Svolta storica dopo l’accusa mossa dal Sudafrica presso la Corte Internazionale di Giustizia
“La notizia è stata data anche in Italia, ovviamente, questa non la potevano nascondere. Si tratta di una notizia dirompente in tutto il mondo: lo stato di Israele è sotto processo per genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia de L’Aja. È un fatto davvero sconvolgente e ancora più sconvolgente è che sia stato un Paese africano (il Sudafrica, ndr) e non uno europeo, dell’Europa che si vanta della tutela dei diritti, ad aver deciso di denunciare presso questa corte Israele. Vedremo come andrà a finire il processo, durante il quale peraltro Israele non sta negando i crimini commessi, sta semplicemente sostenendo che non siano genocidio. È un fatto storico e mi sento davvero di ringraziare le autorità sudafricane, perché hanno avuto un coraggio che in Europa non ha più nessuno”. Queste, le parole con cui il nostro Alessandro Di Battista ha commentato i recenti aggiornamenti sul conflitto tra Israele e la Palestina, che per la prima volta nella storia ha assunto anche il termine di “genocidio” in ambito internazionale.
Ma facciamo un passo indietro, per ricostruire la vicenda. Lo scorso 29 dicembre, il Sudafrica ha presentato formalmente una denuncia contro Israele per “genocidio” a Gaza, presso la Corte Internazionale di Giustizia, ossia il tribunale delle Nazioni Unite responsabile della risoluzione delle controversie tra Stati. Per questo motivo, l’11 e il 12 gennaio si è tenuta a L’Aja un’udienza pubblica per esaminare le “misure d’emergenza” per porre fine alle ostilità richieste dal Sudafrica come accompagnamento alla sua denuncia. Pretoria, in sostanza, chiede alla corte di ordinare a Israele di smettere di uccidere e di causare gravi danni mentali e fisici al popolo palestinese a Gaza, di smettere di imporre deliberatamente condizioni di vita intese a provocare la loro distruzione fisica e di consentire l’accesso agli aiuti umanitari: “Questo non è altro che la distruzione della vita palestinese. Viene inflitto deliberatamente, nessuno viene risparmiato, nemmeno i neonati”.
La Convenzione sul genocidio del 1948
Di fronte al bilancio di oltre 30.000 persone uccise tra metà ottobre e oggi a Gaza, Pretoria invoca “i suoi diritti e doveri” per prevenire il genocidio e “proteggere i palestinesi di Gaza dalla distruzione”. Questi diritti e obblighi vengono esercitati nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948. Tale documento prevede che gli Stati possano intraprendere azioni legali per prevenire il verificarsi di un crimine di genocidio e richiede agli Stati parti della Convenzione di adottare misure per prevenirlo e punire.
Questo obbligo, così come il divieto di commettere un genocidio, sono considerati norme del diritto internazionale consuetudinario e sono pertanto vincolanti per tutti gli Stati, siano essi parte o meno dei 153 Paesi – compreso Israele – che hanno ratificato la Convenzione. Ciò significa che le misure d’emergenza richieste dal Sudafrica per cessare le ostilità, qualora venissero adottate dalla Corte Internazionale di Giustizia, si dimostreranno giuridicamente vincolanti. Spetta in ogni caso agli Stati applicare le decisioni, poiché l’organismo internazionale non dispone di mezzi coercitivi per far rispettare i suoi verdetti: resta solo un meccanismo di esecuzione se un Paese rifiuta la decisione della Corte, chiedere al Consiglio di Sicurezza di approvare una risoluzione.
Va sottolineato, inoltre, che questa procedura è distinta da un altro caso riguardante Israele e Palestina, portato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite alla stessa Corte Internazionale di Giustizia. Un suo parere consultivo “sulle conseguenze legali delle pratiche e delle politiche di Israele nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est”, è stato infatti richiesto da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, adottata il 30 dicembre 2022, prima del conflitto in corso. Tale procedura dovrà essere oggetto di un’udienza pubblica il 19 febbraio 2024, dopo aver ricevuto relazioni scritte da numerosi Stati. Il parere consultivo, però, non è giuridicamente vincolante, pur potendo indicare una via da seguire in termini di diritto internazionale e costituendo un importante precedente.
I rapporti tra Sudafrica e Israele
Il Sudafrica, che ha attraversato un regime di apartheid dal 1948 al 1991, ha storicamente mostrato grande solidarietà nei confronti della Palestina e ne difende il suo diritto all’autodeterminazione. Per questo motivo la denuncia si inserisce in un contesto di relazioni internazionali da sempre tese con Israele. Anche lo scorso 17 novembre, la Procura della Corte Penale Internazionale ha ricevuto un rinvio da diversi paesi, tra cui appunto Sudafrica, ma anche Bangladesh, Bolivia, Comore e Gibuti per indagare sulla “situazione nello Stato di Palestina”.
Tre giorni dopo, il 20 novembre, l’ambasciatore israeliano a Pretoria è stato richiamato, prima che l’Assemblea nazionale sudafricana adottasse, con 248 voti favorevoli e 91 contrari, una mozione che raccomandava la chiusura di tale ufficio diplomatico fino al cessate il fuoco a Gaza. All’indomani di questa mossa, Pretoria ha sospeso le relazioni diplomatiche con Tel Aviv e ha richiamato i suoi diplomatici per protestare contro gli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza, descritti come “atti di genocidio”.
Già il 29 dicembre il Ministero degli Esteri israeliano aveva reagito alla denuncia sudafricana, affermando che “Israele respinge con disgusto la diffamazione del sangue diffusa dal Sudafrica“. Il portavoce del ministro Eli Cohen aveva parlato di un’affermazione che “manca di base sia fattuale che giuridica, e costituisce uno sfruttamento spregevole e sprezzante della Corte”. Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Tzachi Hanegbi aveva inoltre dichiarato alla stampa che “lo Stato di Israele ha firmato da decenni la convenzione contro il genocidio, e noi certamente non boicottiamo la discussione. Resteremo al suo fianco e respingeremo l’assurda causa che è una diffamazione del sangue. L’affermazione infondata contro il diritto della vittima di difendersi è una vergogna, e ci aspettiamo che tutti i paesi civili simpatizzino con la nostra determinazione“. Poi ha aggiunto che “la battaglia legale potrebbe durare diversi anni, ma l’attenzione immediata di Israele è contrastare un ordine provvisorio che potrebbe forzare un cessate il fuoco a Gaza”.
In attesa di notizie da L’Aja, nel frattempo gli Stati Uniti e le forze armate britanniche hanno lanciato attacchi sui siti utilizzati dal gruppo ribelle Houthi, sostenuto dall’Iran nello Yemen, come rappresaglia per i loro attacchi alle navi nel Mar Rosso. Gli Houthi affermano che i loro attacchi mirano a fermare la guerra di Israele contro Hamas, ma i loro obiettivi hanno sempre poco o nessun legame con Israele e mettono in pericolo una rotta commerciale cruciale che collega l’Asia e il Medio Oriente con l’Europa.