La morte del leader di Hezbollah apre a una guerra totale in Medio Oriente. E l’esercito di Netanyahu non ha intenzione di fermarsi
Sfuggiva a Israele da oltre trent’anni, Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah rimasto ucciso nella giornata di ieri dall’ennesimo raid dell’IDF su Beirut, come confermato dall’esercito israeliano. Nato il 31 agosto 1960 in Libano, da adolescente ha studiato teologia nella città santa sciita di Najaf, in Iraq, prima di abbandonare a causa delle repressioni guidate dall’allora presidente iracheno Saddam Hussein.
È cresciuto con la vendetta negli occhi, Hassan Nasrallah, al fianco del movimento sciita Amal venuto al mondo per contrastare l’invasione israeliana in Libano nell’estate del 1982. Pochissime interviste, altrettante apparizioni in pubblico, Nasrallah si è rivelato a prescindere uno dei politici più in vista del Paese: ha deciso lui della guerra o della pace, non ha mai fatto sconti a nessuno e negli anni ha costruito una formidabile milizia pesantemente armata.
È sempre stato considerato il nemico giurato di Israele, i suoi seguaci lo hanno ribattezzato “Il Sayyed” o “Abu Hadi”, in arabo padre di Hadi, il figlio di Nasrallah ucciso nel 1997 negli scontri con le truppe dell’IDF.
Morte Nasrallah, gli scenari
Hezbollah è diventata grande e riconosciuta dal governo sotto la sua guida: questa specifica ala militare è nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’Ue e degli Stati Uniti, per il mondo arabo un punto di riferimento radicato e consolidato dalla storia.
Dall’inizio della guerra a Gaza tra Hamas e Israele, Hassan Nasrallah ha aperto il fronte meridionale libanese per sostenere il suo alleato palestinese, ma fino a qualche settimana fa aveva cercato di evitare una guerra su larga scala con Israele.
Ieri gli attacchi decisivi, i più massicci e sanguinosi da parte dell’esercito di Netanyahu, nati con l’obiettivo di uccidere il numero uno di Hezbollah. Ora una guerra totale in Medio Oriente non è più una minaccia, ma una certezza che avanza con il passare delle ore.