Lo Stato ebraico, con la sua decennale esperienza bellica, è il magazzino d’armi di mezzo mondo, sfruttando come campo di addestramento i territori occupati palestinesi
Ciò che sappiamo è che Israele dipende molto dagli aiuti americani e che ogni decisione presa da Washington può alterare le sue azioni, quello che non sappiamo, però, o che perlomeno passa in sordina da decenni, è che Israele è una delle più grandi industrie di armi e di tecnologia avanzata di spionaggio al mondo. Le radici di questo ruolo risalgono a prima della nascita dello Stato ebraico, quando negli anni Venti i primi coloni ebrei arrivati in Palestina dall’Europa rubarono o costruirono arsenali d’armi.
Da quel momento, fino ad arrivare ai giorni nostri, Israele e le sue compagnie pubbliche e private sono diventati tra i primi esportatori di morte nel mondo, arrivando fino alle peggiori dittature. L’industria bellica e di spionaggio di Tel Aviv è un vero proprio business che non conosce crisi e che trova sulla pelle dei palestinesi terreno fertile per sperimentare l’efficacia della sua brutalità. Numerosi, infatti, sono state le denunce di violazione dei diritti umani secondo cui Israele starebbe perpetuando il suo sistema di apartheid sui palestinesi utilizzando sistemi di spionaggio e armi avanzate. Quali sono però le radici di questo fenomeno e fin dove arrivano le armi israeliane?
Di necessità virtù: la creazione di una solida industria bellica
La creazione di un apparato militare e del progresso dell’industria bellica sionista nasce negli anni Venti e si sviluppa nei decenni a seguire. Quelli, infatti, sono gli anni dell’inizio dell’immigrazione dall’Europa verso la Palestina. Migliaia di ebrei fuggono dalle persecuzioni e trovano rifugio nella terra che un giorno sarebbe diventata Israele. A quel tempo la Palestina è sotto il mandato britannico, che favorisce un flusso continuo di immigrati ebrei e permette la creazione di un “focolare ebraico” in Palestina. Vengono a crearsi le prime organizzazioni militari come l’Haganah, che, avendo bisogno di armi, costruisce o ripara armi rudimentali in luoghi clandestini e improvvisati.
È con i moti arabi del 1929 in Palestina che l’industria della difesa ebraica sionista inizia a rafforzarsi e a diventare più complessa. Vengono create le prime bombe e i primi ordigni, ed è proprio in quel periodo che nasce l’IMI-TAAS, l’Industria militare israeliana, oggi azienda pubblica che produce armi da fuoco, munizioni e tecnologia militare per l’esercito israeliano tra le più avanzate ed esportate al mondo. Le brigate ebraiche si organizzano e diventano numerose nella totale indifferenza britannica e così, tra il 1936 e il 1939, i palestinesi mettono in piedi una rivolta che passerà alla storia come la Grande rivolta araba. La popolazione ebraica in Palestina passa da 80.000 a 360.000 residenti tra il 1918 e il 1936.
Temendo di diventare una minoranza nel territorio ed essendo nuovamente sotto un’occupazione straniera dopo l’Impero Ottomano, la popolazione palestinese si organizza e, attraverso il Gran Mufti di Gerusalemme, fonda il Supremo Comitato arabo annunciando lo sciopero generale e chiedendo alle autorità britanniche di bloccare l’immigrazione ebraica e la vendita delle terre, che in quegli anni raggiunge picchi storici. Le azioni armate coinvolgono sia i coloni ebrei che alcune autorità britanniche.
Per contrastare la rivolta araba, gli inglesi addestrano e arruolano decine di migliaia di ebrei e si affidano, anche se non ufficialmente, alle organizzazioni paramilitari ebraiche come l’Haganah. Se per i palestinesi i moti non portano al raggiungimento di alcun obiettivo, per i coloni ebrei diventa il punto di svolta per il rafforzamento della loro presenza in terra palestinese e la creazione di apparati sempre più forti e organizzati militarmente.
Prende piede tra i coloni ebrei in quegli anni e tra le autorità israeliane dopo la creazione dello Stato ebraico nel 1948 la vocazione alla guerra, il compito imprescindibile di ogni ebreo e poi israeliano a difendersi dai palestinesi e quindi a formarsi alla guerra. È così che Israele fonda le sue radici storiche e identitarie che giustificano l’uso illimitato e spregiudicato della violenza, della guerra e della discriminazione razziale, che ha portato uno dei più piccoli Paesi del mondo a diventare una fabbrica potentissima di armi.
Dal 1948 in poi si intensificano gli sforzi nella produzione di armi di ultima generazione. La pistola mitragliatrice Uzi. I fucili d’assalto Galil, TAR-21 e Tavor, la mitragliatrice leggera Negev, le pistole Jericho 941, Desert Eagle e SP-21 Barak, così come carri armati, droni e altre armi pesanti diventano il fiore all’occhiello di un’industria che formerà la ricchezza capitale di Israele e la sua identità bellicosa.
Gli anni Cinquanta e Sessanta vedono un forte sviluppo del settore di difesa. Le industrie proliferano e si specializzano e tra queste nascono anche quelle private come Elbit, adesso tra le più importanti fabbricanti d’armi del Paese che produce carri armati, aerei militari, droni, munizioni, sistemi di sorveglianza e tanto altro. Con lo sviluppo e il proliferare di tutti questi sistemi, molti Paesi si interessano e acquistano armi da Israele. Per primi l’Iran dello scià e il Sud Africa dell’apartheid ma anche Sri Lanka, Rodhesia, Belgio e Germania. Sono però le dittature alle quali fornisce sostegno a essere degne di nota. Tra il 1965 e il 1966 intrattiene rapporti commerciali con la nuova dittatura indonesiana, nata da un’epurazione che ha fatto mezzo milione di morte.
Alla famiglia Duvalier, che ad Haiti governa dal 1957 al 1986 e che aveva fatto decine di migliaia di morti, Israele vende mitragliette Uzi, aerei e molto altro. Col Paraguay, che ospita numerosi nazisti scampati da Norimberga, sigla un accordo nel 1967 per deportare sul suo territorio 60.000 palestinesi della Striscia di Gaza. Durante la rivoluzione sandinista del 1979 in Nicaragua, Israele sostiene e rifornisce di armi una delle famiglie più sanguinarie e influenti in Centro America, la famiglia Somoza, al potere dal 1936.
L’America Latina rimane una dei migliori partner commerciali di armi per Israele, che ha finanziato le dittature di Nicaragua, Honduras, El Salvador, Panama e Guatemala ma è con l’Argentina e il Cile che intrattiene i rapporti più stretti, sostenendo deliberatamente brutalità ed eccidi di massa. Il colpo di Stato cileno del 1973, che porta al rovesciamento del governo democraticamente eletto di Salvador Allende e all’instaurazione del regime sanguinario di Augusto Pinochet, ha ricevuto pieno sostegno americano e israeliano. Tel Aviv aveva avuto il grande ruolo di addestratore truppe e aveva inviato armi di ogni genere.
Il ruolo di Israele rientra nel grande piano americano di estirpare il comunismo, in ogni sua forma, dai Paesi alleati di Mosca e no. Ma per Tel Aviv l’importanza di questo ruolo riguarda un altro aspetto, quello prettamente economico. Un Paese militarizzato quanto Israele, che affonda le sue radici nella sfera bellica, dipende in gran parte dalle armi. L’industria militare fa bene all’economia di Tel Aviv e legittima l’uso sproporzionato di armi sui palestinesi, così come la sua vendita a brutali dittature e a regimi che commettono crimini di guerra.
Sperimentare le armi sui palestinesi
Se le armi vengono vendute per tutte il globo è perché sono state testate, e quale miglior campo di addestramento se non quello palestinese. Le innumerevoli guerre portate avanti da Tel Aviv contro la Striscia di Gaza vedono l’impiego di armi sempre più innovative ma, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, l’arsenale israeliano raggiunge un livello superiore. Sarebbero due i sistemi di intelligenza artificiale che vengono utilizzati: The Gospel e Lavender.
Entrambi elaborano milioni di dati ma funzionano in modo diverso. The gospel identifica a gran velocità le strutture dove potenzialmente operano i miliziani palestinesi e li trasforma in bersagli. Lavender identifica, attraverso un’infinità di dati, potenziali membri di Hamas e monitora ogni spostamento, lanciando poi un segnale nel momento del rientro a casa del possibile miliziano, che viene bombardato.
Nei territori palestinesi occupati le autorità israeliane stanno sperimentando il riconoscimento facciale col fine di tracciare i palestinesi e limitare la loro libertà di movimento. In città sotto il controllo delle forze israeliane, come Gerusalemme Est e Hebron, le telecamere di videosorveglianza sono ovunque. È il sistema Red Wolf, probabilmente collegato ad altri due sistemi di sorveglianza come Blue Wolf e Wolf Pack.
Questi software permettono il totale controllo sulla popolazione palestinese attraverso il riconoscimento facciale. Il sistema è collocato principalmente ai posti di blocco, vengono scansionati i visi dei palestinesi che si trovano lì e poi passati direttamente all’Idf, che così decide se fermare o arrestare. Le telecamere sono montate ovunque, su edifici, torrette, lampioni, l’una a cinque metri di distanza dall’altra. Un sistema intricato di sorveglianza che rende la vita dei palestinesi impossibile e alla mercé dei soldati israeliani.
L’esportazione che fa bene agli affari
La funzionale sperimentazione sui palestinesi fa gola a diversi Paesi, che decidono di comprare le armi e i sistemi di spionaggio israeliani e adottarli in modo spregiudicato. Il più gettonato che si è ritrovato in mezzo a numerose inchieste è il software Pegasus. Si tratta di uno spyware sofisticato dell’azienda Israeliana Nso Group, leader nella produzione di spyware in tutto il globo, che lo vende per tracciare criminali e terroristi. Pegasus opera secondo diverse modalità.
Attacca secondo lo “zero-click”, quindi senza aver bisogno di aver accesso a computer o telefono della persona da spiare. Si presenta come un normale virus, attraverso link o aggiornamento di software. Una volta attivato entra nei dispositivi mobili e agisce indisturbato. Riesce ad accendere camera e microfono senza destare sospetti e senza avviare i sensori o mostrare segnali della registrazione in corso e recupera qualsiasi tipo di dato: email, elenchi, immagini e altro.
Questo software viene usato da diversi Paesi che violano così i diritti di privacy di numerosi attivisti, giornalisti e politici. Indicativo è il caso del suo utilizzo in Ungheria e Polonia dove sono prese di mira diverse figure critiche dei rispettivi governi. L’India di Narenda Modi, sempre più nazionalista e sempre più suprematista indù, lo adotta per spiare attivisti per i diritti umani che indagano sulla discriminazione nei confronti della minorità musulmana che ha raggiunto livelli storici dopo l’ascesa di Modi. Anche Marocco, Bahrein, Azerbaigian, Messico, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti sono nella lista dei Paesi che hanno acquistato Pegasus e che ne fanno un uso illegale e arbitrario. Pegasus è riuscito anche a infiltrarsi nel telefono del premier spagnolo Pedro Sánchez e della sua ministra della Difesa, María Margarita Robles Fernández.
La Russia aveva ricevuto tecnologie per lo spionaggio dei cellulari, che usa contro migliaia di dissidenti e oppositori al regime, dalla società israeliana Cellebrite. Al contrario, quando nel 2022 il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva richiesto Pegasus non gli era stato concesso.
L’Unione Europea non è estranea a questi tipi di servizi forniti da Israele che le servono per monitorare e respingere gli immigrati nel Mediterraneo. Con l’acquisto e l’utilizzo del drone Heron, che ha maturato la sua esperienza nei cieli palestinesi, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) vigila e sorveglia il Mediterraneo. Si stima che l’UE abbia annunciato una partnership nel 2020 pari a 91 milioni di dollari con tre aziende israeliane (Airbus, Elbit e Israel Aerospace Industries) in modo da avere i loro servizi di sorveglianza e militari e sempre più droni a pattugliare i confini marittimi.