa una malattia rara, dovrebbero ottenere ogni tipo di cura e assistenza gratuitamente, inclusi i trattamenti.

Ittiosi Arlecchino, la storia di Carlotta
Foto di Martina Martelloni

Eppure, le differenti linee guida regionali implicano che ci siano delle Regioni che non garantiscono tutti i prodotti, questo perché il Ministero della Salute ha stabilito che a poter garantire i cosiddetti “extra-LEA” sono solo le Regioni che si trovano in condizioni di equilibrio finanziario, il che escluderebbe diverse regioni italiane nel fornirli gratuitamente, pur essendo trattamenti importanti. “La nostra associazione è nata nel 2003, volevamo creare una rete, una comunità che andasse a colmare quel vuoto e quella solitudine che molti di noi hanno avvertito per anni. Il non avere mai tutte le informazioni e rassicurazioni mediche, la poca conoscenza di altri casi sul territorio italiano, l’emarginazione sociale e la tendenza all’isolamento. Bisognava uscire allo scoperto e UNITI ha consentito a tante persone di avvicinarsi a noi ed entrare a far parte di una rete di persone”. La presidente De Marco racconta delle tante campagne di sensibilizzazione e comunicazione sul tema che sono state fatte in dieci anni, i passi avanti nell’informare l’opinione pubblica, il combattere i pregiudizi e gli stereotipi, il portare avanti battaglie anche legali, come quella avviata nel 2020, con la presentazione di un’istanza sulla possibilità di avere accesso gratis ai trattamenti. “Ad oggi ancora nessuna risposta, ma questo non ci fermerà”, afferma De Marco. Per Carlotta, le cure dei suoi genitori sono affiancate da quelle dell’assistenza domiciliare, che ogni giorno la segue nel suo percorso riabilitativo. “Siamo stati fortunati, viviamo in un municipio di Roma che ci ha garantito un supporto che altre famiglie non hanno. Carlotta ha un anno ma dimostra pochi mesi, il suo piccolo corpicino ha bisogno di imparare i movimenti e, per farlo, ogni giorno è seguita da una neuropsichiatra”.

Ittiosi Arlecchino, la storia di Carlotta – Integrare cure sanitarie a interventi sociali

L’assistenza domiciliare gratuita è il risultato di un lavoro di concerto tra la ASL locale e il Polo Riabilitativo Nuova SAIR, che si trova nel quartiere di Torpignattara. Si tratta di un centro pubblico per l’erogazione di trattamenti riabilitativi a persone con disabilità, in regime ambulatoriale, semi-residenziale e domiciliare. Avere accesso gratuito alle cure, in un’area complessa e ad alta popolosità come quella del quadrante est di Roma, è un segnale importante che mira alla salute di tutta la collettività. Il Polo della Nuova SAIR appartiene alla categoria delle strutture ex articolo 26 della Regione Lazio, che sono così presentate dal D.C.A. 485/15 regionale: I centri ambulatoriali di riabilitazione ex art. 26 legge 833/78 erogano trattamenti volti a consentire il recupero e la rieducazione funzionale e/o il mantenimento delle abilità acquisite a persone con disabilità complessa fisica, psichica, sensoriale o mista, spesso multipla, con possibili esiti permanenti”. Enrica Battisti, responsabile dei rapporti istituzionali della Nuova SAIR, considera il loro un lavoro “per la comunità”.

Ittiosi Arlecchino, la storia di Carlotta
Foto di Martina Martelloni

Le funzioni svolte sono dirette a persone con handicap gravi, autismo, che vengono seguiti con servizi semi-residenziali e accessi quotidiani alla struttura, a questo si aggiunge l’assistenza domiciliare con la quale è stata presa in carico Carlotta. “Il nostro vuole essere un percorso completo, dove l’approccio è multidisciplinare e coinvolge specialisti della neuropsichiatria, logopedia, psicologia e fisioterapia”, spiega Battisti, “Noi siamo il prolungamento delle ASL, strutture convenzionate che intervengono lì dove l’assistenza locale sanitaria fatica ad arrivare, per via delle tante richieste di utenze”. Secondo Annarita Bellantoni, neuropsicomotricista e coordinatrice del servizio di riabilitazione domiciliare, il servizio in questione “prende in carico una tipologia di pazienti più fragili, all’incirca sono 140 quelli seguiti oggi, di cui 50 minori. Ricordo quando ci venne segnalato il caso di Carlotta dalla ASL di zona, incontrai il papà e prendemmo subito in carico le cure della piccola. L’intervento domiciliare garantisce una maggiore protezione, la bambina si trova già all’interno delle mura domestiche, con i suoi genitori e i nostri terapisti la seguono costantemente”.

Ittiosi Arlecchino, la storia di Carlotta – Il percorso psicologico per il paziente e per i familiari

Il sostegno psicologico alla famiglia del paziente è una componente irrinunciabile. Quando si ammala un componente, si ammalano tutti. Alessandra e Francesco non nascondono le difficoltà affrontate, i giorni bui, le forze fisiche e mentali che hanno sentito crollare. “Non sempre abbiamo la capacità di reagire, ci alterniamo e supportiamo a vicenda. Stiamo ancora imparando, cercando di capire come andare avanti e come crescere Carlotta con tutte le sue problematicità. La stanchezza mentale spesso mi assale, poco dopo però cerco di farmi tornare il sorriso, succede appena penso che non sono l’unica ad avere una figlia con una patologia. Va bene così, andiamo avanti, insieme a nostra figlia stringiamo i denti e si continua”. Il monitoraggio continuo sul paziente e sulla famiglia, dettato dal monito “nessuno deve essere lasciato solo”, come afferma Battisti, perché: “la vera sfida del sistema sanitario è quella di investire sull’integrazione sociosanitaria. Far sì che le cure meramente mediche siano integrate con un supporto sociale alla famiglia e al paziente stesso. Prendere in carico tutti, solo così si migliora, si lavora sulla salute a 360 gradi della persona in quanto tale”. Carlotta sorride mentre papà Francesco le avvicina lentamente il cucchiaio con la merenda. Mentre nutre sua figlia, Francesco racconta i sacrifici di lui e di Alessandra, della scelta di lasciare un posto di lavoro a tempo pieno per dedicarsi a Carlotta, del lavoro di squadra e di quando spesso si è chiesto: “Ce la farai?”. Per rispondere alla domanda, prima rivolge gli occhi a sua figlia: “Sì, è lei a darmi la forza. Abbiamo combattuto tanto tutti e tre, sempre, sin dall’inizio. Questo è un progetto che abbiamo in comune, è il nostro progetto di vita insieme. Continuare ad andare avanti”.

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